150mila beni sequestrati, di cui 70mila immobili ed oltre 10mila aziende, che vanno ad aggiungersi ad una liquidità di tre miliardi e mezzo di euro. I relativi procedimenti, al netto di quelli non computati nella banca dati del Ministero della Giustizia, sono in prevalenza pendenti presso i tribunali del Sud (73%), mentre il restante 27% è distribuito tra quelli del Centro e del Nord.
A presentare il sistema dei beni sequestrati e confiscati alle mafie nel quinquennio 2011-2015 è stato il Consiglio nazionale dei commercialisti durante il convegno “Conoscere per gestire”, organizzato a Roma nei giorni scorsi con il contributo fondamentale della Fondazione nazionale dei commercialisti.

Commercialisti che hanno spiegato come le aziende sotto gestione giudiziale per il 48% microimprese con meno di 10 dipendenti, mentre il 39% ha fino a 50 dipendenti e solo l’8% raggiunge i 250 lavoratori.
“Ma il grande valore dell’evento”, afferma Maria Luisa Campise, consigliere nazionale dei commercialisti delegato alle Funzioni giudiziarie, “è stato quello di riunire un incredibile numero di magistrati, amministratori giudiziari, funzionari dell’ANBSC e professionisti di tutta Italia, offrendo loro l’occasione di confrontarsi sulle prassi adottate nei diversi territori in materia di gestione dei beni sequestrati o confiscati alla criminalità organizzata, abbattendo confini geografici e ritrovando una unità d’intenti che in questo campo può risultare la formula vincente per svolgere un’opera efficiente”.
Durante il convegno, infatti, sono state presentate e discusse le prassi positive e negative registrate su tutto il territorio italiano attraverso un apposito questionario tra i soggetti coinvolti nel processo di gestione dei beni al fine di amministrare in modo consapevole i compendi sottratti alle consorterie criminali.

Nel suddividere l’attività gestoria in due fasi – giudiziaria ed amministrativa – le 44 domande oggetto del questionario somministrato ai 143 Ordini territoriali hanno interessato: la procedura (esecuzione del sequestro, modalità di attuazione, adempimenti, interventi dell’autorità giudiziaria, tempistiche, statistiche percentuali su revoche della misura patrimoniale); la gestione (modus operandi, principali attività da svolgere, modalità di nomina del coadiutore) e le sue criticità; i rapporti con la Pubblica amministrazione (ANBSC, Equitalia Giustizia, Agenzia delle Entrate, Ispettorati, Aziende sanitarie locali, Enti statali e territoriali, Avvocatura dello Stato, ecc.); i compensi del custode/amministratore giudiziario; la tutela dei diritti dei terzi (modalità applicative e statistiche sull’accertamento della buona fede).
Soprattutto con riguardo alla prima voce – gli aspetti procedurali – le maggiori carenze riscontrate si collocano in difetti formali (erronea redazione, notificazione e trascrizione dei provvedimenti di sequestro); in diseconomie gestionali connesse all’esecuzione del sequestro; nell’adozione immediata del provvedimento di confisca spesso senza passare attraverso la fase giudiziaria vera e propria e, dunque, la nomina dell’amministratore giudiziario; nell’adozione di provvedimenti di sequestro parziali; nella mancata adozione di provvedimenti di sgombero per immobili occupati sine titulo dal proposto o da suoi familiari; nel tardivo riscontro ad istanze presentate dal custode/amministratore giudiziario anche con riferimento alla gestione di beni aziendali; nella scarsa collaborazione tra uffici giudiziari (es. tra Misure di Prevenzione e giudici fallimentari o dell’esecuzione) e nel contrasto tra interpretazioni giurisprudenziali anche all’interno della medesima sezione dello stesso Tribunale; nella mancata attuazione dell’Albo degli amministratori giudiziari.

Un aspetto particolarmente delicato è quello relativo ai compensi: il 90% degli intervistati ha dichiarato che essi attualmente vengono liquidati in base alle previsioni di cui al D.P.R. 7 ottobre 2015, n. 177, cui però vengono attribuiti due difetti: l’assenza di un parametro temporale per determinare il compenso dell’amministratore giudiziario e le modalità di commisurazione dei compensi per la gestione dei beni aziendali che, in base alla previsione dell’art. 3 del suddetto decreto, è stabilito che debbano essere calcolati in percentuale sul valore del complesso aziendale. Al riguardo, infatti, si registrano due distinte prassi: una che fa riferimento al valore dei beni costituenti l’attivo patrimoniale per aziende e società stimati al valore di mercato, senza tener conto dei debiti; l’altra che, ricorrendo al metodo di valutazione aziendale c.d. misto, tiene conto, tra l’altro, del patrimonio netto rettificato e, pertanto, anche dei debiti.
In relazione alla tutela dei diritti dei terzi, soprattutto con riferimento all’accertamento della buona fede, è emerso che la prassi prevalente dei Tribunali è quella di avviare la procedura per l’accertamento dei crediti soltanto dopo la confisca definitiva anziché dopo quella di primo grado e che, nell’80% dei casi, soltanto il 25% dei creditori riesce a farsi accertare la buona fede, mentre nel restante 20% la percentuale sale al 50%.

Fuori questionario, infine, sono state formulate ulteriori domande. In materia di mappatura informatica dei beni è risultato un difetto di certezza e di aggiornamento della consistenza e del valore dei patrimoni affidati in gestione a causa del mancato funzionamento della banca-dati centrale del Ministero della Giustizia, cui si aggiunge una carenza significativa di risorse umane e strumentali. Limiti sono stati riscontrati pure nel regime di trasparenza circa l’utilizzazione dei beni confiscati da parte degli Enti territoriali poiché in diversi Comuni d’Italia l’elenco di detti beni, destinati ai patrimoni delle singole amministrazioni civiche, non viene pubblicato o non risulta aggiornato. Di conseguenza, in alcuni casi i cittadini o le associazioni interessate hanno presentato istanza di accesso civico all’amministrazione comunale ai sensi dell’art. 5 D. Lgs n. 33/2013.

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