Con l’entrata in vigore del c.d. Codice dei contratti (D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81) vengono definitivamente abrogate le norme della legge Biagi riguardanti il contratto a progetto, che continueranno ad applicarsi esclusivamente per la regolazione dei contratti già in atto al 25 giugno 2015 (data di entrata in vigore del decreto) e fino alla loro naturale scadenza.

Appare comunque utile precisare che è sempre possibile, a certe condizioni, stipulare contratti di collaborazione coordinata e continuativa in forma autonoma, stante la previsione di cui all’art. 52 del D.Lgs. n. 81/2015. In estrema sintesi, se da una parte il Legislatore cancella dal nostro ordinamento un istituto che rappresentava la naturale evoluzione giuridica delle “vecchie, selvagge co.co.co”, dall’altra rende salva la previsione contenuta nell’art. 409 del codice di procedura civile che si limita a descrivere le caratteristiche di una prestazione lavorativa senza alcuna riconduzione ad uno schema contrattuale tipico (rapporti… che si concretino in una prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato).

Non è necessario svolgere la professione di commercialista del lavoro per intuire che la novella legislativa, attraversata probabilmente da spinte più ideologiche che giuridiche, rappresenti un pericoloso ritorno ad un passato senza regole ed una ulteriore complicazione nella gestione pratica di alcuni rapporti di lavoro difficilmente inquadrabili nel tipico schema del rapporto di lavoro subordinato o autonomo. Esaminando l’impianto normativo del c.d. Jobs Act, infatti, appare evidente come la finalità sia quella di ricondurre “ex lege” l’attività di collaborazione alla forma comune del contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, prescindendo da ogni indagine relativa alla genuinità del rapporto specifico. Una presunzione assoluta di subordinazione, dunque, che andrà rilevata qualora il rapporto di collaborazione risulti in qualche modo… “etero-organizzato”. Attenendoci al dato normativo, l’art. 2, comma 1, del D.Lgs. n. 81/2015 dispone che, a decorrere dal 1° gennaio 2016, le norme sul lavoro subordinato si applicano anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro: esclusivamente personali; continuative; le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi ed al luogo di lavoro.

Non si applicherà invece la disciplina del lavoro subordinato, ancorché trattasi di prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative ed etero-organizzate dal committente: alle collaborazioni per le quali gli accordi collettivi stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale prevedono discipline specifiche riguardanti il trattamento economico e normativo, in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore; alle collaborazioni prestate nell’esercizio di professioni intellettuali per le quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi professionali; alle attività prestate nell’esercizio della loro funzione dai componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società e dai partecipanti a collegi e commissioni; alle collaborazioni rese a fini istituzionali in favore delle associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate ed agli enti di promozione sportiva riconosciuti dal CONI.

Uno dei rimedi al dilemma autonomia/subordinazione, con tutti i limiti del caso, è rappresentato dal ricorso alla c.d. procedura di certificazione (art. 76 D.Lgs. n. 276/2003) attraverso cui le parti stipulanti il contratto possono richiedere la certificazione (in negativo) dell’assenza dei requisiti previsti per l’applicazione della disciplina del lavoro subordinato alle apposite commissioni. Ma la totale resa alla spinta di modernizzazione del mercato del lavoro, operata dalla legge Biagi negli ultimi anni, trova plastica rappresentazione nella sanatoria, riservata dal Legislatore del 2015, a favore dei datori di lavoro che procedano all’assunzione con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato di soggetti già parti di contratti di collaborazione coordinata e continuativa anche a progetto e di soggetti titolari di partita IVA con cui abbiano intrattenuto rapporti di lavoro autonomo.

A partire dal 1° gennaio 2016, infatti, i datori di lavoro appena richiamati godranno dell’estinzione degli illeciti amministrativi, contributivi e fiscali connessi all’erronea qualificazione del rapporto di lavoro, fatti salvi gli illeciti accertati a seguito di accessi ispettivi effettuati in data antecedente all’ assunzione.
Tali effetti sono subordinati, tuttavia, alle seguenti condizioni: i lavoratori interessati alle assunzioni devono sottoscrivere, con riferimento a tutte le possibili pretese riguardanti la qualificazione del pregresso rapporto di lavoro, atti di conciliazione in una delle sedi di cui all’art. 2113, comma 4, cod. civ. o avanti alle commissioni di certificazione di cui all’art. 76 del D.Lgs. n. 276/2003; nei dodici mesi successivi alle assunzioni i datori di lavoro non devono recedere dal rapporto di lavoro, salvo che per giusta causa ovvero per giustificato motivo soggettivo.

Si apre, dunque, l’ennesimo anno all’insegna dell’incertezza per i commercialisti del lavoro. I processi di semplificazione annunciati, anche questa volta, sono stati travolti da interferenze politico-populiste che, di fatto, hanno neutralizzato in perfetto stile gattopardesco ogni propulsione al cambiamento.

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