“Fare l’amministratore dei beni confiscati o sequestrati alle mafie comporta una scelta di campo netta e rischiosa: significa schierarsi dalla parte della lotta alla criminalità, con tutto ciò che ne consegue, specie in realtà territoriali particolarmente segnate dalla presenza della malavita organizzata. Ogni ragionamento su questa attività professionale, anche quando parliamo di compensi, non può che partire da questo dato di fatto”. Maria Luisa Campise, consigliere nazionale dei commercialisti, segue da anni il percorso che ha portato prima alla creazione di un albo professionale degli amministratori giudiziari e poi, dopo un’estenuante attesa durata anni, ad uno schema di compensi che ha già avuto il parere positivo del Consiglio di Stato (sebbene con osservazioni) e che a breve potrebbe essere licenziato definitivamente dal Consiglio dei Ministri. Ma sul quale a nome dei commercialisti, ossia la professione, assieme agli avvocati, direttamente interessata dal provvedimento, mantiene un giudizio fortemente critico, chiedendone una sostanziale modifica. “Il Consiglio di Stato”, afferma, “ha chiesto alla Giustizia chiarimenti su alcuni aspetti delle norme contenute nel Dpr sui compensi degli amministratori giudiziari. C’è quindi ancora il tempo, se lo si vuole, per cambiare un testo che abbiamo definito “ammazza amministratori” e rispetto al quale abbiamo presentato al Ministero un nutrito pacchetto di modifiche”.

Le proposte del Consiglio nazionale della categoria sono contenute in un documento con il quale si chiede innanzitutto un “cambio radicale nella logica nella determinazione dei compensi degli amministratori giudiziari rispetto a quella adottata”. I commercialisti giudicano infatti “del tutto erroneo e immotivato l’aver assunto a riferimento le norme relative ai compensi dei curatori fallimentari”. La proposta della categoria è di far riferimento “alla vigente tabella per la determinazione dei parametri dei compensi per le professioni regolarmente di cui al DM 140/2012, opportunamente adattata in melius alle specificità della disciplina in materia di gestione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati alle consorterie criminali”. In alternativa, si potrebbe pensare, secondo i commercialisti, “all’utilizzo di contributi annuali forfetizzati in relazione alla singola attività svolta dall’amministratore giudiziario”.

Nel documento inviato alla Giustizia, corredato da proposte di compenso per ciascuna delle principali attività svolte dall’amministratore giudiziario, i commercialisti denunciano anche “l’ulteriore criticità costituita dall’irragionevole riduzione delle tariffe rispetto a quelle dei curatori fallimentari”, basata “sull’erroneo presupposto di una minore complessità degli adempimenti richiesti agli amministratori giudiziari rispetto a quelli svolti dal curatore fallimentare nel corso della procedura concorsuale”.

“Pensare che l’attività di amministratore giudiziario”, spiega ancora Campise, “possa essere giudicata meno complessa e quindi meno remunerata di quella di curatore fallimentare è un errore al quale crediamo fermamente vada posto rimedio. C’è il tempo per farlo, a patto che il Governo capisca fino in fondo il rischio che si corre adottando lo schema previsto dal Dpr. Così com’è, si tratta di un testo che disincentiva un’attività professionale molto complessa e pericolosa e che per questo motivo abbiamo definito “ammazza amministratori””.

Il rischio paventato dai commercialisti è che compensi bassi, figli di una logica che, di fatto, non riconosce sufficiente “dignità professionale” agli amministratori giudiziari, possano determinare una fuga da un’attività divenuta oramai insostituibile.

È infatti un dato consolidato che l’aggressione ai patrimoni illeciti condotta con gli strumenti del sequestro e della confisca costituisca un indispensabile mezzo di contrasto alla criminalità organizzata. Strumenti la cui efficacia ha reso evidente come essi siano ormai assai più incisivi, nel reprimere e prevenire i fenomeni criminali, rispetto alle pene detentive. “La consapevolezza di tale efficacia”, afferma Campise “ne ha determinato una applicazione sempre più diffusa, che registra una crescita esponenziale, non solo nei territori dell’Italia del sud, noti per la storica infiltrazione criminale nel tessuto sociale”. Un trend di crescita certificato dai dati della relazione del Dicastero della Giustizia alla Camera dei Deputati aggiornati al 28 febbraio 2015 sulla consistenza, destinazione e utilizzo dei beni sequestrati o confiscati e sullo stato dei procedimenti di sequestro o confisca. Alla data del 28 febbraio 2015, il numero complessivo di beni sequestrati e confiscati censito nella banca dati del Ministero della Giustizia era di 139.187 unità.

“Siamo di fronte ad un patrimonio enorme”, è il ragionamento di Campise, “a cui vanno aggiunte le migliaia di beni sequestrati e confiscati nell’ambito di procedimenti penali non censiti, che potrebbe far emergere un dato complessivo di beni pari a circa il doppio, intorno alle 280 mila unità”. E’ evidente, per i commercialisti, come un tale patrimonio necessiti di una gestione competente e professionale che ha bisogno di un riconoscimento reale, anche attraverso compensi adeguati. “La nostra battaglia per la modifica dello schema di decreto”, conclude Campise, “ha come unico scopo quello di accrescere forza ed appeal per questa attività che, dati alla mano, fornisce oramai un contributo non più trascurabile alla nostra economia. Se a ciò si aggiungono anche le implicazioni etiche e morali che portano i professionisti a sceglierla, si capisce ancora meglio perché è giunto il momento di darle dignità”.

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