Con il Decreto Legge n° 83/2015 – in vigore dal 27 giugno 2015 ed in corso di conversione – sono state emanate disposizioni normative che riguardano, tra l’altro, direttamente la nomina e la disciplina del curatore fallimentare. Nello specifico al Capo III, rubricato “requisiti per la nomina del curatore fallimentare”, tre articoli, il 5 (requisiti per la nomina a curatore), il 6 (Programma di liquidazione) ed il 7 (chiusura della procedura di fallimento), novellando, rispettivamente, gli artt. 28, 104 ter e 118 della L.f., introducono novità che si propongono di garantire una maggiore trasparenza nei criteri di nomina dei curatori e di assicurare una minore durata della procedura.

Le modifiche relative ai requisiti di nomina del curatore, di cui all’art. 28 della Legge fallimentare, concernono principalmente:

a) L’estensione da due a cinque anni del periodo ostativo alla nomina, qualora venga riscontrato il concorso nel dissesto dell’impresa. Tale fattispecie di incompatibilità è da ritenersi maggiormente correlata[1] alla “nuova categoria” di soggetti che possono essere anch’essi nominati curatori, introdotta dal 2006, di cui alla lettera c) comma 1 del dell’art. 28 L.f., soggetti che hanno svolto funzioni di direzione e controllo in spa. Infatti, verso tali soggetti sono esperibili, nel termine quinquennale dalla cessazione della carica, azioni di responsabilità.

b) l’impossibilità di essere nominato curatore per chi “..abbia svolto la funzione di commissario giudiziale in relazione a procedura di concordato per il medesimo debitore, nonché chi sia unito in associazione professionale con chi abbia svolto tale funzione”; in altre parole, qualora dovesse intervenire la dichiarazione di fallimento di una società precedentemente in concordato,, il Tribunale non potrà più nominare curatore il professionista o l’associazione professionale che abbia svolto la funzione di commissario giudiziale nel concordato poi conseguito in fallimento. Tale disposizione sembra potersi applicare anche al cosiddetto “precommissario” quando il concordato “in bianco” sia decretato inammissibile o improcedibile e si pervenga ad una dichiarazione di fallimento. Dalla lettura della norma non sembra potersi evincere, invece, l’estensibilità dell’incompatibilità alla nomina a curatore per chi abbia svolto il ruolo di liquidatore “giudiziale” di una società in concordato preventivo omologato e successivamente risolto o annullato. Posto che il legislatore ha di recente mostrato un maggiore favor nei confronti del concordato, la ratio della norma è da ricercarsi, nella volontà di evitare che il commissario possa anelare a, non dovute, dichiarazioni di fallimento. Il rischio è, di contro, che il commissario possa mantenere in vita procedure di concordato, ictu oculi, da revocare ex art. 173 L.f..

c) la previsione che “il curatore deve essere in possesso di una struttura organizzativa e di risorse che appaiano adeguate al fine del rispetto dei tempi previsti dall’art. 104-ter”; tale norma va letta ovviamente congiuntamente alle modifiche contemporaneamente introdotte nell’art. 104 ter L.f. che fissano, in definitiva, il termine per la predisposizione del programma di liquidazione a “non oltre 180 giorni dalla sentenza dichiarativa di fallimento” e rende obbligatoria l’indicazione del “termine entro il quale sarà completata la liquidazione dell’attivo”, tale ultimo termine non può eccedere, sempre ai sensi dello stesso citato art. 104 ter L.f., i due anni dal deposito della sentenza di fallimento. Proprio nella prospettiva di garantire il rispetto di tali termini, il Legislatore ha inteso introdurre il requisito, di cui al comma 3 del novellato art. 28 della legge fallimentare, del possesso della struttura organizzativa e dell’adeguatezza delle risorse. Per garantire ciò si è ulteriormente previsto, al comma 4 dell’art. 28, che “la sentenza pronunciata ai sensi dell’art. 16 motiva specificatamente in ordine alla sussistenza dei requisiti di cui al terzo comma e tiene conto, anche alla luce delle risultanze dei rapporti riepilogativi di cui all’art. 33, quinto comma, delle eventuali indicazioni in ordine alla nomina del curatore espresse dai creditori nel corso del procedimenti di cui all’art. 15.”

d) È istituito presso il Ministero della Giustizia un registro nazionale che raccolga i provvedimenti di nomina dei curatori, dei commissari giudiziali e dei liquidatori, con l’annotazione anche dei provvedimenti di chiusura dei fallimenti, nonché l’ammontare dell’attivo e del passivo, con possibilità per il pubblico di accedere in via telematica.

Le novità indicate alle superiori lettere a), b) e c), trovano applicazione sin da subito (art. 23, comma 3 del D.L.), quelle di cui alla lettera d), decorsi 60 giorni dalla pubblicazione delle “specifiche tecniche” (art. 23, comma 4 del D.L.).

La novità di maggiore impatto, a parere di chi scrive, consiste nella circostanza che “…il curatore deve essere in possesso di una struttura organizzativa e di risorse che appaiano adeguate al fine del rispetto dei tempi previsti dall’articolo 104-ter”.

Come già detto, la norma va coordinata con il novellato art. 104 ter L.f., da cui discende che il termine per la predisposizione del programma di liquidazione è oggi entro 60 giorni dalla redazione dell’inventario e di “non oltre centottanta giorni dalla sentenza dichiarativa di fallimento” con obbligo di indicare il “termine entro il quale sarà completata la liquidazione dell’attivo” termine stesso non possa eccedere due anni dal deposito della sentenza di fallimento”[2]. Pur non essendo un termine perentorio è espressamente statuito che “il mancato rispetto di tale termine senza giustificato motivo è giusta causa di revoca del curatore”, pertanto, è un termine non solo acceleratorio ma anche di obbligatoria osservanza.

La previsione del requisito del possesso della struttura organizzativa e dell’adeguatezza delle risorse, diviene ora, per espressa e non eludibile volontà del Legislatore, condizione essenziale per la nomina a curatore. La norma è di non immediato coordinamento con il comma 4 dell’art. 104 ter L.f. che prevede la possibilità di delegare talune attività di liquidazione ad altri professionisti ed ora anche a società specializzate.
Se la definizione di “struttura organizzativa”, non crea particolari problemi, quella di “risorse che appaiano adeguate”, qualche difficoltà interpretativa la pone.
Chi scrive, nell’evidenziare che entrambi i concetti provengono da una visione aziendalistica ed imprenditoriale dell’organizzazione degli studi professionali, ritiene che il Legislatore abbia voluto individuare criteri di scelta del professionista: dotato di una struttura organizzata (uno studio professionale) che si avvale di più risorse umane e che tali strutture e risorse siano adeguate, alle dimensioni ed alla complessità della specifica procedura per la quale interviene la nomina. Da qui la necessità che “La sentenza pronunciata ai sensi dell’articolo 16 motiva specificamente in ordine alla sussistenza dei requisiti di cui al terzo comma”[3].

Non vi è dubbio che il riferimento “…anche alla luce delle risultanze dei rapporti riepilogativi di cui all’articolo 33, quinto comma.”, riguardi necessariamente i rapporti riepilogativi predisposti dal soggetto nominato nell’ambito di altre procedure in cui quest’ultimo abbia rivestito la carica di curatore.

Il concetto di adeguatezza è per definizione un concetto relativo che andrà verificato caso per caso. Si tratta di un requisito dimensionale e funzionale. Il Tribunale deve essere posto nelle condizioni di poter effettuare una valutazione di tali requisiti, da qui la necessità che, tramite circolari ed appositi format, si chieda a chi è interessato a ricoprire l’incarico di curatore, di presentare una domanda nella quale siano indicati ed attestati i requisiti richiesti, soprattutto, per quei soggetti che non hanno ancora avuto incarichi e per i quali, evidentemente, non si potrà attingere dalle risultanze delle relazioni periodiche di altre procedure.

Apparentemente innovativa e, comunque, di non facile immediata valutazione è la previsione che il Tribunale, nella scelta del curatore, possa tenere conto delle eventuali indicazioni formulate dal creditore o dai creditori nel corso del procedimento di cui all’articolo 15. Va rilevato che al primo comma dell’art. 37 bis, così in vigore dal 16.7.2006, è già previsto che la maggioranza dei creditori possa chiedere, ricorrendo taluni condizioni, la sostituzione del curatore con un soggetto da essi indicato. Desta non poche perplessità che un unico creditore istante (e non la maggioranza dei creditori ammessi) possa potenzialmente indicare, seppur in maniera non vincolante, la nomina del curatore fallimentare.

Occorre ricordare che Il Cndcec, il 13 luglio scorso ha inviato alla Commissione Giustizia della Camera dei Deputati, osservazioni e proposte di modifica al D.L. in corso di conversione. Per ciò che ci occupa il Cndcec, propone di elidere totalmente la lettera b) del vigente terzo comma dell’art. 28 L.f., ritenendo, giustamente, che l’adeguatezza della struttura organizzativa comprometterebbe l’accesso alla nomina a curatore dei colleghi più giovani e meno strutturati. Il Cndec, ritiene distorsiva, inoltre, la previsione che consente ai creditori di fornire eventuali indicazioni, nel procedimento ex art. 15 L.f..

Le novità introdotte non appaiono di particolare spessore. Ben si sarebbe potuto prevedere:

a) Una formazione più specializzata del curatore fallimentare, magari con la previsione del conseguimento di un Master di II livello in gestioni della crisi d’impresa, piuttosto che affidare a definizioni a-tecniche la valutazione delle sue capacità organizzative;

b) L’incompatibilità assoluta o l’incapacità ad essere nominato curatore per chiunque abbia concorso al dissesto dell’impresa, eliminando qualsiasi riferimento temporale;

c) La correzione di un anacronismo, contenuto nella lettera a), primo comma dell’art. 28 L.f., nella formulazione in vigore dal 16.7.2006, dove si indicano, tra gli altri i “…dottori commercialisti, ragionieri e ragionieri commercialisti”, in luogo di “Commercialisti”, iscritti nella sez. A dell’Odcec (si confronti anche Cndcec -pronto ordini n. 157/2015-).

Assistiamo anche questa volta, come ha ben colto il Cndcec, ad un intervento disarticolato attraverso il ricorso ad un Decreto Legge, nelle more dell’attuazione della delega della riforma della procedura fallimentare e senza, per quanto è dato sapere, ricorrere alla Commissione nominata dal Ministro della Giustizia per la revisione organica della disciplina delle procedure concorsuali.

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