La legislatura che si avvia rapida alla conclusione ha segnato risultati contrastanti sul piano della legislazione fiscale.
Se proviamo a separare i fatti dalla legittima, ma estenuante propaganda permanente, si può dire che, sul versante delle decisioni concernenti la pressione fiscale esercitata sui cittadini, le luci superano le ombre; mentre, sul versante del rapporto fisco – contribuenti e degli adempimenti, le ombre superano le luci.

In un contesto in cui il deficit è stato comunque ridotto anno su anno (dal 3% del 2013, al 2,1% del 2017) e gli aumenti IVA sempre scongiurati, ridurre la pressione fiscale dal 43,7% del 2013 al 41,8% cui si attesterà nel 2017, può essere considerato tutto, tranne che un risultato banale.

Quattro sono gli interventi strutturali (non bonus: interventi strutturali) che lo hanno determinato: la riduzione dell’IRPEF sui lavoratori dipendenti a reddito medio-basso (meno 9,5 miliardi), la piena deducibilità del costo del lavoro a tempo indeterminato dall’IRAP (meno 5,5 miliardi), l’abolizione della TASI sulla prima casa (meno 3,5 miliardi), la riduzione dell’IRES dal 27,5% al 24% (meno 3 miliardi).

Manca all’appello un tassello fondamentale che dovrà essere necessariamente il prossimo nelle priorità di intervento di un programma di governo coerente e ragionevole: la riduzione dell’aliquota IRPEF del 38% sui redditi del ceto medio (quelli da 28.000 a 55.000 euro lordi); quel ceto medio impiegatizio e professionale escluso sin qui dalla gran parte dei benefici degli interventi appena ricordati.
Male, invece, addirittura malissimo negli ultimi mesi, sul versante degli adempimenti fiscali.

Non c’è 730 precompilato che tenga di fronte allo scempio compiuto nei confronti delle partite IVA, in un vero e proprio crescendo rossiniano di nuove comunicazioni telematiche, limiti alle compensazioni fiscali e persino ai tempi di detrazione dell’IVA.
Chiunque oggi si presenti a un titolare di partita IVA parlando di semplificazione fiscale deve francamente arrossire e di questo rossore ce ne facciamo doverosamente carico per quota parte pure noi che lo diciamo, nonostante le tante battaglie condotte tra le quattro mura del MEF e talvolta anche fuori per spiegare quanto alcune soluzioni che venivano proposte dai tecnici dell’Agenzia al nostro governo come miracolistiche (cioè a basso impatto e ad altissimo ritorno di gettito) fossero in realtà il riflesso condizionato di un modo di fare amministrazione dei tributi vecchio e controproducente.
Assai più “solito versaccio” che non “cambia verso”.

Dal mio punto di vista di ex viceministro che si è sentito rispondere che ripensamenti sulle comunicazioni telematiche trimestrali non potevano nemmeno essere discussi, visto che le relazioni tecniche dell’agenzia entrate garantivano che da esse sarebbe derivato un maggiore recupero di evasione nell’ordine di 2,7 miliardi, quello che denuncio come doppiamente intollerabile è che allora non è ammissibile che un adempimento così cruciale è importante venga gestito poi in sede attuativa con la sciatteria che ha portato all’ennesima proroga last minute.

Delle due l’una: o non è vero che è un adempimento così strategico per il recupero dell’evasione ed allora è una conclamata vessazione; o non è accettabile che i tecnici che l’hanno così presentato lo gestiscano poi con così tanta trascuratezza nella implementazione tecnica e nella gestione del prezioso rapporto con gli intermediari fiscali.

Sono questi out out che troppo spesso mancano alla politica nella gestione dei suoi rapporti con le alte burocrazie ministeriali del fisco e non solo.
Ed invece, per far funzionare meglio il Paese ed avere il rispetto dei cittadini e di se stessi, serve il coraggio di far correre le persone, invece che lasciar correre le cose.

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