Non solo professione ma anche immigrazione e politica sono i temi che abbiamo affrontato con Fabrizio Escheri, presidente dell’Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili di Palermo, una delle città che solo lo scorso agosto si è trovata a fronteggiare lo sbarco di molte centinaia di migranti.
«A Palermo la situazione è drammatica», afferma Escheri. «Sappiamo bene di essere un ponte di passaggio per migliaia di persone che fuggono spesso da guerre, regimi, povertà. Ma a differenza di tante altre aree del Paese, dove la presenza di un loro numero ridottissimo crea una rivolta violenta delle comunità locali, la Sicilia li accoglie grazie ad un impegno fortissimo della società civile». L’Ordine dei commercialisti, in linea con questo orientamento, sostiene diverse iniziative tra cui – in particolare – una realtà di volontariato: la Missione di Speranza e Carità , che ospita a Palermo quasi mille migranti. «Il nostro è un impegno non solo economico» – continua Escheri – «ma anche professionale, visto che mettiamo a disposizione della onlus le nostre competenze per affrontare e risolvere le problematiche fiscali e amministrative. Abbiamo anche sostenuto negli studi un giovane arrivato a Lampedusa con il barcone, aiutandolo prima a laurearsi in economia e poi a inserirsi nel mondo del lavoro».

E, a proposito di lavoro, i praticanti iscritti al Registro del tirocinio dell’Ordine di Palermo, superato l’esame di Stato per l’abilitazione all’esercizio della professione, spesso decidono di non iscriversi all’Albo dei commercialisti. E così, all’inizio di quest’anno, il numero degli iscritti (1.961) è rimasto invariato rispetto al 2014 perché i praticanti, malgrado siano aumentati (+1,4%), hanno deciso di non accedere all’Albo dopo l’abilitazione. Per il presidente Escheri un tasso di crescita pari allo zero è decisamente «un dato che vale la pena commentare». Qual è il segnale che arriva? «Il segnale che percepiamo – dal dato degli iscritti e da quello degli abilitati che non si iscrivono – è che i giovani trovano molto difficile immaginare un futuro come commercialisti. Il tirocinio li avvicina ad un’esperienza lavorativa» – continua il presidente – «ma, una volta presa l’abilitazione, non si iscrivono all’Albo perché in origine il loro interesse era acquisire un titolo in più per altri sbocchi lavorativi».

E, mentre in molti Ordini locali il numero degli iscritti aumenta perché – in mancanza di altre opportunità – i giovani tentano la carta della libera professione, «da noi questo non accade ed il segnale ci inquieta. Sembra che la nostra professione sia diventata poco attrattiva: quella del commercialista, che comprende in sé tanti ambiti professionali, viene spesso percepita solo come attività di natura fiscale e tributaria; mentre altre funzioni, che pure ci appartengono, vengono spacciate come professioni autonome». Cosa fare per risolvere il problema? «Servirebbe una campagna di comunicazione, anche contro quelle associazioni che contribuiscono a far credere, per esempio, che la revisione sia una professione e non una nostra funzione». In questo contesto si inserisce bene, secondo Escheri, il progetto delle Scuole di alta formazione approvato quest’anno dal Consiglio nazionale. «Le Saf, se inserite con un percorso specifico nella nostra professione, possono rendere più attrattivo il lavoro del commercialista. A Palermo, per esempio, si sta verificando la crescita di professionisti iscritti ad Albi non ordinistici perché alcuni giovani preferiscono iscriversi dove sono meno soggetti a norme disciplinari e deontologiche. Senza dimenticare la disciplina sull’antiriciclaggio». Tuttavia non tutti possono intraprendere il percorso della specializzazione e per loro Escheri propone «la figura del commercialista di base, che svolga – alla stregua del medico di famiglia e per un certo numero di contribuenti scelti dall’Agenzia delle Entrate – una serie di servizi professionali di natura fiscale che dovrebbero essere remunerati direttamente dallo Stato».

Per gli under 40 iscritti all’Ordine di Palermo (sono il 15% contro il 21,2% nazionale) la difficoltà maggiore «è trovare percorsi professionali diversi da quelli tradizionali. Per noi la soluzione è stata organizzare gruppi di studio e di approfondimento con colleghi più esperti. Questi incontri – insieme alle attività promosse dalla nostra Associazione sportiva, come la squadra di calcio – sono occasioni di conoscenza tra il giovane e l’esperto, in un’ottica di collaborazione che possa permettere al primo di “entrare nel giro”, soprattutto a chi non abbia alle spalle uno studio di famiglia».
Spostandoci sul versante femminile, la rappresentanza (28,7%) è tutto sommato in linea con la media nazionale (31,6%). Ma a Palermo a fare la differenza non è tanto la quantità (4 donne su 15 consiglieri) ma la qualità degli incarichi, visto che vicepresidente, tesoriere e segretario sono donne. «Credo che non siano sufficienti le politiche di genere e sono consapevole delle difficoltà che incontrano le colleghe in una società male organizzata per aiutarle. E così abbiamo cercato di privilegiare la componente femminile, anche nei tanti gruppi di studio e nelle commissioni, per dare un segnale forte dentro e fuori la categoria. Una delle prime cose che ho fatto al momento dell’insediamento è aver scritto una lettera alla Regione Sicilia, alla Provincia, ai Comuni della Provincia e al Comune di Palermo sul rispetto della Legge 120 del 2011 sulle cosiddette quote rose, per aiutare le colleghe a ricoprire gli incarichi nelle società pubbliche».

Purtroppo anche a Palermo, come in tanti altri Ordini territoriali, le specializzazioni che vanno per la maggiore tra gli iscritti riguardano «l’ambito professionale legato alle crisi d’impresa, in particolare le procedure concorsuali. Tra l’altro abbiamo partecipato alla costituzione del tavolo regionale ad hoc per un confronto tra le diverse istituzioni (Tribunale, Agenzia delle Entrate, Inps, Inail, ABI) che, a vario titolo, sono coinvolte nelle tematiche della crisi e dell’insolvenza. Vengono poi le specializzazioni legate all’amministrazione dei beni confiscati alle mafie», che sono anche oggetto della Summer School , la manifestazione – giunta alla seconda edizione – che l’Ordine dedica, la prima settimana di settembre, agli amministratori giudiziari di aziende sottratte alla criminalità organizzata. «Il progetto nasce dalla presenza a Palermo di una scuola sugli amministratori giudiziari con cui l’Ordine ha sempre collaborato e dove, negli ultimi anni, si sono formati tantissimi giovani professionisti. Per loro, però, è sempre stato difficile lavorare concretamente in questo ambito.

La Summer School è nata non solo per favorire la formazione ma soprattutto per creare occasioni di conoscenza personale tra magistrati preposti che devono conferire gli incarichi e giovani professionisti interessati ad assumerli. La scelta dei professionisti da parte del Tribunale si basa non solo sui requisiti professionali ma anche su ragioni di fiducia, assolutamente necessarie in un campo tanto delicato. Il progetto si propone di rafforzare il clima di fiducia tra i magistrati e i commercialisti che vogliono operare come amministratori giudiziari. Tutti i partecipanti alla Summer School dello scorso anno hanno avuto occasione di farsi conoscere e iniziare ad operare nel campo delle misure di prevenzione perché si sono attestati come persone affidabili, serie e trasparenti».

L’Ordine, insomma, si propone come una sorta di ufficio di collocamento sui generis in una regione in cui l’economia annaspa e dove il tasso di disoccupazione procede verso il 23%, secondo il 43° Report Sicilia realizzato da Diste Consulting per Fondazione Curella.
«La ripresa è molto lenta. La provincia di Palermo, in particolare, è un territorio con una scarsa dimensione d’impresa. I fondi strutturali europei mancano quasi completamente, facendo sì che le risorse finanziarie – che rappresenterebbero una grande ricchezza per il nostro territorio – siano molto scarse. Cantieristica navale, agricoltura, agroindustria, edilizia attraversano una crisi profonda. Erano settori radicati nella nostra provincia; ma ora hanno difficoltà a ripartire e, nel frattempo, non sono sorti altri ambiti di crescita o settori innovativi. La cantieristica, in particolare, è ferma per la concorrenza nazionale ed internazionale e anche per la ridotta capacità di attrarre investimenti». Di conseguenza, l’influenza del Jobs Act «la stiamo vedendo limitatamente. Non so se da sola questa riforma possa far ripartire il trend occupazionale; ma è comunque un segnale di attenzione che può essere recepito dall’imprenditoria almeno rispetto al lavoro che già c’è».

E in un momento di forte di crisi che investe non solo l’economia, ma la stessa identità dell’amministrazione regionale, non poteva mancare un commento sulla Sicilia di Crocetta: dall’idea di laboratorio politico si è arrivati ad una situazione che ha contribuito a rimettere in discussione l’idea stessa dei paladini dell’antimafia. Parliamo del caso Crocetta-Borsellino, esploso a luglio nei giorni antecedenti l’anniversario della morte di Paolo Borsellino. Escheri si dice «sgomento per quello che è emerso dalle indagini, il quadro fosco di una realtà che si presentava sotto il vessillo dell’antimafia. E tutto è capitato a pochi mesi di distanza dall’arresto del presidente della Camera di commercio (Roberto Helg, ndr), rappresentante della lotta alla criminalità, che aveva creato uno Sportello Legalità anche in collaborazione con gli ordini professionali.

Questi scenari creano un grande disorientamento nella collettività. Penso soprattutto ai giovani che, dovendo immaginare il proprio futuro in Sicilia, accarezzano l’idea di andare via da qui. Ma tutti dobbiamo combattere ancora di più nei rispettivi campi professionali per contrastare la cultura del malaffare che sta emergendo per l’ennesima volta». Il caso Crocetta è esploso proprio nei giorni antecedenti l’anniversario della morte di Paolo Borsellino, alla cui commemorazione Escheri non era presente. «Ho ritenuto di non partecipare, accogliendo una sorta di invito silenzioso da parte della famiglia Borsellino, che ha dato un segnale di discontinuità nei confronti di manifestazioni pubbliche che a volte hanno solo un ruolo di facciata rispetto a comportamenti concreti. Il ricordo personale va ai giorni delle stragi del 1992, quando frequentavo un corso di specializzazione post laurea.

Nella giornata del funerale di Giovanni Falcone, un professore ci chiese di continuare a svolgere normalmente la nostra attività di formazione. A quell’epoca non riuscii ad accettare quel consiglio rispetto all’esigenza di una partecipazione al lutto collettivo; ma ora penso che quel professore avesse ragione, perché il modo migliore per onorare la memoria di qualcuno è continuare a compiere il proprio dovere quotidianamente, con scrupolo, trasparenza ed impegno etico».

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