E’ attesa nei prossimi giorni la pubblicazione del decreto legislativo recante il testo unico in materia di società a partecipazione pubblica. Tra gli interventi di riforma del sistema delle partecipate spicca l’individuazione dell’amministratore unico quale organo amministrativo ordinario delle società a controllo pubblico. Un successivo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri individuerà i criteri in base ai quali, per specifiche ragioni di adeguatezza organizzativa, la società potrà essere amministrata da un organo collegiale di tre o cinque membri.

In tal caso, lo statuto dovrà prevedere un criterio di scelta degli amministratori che assicuri l’equilibrio di genere. Se, da una parte, le nuove disposizioni hanno l’indubbio merito di non dimenticare la tutela del genere meno rappresentato nell’ambito degli organi collegiali di amministrazione delle società a controllo pubblico, dall’altra, stabilendo, quale regola, la nomina dell’amministratore unico, rischiano di vanificare gli sforzi sino ad oggi condotti per promuovere una adeguata rappresentatività di genere nelle attività economiche e una più incisiva presenza femminile nella governance delle imprese.
Com’è noto, in materia di parità di accesso agli organi di amministrazione e controllo delle società a partecipazione pubblica non quotate, è intervenuto l’art. 3 della legge n. 120/2011, che ha demandato a un successivo regolamento, adottato con DPR n. 251/2012, il compito di stabilire i termini e le modalità di attuazione del principio di equilibrio tra i generi, sancito dalla medesima legge per le società quotate in mercati regolamentati.
La disciplina adottata prevede, quindi, che le società adeguino i propri statuti al fine di garantire, per tre mandati consecutivi degli organi amministrativi e di controllo, la presenza di una quota minima del genere meno rappresentato. L’obiettivo è dare impulso a un processo di riequilibrio tra generi che prosegua nel lungo periodo in virtù delle nuove dinamiche comportamentali indotte.

E’ importante, dunque, non interrompere il trend avviato che ha portato, negli ultimi anni, a un decisivo aumento della rappresentanza femminile negli organi di amministrazione e controllo delle società a partecipazione pubblica. Stando ai dati forniti dal Dipartimento Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri, a gennaio 2015 la presenza delle donne nella governance delle società partecipate si attestava intorno al 20%, contro il dato del 4% fornito nel 2009 dalla Consob.

Lo stesso Dipartimento, tuttavia, ha riscontrato, sulla base di dati Cerved aggiornati al medesimo periodo, che nelle società con amministratore unico, la predominanza maschile si attesta addirittura al 91,5%.

E’ pertanto auspicabile che il legislatore, in sede di emanazione del testo unico in commento, al fine di promuovere la parità di genere negli organi di governance delle società a partecipazione pubblica, non si limiti a una enunciazione di principio per i soli casi, marginali, di organi collegiali, ma preveda piuttosto, un sistema premiale ed incentivante, in termini di riconoscimento di maggiori risorse o minori vincoli di spesa, nei confronti degli enti pubblici partecipanti che, per quei medesimi organi, garantiscono nel tempo un’alternanza di genere.

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