L’elevatissimo tasso di litigiosità tra banche e clienti ha fatto sì che si creasse una copiosa giurisprudenza di merito e di legittimità sull’argomento, senza peraltro giungere a dei veri e propri punti fermi su molte delle questioni che vengono portate all’attenzione della magistratura. Basti pensare, ad esempio, alla questione dell’anatocismo. Se alla fine degli anni ‘90 con il D.Lgs. 342/99 (c.d. “salva banche”) e la successiva delibera del CICR del febbraio 2000 sembrava essere stato messo un punto fermo sull’argomento nel senso di consentire, a determinate condizioni e senza validità retroattiva, la capitalizzazione degli interessi nel corso del rapporto altrimenti impedita dall’art. 1283 c.c., il recente art. 1 comma 629 della Legge 147/2013 – che ha modificato il secondo comma dell’art. 120 TUB – sembra aver messo di nuovo tutto in discussione.
Gran parte delle liti in materia bancaria si focalizza in tutto o in parte sulla presunta usurarietà, originaria o sopravvenuta, del rapporto intercorso tra le parti. Su tale argomento lo scontro assume quasi sempre toni feroci, atteso che la questione non esaurisce i propri effetti solo in ambito civile, ma può avere riflessi anche in ambito penale, laddove si possa provare la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, oltre a quello oggettivo.
Se da un punto di vista teorico, il testo dell’art. 644 c.p., novellato dalla Legge 108/96, è chiaro nell’affermare che “per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito”, da un punto di vista pratico la questione diventa decisamente più scivolosa. Ciò è dovuto al fatto che l’attuale formulazione dell’art. 644 c.p. si presenta come “norma penale in bianco”, in cui una parte del precetto è contenuto nel comma 3 dell’art. 644, mentre per un’altra parte (l’individuazione del tasso soglia) si fa riferimento ad una fonte esterna (il Ministero dell’Economia che pubblica le rilevazioni della Banca d’Italia).
Il ruolo della Banca d’Italia, e delle istruzioni che la stessa emana per la rilevazione dei tassi effettivi globali medi ai sensi della legge sull’usura, diventa pertanto centrale nell’ambito del contenzioso bancario. La magistratura non ha fornito un orientamento unanime in merito alla rilevanza delle istruzioni della Banca d’Italia in tema d’usura. Si può anzi dire che il numero di sentenze che nega la validità di tali istruzioni sia almeno pari al numero di quelle che affermano l’opposto.
In tema di finanziamenti, le istruzioni della Banca d’Italia escludono le commissioni (talvolta indicate nei contratti anche come penali o indennità) per l’estinzione anticipata del finanziamento tra gli oneri e le spese da considerare per il calcolo del TEG (Tasso Effettivo Globale). Tali “penali” che il cliente dovrebbe pagare in caso di estinzione anticipata del rapporto sono escluse dal calcolo del TEG, secondo la Banca d’Italia, in quanto “meramente eventuali”.
Tali commissioni si ritrovano frequentemente nei contratti di mutuo (ipotecario o meno), o di altri tipi di finanziamento, e prevedono il pagamento da parte del cliente alla banca di un importo calcolato in percentuale (di solito dall’uno al quattro per cento) sul capitale residuo da restituire alla data di esercizio della facoltà. Alcuni contratti subordinano l’esercizio del recesso anticipato al superamento di una certa data.
Non si tratta, pertanto, di una commissione che si applica inevitabilmente a tali finanziamenti, ma è solo una facoltà concessa al cliente. La “mera eventualità” dell’esercizio del recesso da parte del cliente porta la Banca d’Italia ad escluderne la rilevanza ai fini del calcolo del TEG per la verifica dell’eventuale usura originaria del rapporto.
La motivazione in base alla quale la Banca d’Italia esclude la rilevanza di tali commissioni dalla verifica dell’usura non è condivisibile. A ben guardare, infatti, l’art. 644 c.p. non fa alcuna distinzione tra commissioni eventuali o meno. Anche l’applicazione degli interessi di mora è meramente eventuale essendo relegata esclusivamente alla patologia del rapporto, eppure sia la giurisprudenza di legittimità che quella di merito si sono espresse con pensiero uniforme in merito alla rilevanza di tali interessi ai fini della L. 108/96.
Contrariamente ad altre questioni (una su tutte la rilevanza nel calcolo del TEG della CMS), sulla rilevanza ai fini della L. 108/96 non si rinviene molta giurisprudenza. Di recente, però, il Tribunale di Pescara (sentenza del 21/11/2014) si è espresso anche su tale clausola contrattuale. In estrema sintesi, in tale sentenza il giudice ha osservato che: “…In termini elastici la mora e la penale per estinzione anticipata possono essere tra loro accomunate in quanto entrambe rappresentano un costo del mutuo erogato, seppure solo incerto e potenziale circa il verificarsi in concreto, atteso che entrambe dipendono da un fatto del mutuatario … omissis … Premesso, quindi, che la ratio del legislatore si riscontra nella necessità di contenere i tassi anomali, in armonia alle più recenti mentovate statuizioni della giurisprudenza di legittimità, deve ritenersi che assumono rilevanza ai fini della disciplina antiusura e del superamento del tasso soglia qualsiasi onere collegato alla erogazione del credito e, quindi anche al costo pattuito per l’estinzione anticipata del mutuo”.
Si può dare per acclarata la rilevanza di tale commissione ai fini dell’eventuale superamento delle soglie usura? Sicuramente no. Ancora molto inchiostro dovrà essere versato prima che si possa ritenere formato un certo orientamento giurisprudenziale, e di una cosa possiamo essere sicuri: sarà tutt’altro che univoco.

di Enrico Savio e Alessandro Pane

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