Cambierà tutto. Anzi, molte cose sono già cambiate. La rivoluzione digitale che sta modificando stili di vita, organizzazione del lavoro e sistemi economici impatta inevitabilmente anche sull’attività dei commercialisti, ponendoli di fronte ad una sfida non più rinviabile: mettere da parte legittimi timori e fisiologiche resistenze ed aprirsi al nuovo, più di quanto non abbiano già fatto. Perché quel nuovo sta già modificando nel profondo il quadro di riferimento, a partire dal principale interlocutore della professione, ossia l’universo delle piccole e medie imprese. Quanto avvenuto tra il 1998 -l’anno dell’introduzione del fisco telematico – e il 2015 – che ha segnato l’avvio dell’operazione 730 precompilato e della fatturazione elettronica – è la dimostrazione di come la professione, tra motivati mal di pancia e disponibilità a collaborare (nonostante tutto) con l’amministrazione finanziaria, sia già stata costretta a confrontarsi con l’innovazione. Ma dopo quasi quattro lustri di informatizzazione tutto sommato graduale, è giunto il momento – per la categoria – di porsi alcune domande sul proprio futuro. Cosa che ha provato a fare la Fondazione nazionale dei commercialisti con un questionario intitolato: “Come cambia la professione”. Un sondaggio al quale hanno risposto oltre 2.400 commercialisti, da cui emerge innanzitutto un dato: la categoria non ha paura della rivoluzione digitale del fisco e della contabilità, ma sente l’urgenza di adeguarsi al nuovo contesto e di trovare nuove soluzioni organizzative ed operative per conservare il proprio ruolo.

La maggioranza del campione intervistato (54,4%) afferma di non temere una contrazione della domanda di assistenza fiscale a causa del ricorso a software specializzati – facili da usare ed economici – che potrebbero potenzialmente rivelarsi sostitutivi del commercialista (un’eventualità giudicata invece possibile dal 38%). Così come la parte prevalente degli intervistati (61%) non crede che le Pmi ridurranno la domanda di assistenza contabile e fiscale rivolta al commercialista a seguito dell’introduzione di novità tecnologiche e semplificazioni normative. In sostanza, i commercialisti non sembrano nutrire particolari preoccupazioni in merito al mantenimento dell’assistenza di base alla clientela stabile. Ciò che maggiormente preoccupa sono invece gli effetti che la rivoluzione digitale riverbera sulla professione in termini di sovraccarico di lavoro e di costi organizzativi per gli studi chiamati a fronteggiare nuove modalità operative. E, ancor di più, l’allarme scatta per il possibile ingresso nel mercato di nuovi operatori specializzati, banche e organizzazioni sindacali e datoriali su tutti. Il 56,9% del campione teme questa eventualità, in particolare per la forza organizzativa di tipo industriale che questi soggetti potrebbero mettere in campo.

I commercialisti interpellati concordano (62%) sul fatto che la tecnologia digitale condurrà le Pmi ad automatizzare ogni fase della filiera amministrativa (ciclo della fatturazione, monitoraggio della clientela commerciale, tesoreria, controllo di gestione in ottica finanziaria, contabilità e bilancio), rendendo così i dati digitalizzati accessibili velocemente, riproducibili facilmente e a costi quasi prossimi allo zero. E – sebbene con enfasi minore (43,8%) – concordano anche sul fatto che l’aumentato livello di tracciabilità dei dati di natura amministrativa comporterà per le stesse Pmi benefici (in termini di supporto alle decisioni, conoscenza della clientela, informativa per i finanziatori, riduzione delle aliquote fiscali, incasso dei crediti commerciali, diversificazione delle fonti di finanziamento, monitoraggio del rischio business, ecc.) pari o superiori al costo della rinuncia forzosa alla riservatezza.

Da tutto ciò emerge una diffusa consapevolezza, da parte della categoria, di come la digitalizzazione stia già mutando le modalità di rapportarsi con le piccole e medie imprese italiane. I cambiamenti che coinvolgono queste ultime sono inevitabilmente cruciali per comprendere anche i cambiamenti in cui sarà coinvolta la professione. «Fra le nuove tendenze in atto nei paesi industrializzati, quali globalizzazione dei mercati, nuove tecnologie delle comunicazioni e delle informazioni, contrazione del ruolo dello Stato imprenditore, cooperazione fra Stati per definire regole e comportamenti comuni» – spiega il presidente della Fondazione nazionale dei commercialisti, Giorgio Sganga – «vi è anche quella di individuare l’impresa privata come il principale “motore” della creazione di ricchezza e di occupazione e lo Stato come il mero facilitatore dell’iniziativa imprenditoriale e della concorrenza. Ciò assume un particolare rilievo per la realtà economica italiana, nella quale questo “motore” è rappresentato dalle micro, piccole e medie imprese a conduzione prevalentemente familiare. Da esse dipende, in definitiva, buona parte dell’evoluzione della professione di commercialista. Per questo la nostra ricerca ha dedicato un focus importante proprio alla comprensione di quale futuro i colleghi prospettino -, dal loro osservatorio privilegiato di operatori sul campo – per l’impresa privata del nostro Paese». Il campione si è diviso tra chi ritiene che essa tenderà a ridursi a favore di imprese più strutturate (43%) e chi invece ritiene che ciò non accadrà (47%).
I commercialisti non hanno però dubbi (79,8%) sulla necessità che il tipo di governance familiare di tale tipologia di imprese evolva sempre più verso una maggiore specializzazione sul “core business” aziendale, coinvolgendo professionisti esterni nella conoscenza dei fatti aziendali per migliorare la qualità delle decisioni di breve e lungo periodo. «Il processo di globalizzazione in atto» – secondo il presidente nazionale della categoria, Gerardo Longobardi – «vede l’impresa privata sempre più al centro dei processi economici e produttivi e, in particolare, la piccola e media impresa come la struttura aziendale meglio rispondente agli sviluppi futuri del paradigma economico e produttivo. Con questa importante tendenza in atto la professione deve confrontarsi a viso aperto, senza il timore di trasformazioni economiche che possano impattare sulla natura delle singole unità produttive e – in definitiva – imprenditoriali».

E’ evidente come ogni riflessione sull’evoluzione della professione, in un contesto fortemente caratterizzato dai processi di digitalizzazione in atto, non possa che intrecciarsi anche sulla contestuale, possibile evoluzione delle nostre imprese a conduzione familiare. I limiti organizzativi e gestionali che, secondo molti analisti, le rendono storicamente poco adatte ad affrontare il mercato concorrenziale sono: la bassa managerialità, l’accentramento delle decisioni, la scarsa formalizzazione dei ruoli interni, strumenti di controllo inadeguati, ritardi nella rendicontazione. Ostacoli sulla via della crescita che, secondo il campione del sondaggio, le aziende potrebbero superare assumendo stabilmente risorse manageriali e specialistiche di provenienza esterna alla famiglia, superando la loro storica riluttanza verso queste figure professionali (61,5%) oppure rivolgendosi di volta in volta a professionisti specializzati (77%). O, ancora, orientandosi verso lo studio del commercialista (72,7%), che assumerebbe – gradualmente – il ruolo di consulente per tutte le problematiche non tecniche (come il sovraintendere all’azienda, agire come assistente personale o anche coach dell’imprenditore, tenere i rapporti con tutti i finanziatori della Pmi). Tre opzioni diverse, alle quali i commercialisti interpellati hanno risposto comunque favorevolmente. Risposte solo in apparenza tra di loro contraddittorie. «L’evoluzione dell’impresa a conduzione familiare italiana non è ancora chiara, neppure ai commercialisti.» – sostiene Sganga – «Eppure mi pare evidente l’interesse che essi mostrano per i modelli della professione specialistica e per l’ampliamento dell’area di collaborazione dello studio verso una consulenza aziendale più ampia e strutturata. C’è su questo fronte un’aspettativa molta alta e diffusa tra i colleghi».

In un contesto economico che, per i commercialisti, è allo stesso tempo incerto e turbolento ma anche promettente per la presenza diffusa di Pmi “dinamiche” (concentrate sull’innovazione, sull’accorta gestione e sul controllo dell’accresciuto livello dei rischi aziendali) l’indagine della Fondazione nazionale si è interrogata anche sullo sviluppo di un’offerta di servizi consulenziali ad alto valore aggiunto. Proprio queste Pmi “dinamiche” esprimono una potenziale domanda di servizi orientati allo sviluppo più che all’assistenza di base. E’ evidente come dal lato dell’offerta di tali nuovi servizi vincerà chi è in possesso di una conoscenza approfondita delle problematiche sia interne che esterne all’azienda (settore, mercato, normativa, tecnologie, ecc.). Tutte opportunità che la stragrande maggioranza dei commercialisti giudica alla sua portata, tanto che ben il 75% del campione ha risposto di non concordare con l’affermazione secondo la quale il commercialista – data la sua natura contabile e fiscale – non ha la possibilità di coglierle. Una parte consistente degli intervistati (oltre il 67%), però, lamenta che l’evoluzione del fisco telematico e la complessità della normativa tributaria e contabile rendono il lavoro del commercialista sempre più problematico, costoso e carico di responsabilità, facendogli perdere di vista quelle stesse opportunità. Sul piano strettamente organizzativo – ovvero sul piano delle proposte operative per rendere tale opportunità concretamente realizzabile – un’ampia maggioranza del campione (80%) ritiene fondamentale perseguire logiche di aggregazione per sfruttare le varie economie organizzative e dimensionali (economie di scala, di specializzazione e di apprendimento), mentre una percentuale sempre maggioritaria ma decisamente più bassa (52,7%) si è espressa per la ricerca di una maggiore integrazione con altri soggetti esterni alla professione (come le banche o le società di consulenza o le società di revisione). La propensione all’innovazione e la voglia di gestire il cambiamento, insomma, ci sono. Sarà su questo terreno che si giocherà il futuro della professione.

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