“Per finanziare la riduzione del cuneo fiscale la manovra sposta risorse dal comparto del lavoro autonomo a quello dei dipendenti. Per le partite Iva non c’è alcuna attenzione”. Lo ha affermato oggi il consigliere nazionale dei commercialisti codelegato alla Fiscalità Maurizio Postal, nel corso dell’audizione svoltasi presso preso le Commissioni congiunte Bilancio di Camera e Senato. Oltre a Postal, della delegazione dei commercialisti faceva parte anche Pasquale Saggese, responsabile dell’area Fiscalità della Fondazione nazionale della categoria.

Secondo Postal “è giusta la volontà del Governo di impiegare risorse sulla riduzione del cuneo fiscale per i lavoratori dipendenti, con un intervento che vale circa la metà di quello fatto nel 2014 e che porterebbe quindi a 15 miliardi le risorse complessivamente impiegate in modo strutturale su questo fronte negli ultimi 5 anni. Ma non possiamo non richiamare l’attenzione sul fatto che questa condivisibile linea d’azione non viene portata avanti in parallelo ad una pari attenzione verso il lavoro autonomo, bensì spostando risorse da un comparto all’altro in modo molto netto e rilevante”.

I commercialisti hanno ricordato come la manovra interviene sui regimi fiscali speciali che, a legislazione vigente, consentono alle partite IVA individuali con fatturato compreso tra 65.001 e 100.000 euro di optare per una tassazione al 20 per cento del reddito di impresa e di lavoro autonomo analiticamente determinato e con fatturato fino a 65.000 euro di optare per una tassazione del 15 per cento del reddito di impresa e di lavoro autonomo forfettariamente determinato. “L’effetto combinato dell’abrogazione del primo regime e delle modifiche recate al secondo – ha evidenziato Postal – è quello di recuperare all’Erario gettito per 209 milioni nel 2020, 1,8 miliardi nel 2021 e 1,2 miliardi nel 2022”.

“Il punto – secondo i commercialisti – non è tanto la scelta di procedere a queste abrogazioni e modifiche. Il punto di equilibrio trovato potrebbe essere accettato senza troppe recriminazioni, a patto però che almeno una parte delle risorse così recuperate fosse reimpiegata in altre misure per il lavoro autonomo ritenute politicamente più importanti e calibrate di quelle abrogate. Abrogare il regime del 20 per cento per rendere accessibile quello del 15 per cento anche a chi sceglie di fare impresa o libera professione in forma associata, eliminando così il disincentivo implicito alle aggregazioni professionali e l’incentivo implicito alle disaggregazioni delle aggregazioni esistenti che l’attuale assetto normativo determina, sarebbe una legittima scelta politica di ottimizzazione delle risorse disponibili anche nell’interesse del mondo del piccolo lavoro autonomo. Prendere invece l’intero “bottino” di gettito che si ricava dalle modifiche che riguardano il comparto del piccolo lavoro autonomo e spostarlo fino all’ultimo euro su altri comparti – ha concluso Postal – è scelta politica ovviamente altrettanto legittima, ma anche altrettanto chiara e persino sorprendentemente netta nella sua evidenza”.

Nel corso dell’audizione, i commercialisti hanno sottolineato anche la presenza in manovra di troppi balzelli che, secondo loro, sarebbe possibile ridurre. La proposta formulata dal Consiglio nazionale dei commercialisti è quella di riservare alla misura sperimentale del cashback una dotazione di 1,5/2 miliardi, anziché quella di tre miliardi attualmente prevista in manovra, per ridurre una serie di fonti di copertura come quelle relative alla plastic tax, alla sugar tax e alle auto aziendali.

“Condividiamo la volontà politica di introdurre forme di premialità volte ad incentivare l’utilizzo della moneta elettronica – ha continuato Maurizio Postal nel corso dell’audizione – ma riteniamo meritevole di un momento di riflessione ulteriore il fatto che si destinino ben 3 miliardi a questa misura in un contesto di manovra che, nella ricerca di una quadratura dei conti oggettivamente non semplice, introduce numerosi balzelli, alcuni dei quali per altro più negativi in termini di impatto sui contribuenti che non positivi in termini di gettito per l’Erario”.

“Oltre alla plastic tax, alla sugar tax e all’aumento della tassazione dei redditi dei dipendenti con auto aziendali in uso promiscuo – ha affermato il consigliere nazionale dei commercialisti – di cui tanto si dibatte per la loro rilevanza quantitativa nei saldi di bilancio, si contano gli aumenti di tassazione che deriveranno dalle modifiche alla disciplina fiscale dei buoni pasto – giuste nella parte in cui incentivano il ricorso ai buoni pasto elettronici, ma discutibili in quella in cui peggiorano la legislazione vigente per quelli cartacei – e delle detrazioni IRPEF al 19 per cento per i contribuenti con reddito complessivo superiore a 120.000 euro. Riservando alla misura sperimentale del cashback una dotazione di 1,5/2 miliardi, comunque consistente e di primissima fascia, rapportata alle dotazioni finanziarie delle altre misure della manovra, si potrebbe agevolmente ridurre o direttamente eliminare una serie di fonti di copertura attualmente previste nella manovra”.

 

 

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