“Il Consiglio Nazionale dei Commercialisti è un’istituzione aperta al dialogo, ma di fronte alle scelte di merito e di metodo compiute negli ultimi mesi dall’amministrazione finanziaria, nessun argomento contrario può essere opposto a colleghi che invitano a uno sciopero degli intermediari fiscali”. Nell’intervento tenuto davanti ai 1500 delegati arrivati alla Nuvola di Fuksas a Roma per l’Assemblea generale dei commercialisti, il presidente nazionale della categoria, Massimo Miani, non ha certo aggirato il tema dei rapporti problematici con l’Amministrazione finanziaria, facendo un’apertura sull’eventualità di un’astensione dal lavoro degli intermediari fiscali.

Rivolgendosi all’Agenzia delle Entrate, Miani ha chiesto “un cambio di registro e un dialogo vero”. Le scelte compiute negli ultimi mesi in ambito fiscale da Governo e Agenzia sono state, secondo il presidente dei commercialisti, “inaccettabili”. Per questo, anche in vista dell’ormai imminente cambio al vertice delle Entrate, la cui guida sarà a breve affidata a Marco Maria Ruffini, Miani ha parlato della necessità di “ripartire da zero”. Rapporti da reimpostare ex novo, dunque, anche perché tra i commercialisti c’è un “profondo disorientamento”. “È impensabile”, ha spiegato, “che all’esito di un anno di confronto al cospetto di tavoli tecnici sugli adempimenti fiscali con la prospettiva di una dozzina di semplificazioni micro-settoriali ci si ritrovi, direttamente in Consiglio dei Ministri, dinanzi a decreti che quadruplicano gli adempimenti con novità di cui non si è mai fatto nemmeno lontanamente cenno”. “Se diventa sistematico”, ha proseguito, “come lo è stato alla fine del 2016 e in queste settimane, il mancato aumento di imposte accompagnato però dall’aumento esponenziale degli adempimenti e dei vincoli, allora non vi è reale contenimento della pressione fiscale, ma pura e semplice concentrazione degli aumenti tutti in capo a chi lavora e produce in un contesto di crescente e preoccupante burocratizzazione del sistema”.

Miani ha quindi parlato di “sagra della complicazione fiscale”, ricordando come gli interventi fiscali negli ultimi mesi “si sono succeduti in modo disorganico con alcune timide semplificazioni alla rinfusa e, di contro, in modo assolutamente organico con alcune significative complicazioni tutte concentrate sui titolari di partita Iva”.

“L’introduzione delle comunicazioni trimestrali delle liquidazioni IVA, la quadriplicazione dei termini di presentazione dello spesometro, l’ampliamento dello split payment e la stretta sulle modalità di compensazione e di detrazione dell’IVA – ha detto – disegnano un quadro insostenibile”.

A dimostrazione delle difficoltà che la categoria si trova ad affrontare, Miani ha illustrato i risultati di un sondaggio al quale hanno risposto quasi quattromila commercialisti, dai quali emerge come il 70% dei ricavi di uno studio tipo (un titolare e due addetti) vada ogni anno in fumo proprio a causa dei costi imputabili agli adempimenti fiscali.

I costi dello studio tipo per gli adempimenti, calcolati dal sondaggio partendo dalle risposte fornite dai commercialisti intervistati, sono pari a 61.500 euro annui e sono composti dal costo medio delle ore lavorate dei due addetti pari a 52.900 euro, dal costo medio del software pari a 6.370 euro e dal costo medio di formazione, banche dati e riviste pari a 2.230 euro. Il fatturato dello stesso studio tipo derivante dagli adempimenti è invece stimato in 73.600 euro. Sempre sulla base dei risultati del questionario, il valore delle ore lavorate dal titolare per gli adempimenti fiscali (100 giornate per 400 euro al giorno) è pari a 40mila euro annui, di cui solo 12,100 realmente incassati. Infatti vanno in fumo per i costi degli adempimenti 27,900 euro all’anno, quasi il 70% del totale.

Di fronte a questa evidente difficoltà economica e reddituale, certificata anche dal Rapporto 2017 sulla professione, messo a punto dalla Fondazione nazionale dei commercialisti, Miani ha insistito sulla necessità di introdurre l’equo compenso per i professionisti e sulla individuazione di funzioni sussidiarie che la Pubblica amministrazione potrebbe delegare alla categoria, come previsto dal Jobs act del lavoro autonomo. Quattro quelle per il momento suggerite dai commercialisti alla politica: si va dal rilascio del Durc fiscale (Durf) alla gestione del Registro dei Revisori Legali, dall’attestazione degli adempimenti previsti dalle norme anticorruzione alla certificazione nell’ambito dei finanziamenti comunitari. Il tutto in quadro che, secondo Miani, dovrebbe valorizzare la funzione insostituibile dei liberi professionisti italiani.
Un impegno che i commercialisti chiedono alla politica che, nelle video interviste proiettate alla Nuvola a Berlusconi, Di Maio, Richetti e Salvini, ha fatto diverse aperture al sistema ordinistico.

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