La recente riforma del reato di cui all’art. 2621 del Codice Civile, rubricato come false comunicazioni sociali, oltre che dei seguenti 2622 (false comunicazioni sociali in danno della società, dei soci e dei creditori), 2621 bis (fatti di lieve entità) e 2621 ter (non punibilità per particolare tenuità) ha posto al centro dell’attenzione dei commentatori la locuzione “fatti materiali rilevanti”, scatenando i giuristi sulla questione se ad esempio le valutazioni rientrino o no nell’ambito di operatività della norma penale. Tuttavia, senza nulla voler aggiungere al dibattito giuridico, occorre, ad avviso di chi scrive, intellettualmente operare secondo un percorso logico che, prima ancora del diritto, prenda avvio dalla lingua con la quale il diritto stesso si esprime.

E’ principio sancito nelle disposizioni contenute nell’art. 12 delle preleggi che ad una norma si debba dare interpretazione in base al significato proprio delle parole secondo la connessione di esse (cosiddetta interpretazione letterale) e secondo l’intenzione del Legislatore, mentre l’interpretazione analogica è espressamente vietata nel diritto penale e l’interpretazione teleologica non è spesso indiscussa in quanto difficoltoso raggiungere a livello ermeneutico un consenso unanime sulla ratio legis. Tornando tuttavia alla questione linguistica, sarebbe uno sforzo apprezzabile quello di dare un’interpretazione letterale, traendo spunto dall’italiano, senza necessariamente dover richiamare quanto da taluni asserito, e cioè che la locuzione “fatti materiali rilevanti” sia la traduzione dell’inglese material facts. Infatti la norma, espressa nella nostra lingua, è in se stessa sussistente, senza che si debba, né si possa, affidarsi a lingue straniere per ottenerne una coerente interpretazione. Inutile nascondere il fatto che sia l’aggettivo “materiale” l’oggetto del contendere, aggettivo che, purtuttavia, campeggia a bella posta nel cuore della novella.

Ora, “materia” è il sostantivo che genera l’aggettivo qualificativo “materiale” che, nell’autorevole vocabolario Treccani, viene definito come “della materia, che consta di materia, di cose che si presentano come oggetti sensibili e occupano un’estensione spaziale: una realtà materiale; beni materiali, in economia, le ricchezze, cioè i beni consistenti in cose corporee, considerati dalla scuola classica gli unici beni economici”. Tale aggettivo ha poi come contrari le locuzioni “formale” ed “ideale”. Ecco che allora prende forma un’idea più definita, più chiara: “materiale” è quindi aggettivo riferito alla sostanza, alla realtà sottostante, fisica, in opposizione ad un concetto, “formale”, assimilabile al significante, la forma che in questo è differente dal significato, il contenuto, il nostro “materiale”. Si potrebbe scomodare Aristotele, che distingue i concetti di “sostanza” e di “accidente”: mentre il primo significa la materia, l’essenza, il secondo significa ciò che appartiene ad una cosa e che può essere affermato con verità della cosa, ma non sempre né per lo piú. Sostanza, in greco hypokeimenon, in latino substantia, è ciò che sta sotto (sub-stantia), è costitutivo di ogni cosa e si distingue da ciò che è accessorio, contingente e che Aristotele chiama appunto “accidente” (in greco symbebekòs, in latino accidens, “che accade”), che diviene così un semplice attributo.

Concludendo, il concetto di “materiale” nel bilancio d’esercizio in qualche misura si disvela, si oggettiva cioè in un’idea di esistenza sostanziale del “fatto rilevante”, prescindendo pertanto dal concetto di “accidentale”, che lo stesso potrebbe valutare, rappresentandolo solo formalmente (formaliter) ma non sostanzialmente (substantialiter).

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