Con la Legge 221/2012, che ha convertito il Decreto Crescita 2.0, è stata introdotta per la prima volta nell’ordinamento del nostro Paese la definizione di nuova impresa innovativa o startup innovativa.
Il provvedimento nasceva con l’obiettivo di promuovere la visione di un’Italia più favorevole all’innovazione – fattore chiave per lo sviluppo e la crescita – ma anche di generare importanti implicazioni di natura sociale e culturale.
In linea con quanto proposto nel Rapporto Restart, Italia!, elaborato dalla specifica task force, le misure del provvedimento toccano tutti gli aspetti più importanti del ciclo di vita delle start up innovative: dalla nascita fino alle fasi di crescita, sviluppo e maturazione.

Forse è ancora presto per tracciare bilanci sui provvedimenti, ma è incontestabile che, sul piano globale e dei singoli mercati locali, vi sono un grande fermento ed un sentimento di open innovation che consente di pensare fuori dagli schemi, confrontare idee, analizzare problemi, trovare soluzioni e trasformarle in realtà in pochissimo tempo. Inoltre, sono state introdotte e regolamentate delle opportunità rivoluzionare, sconosciute o quasi alla realtà imprenditoriale quali, ad esempio, il crowdfunding, l’equity-based ed il work for equity, anche se ancora da valutare per la concreta applicabilità e opportunità di convenienza.

I risultati potranno essere determinati nell’ottica del medio-lungo temine, sperando che le potenzialità dell’impianto normativo abbiano dato i primi frutti ed affinato quanto da migliorare; ma, intanto, nella sezione speciale del Registro delle Imprese dedicata alle startup innovative, presente sul sito del Ministero dello Sviluppo Economico, viene pubblicato un report delle società iscritte, aggiornato periodicamente, che testimonia come centinaia di imprese siano impegnate attivamente nella creazione di un ecosistema maggiormente favorevole all’attività imprenditoriale.
Analizzando i dati dell’ultimo rapporto annuale – e relativi alla data del 30 giugno 2015 – emerge un trend delle iscrizioni che, escludendo il picco iniziale dei primi mesi del 2013 a poca distanza dall’avvio della policy, ha registrato una crescita pressoché lineare durante gli ultimi due anni, un fenomeno in controtendenza rispetto alla natalità complessiva delle imprese italiane.

In media, ogni settimana, sono nate da Milano a Palermo 40 nuove imprese innovative, accedendo al regime di agevolazioni; otto province hanno registrato una quota superiore alle 100 startup innovative (Milano, Roma, Torino, Bologna, Napoli, Modena, Firenze e Trento).
Sotto il profilo occupazionale, sempre secondo i dati di fonte camerale e sempre fino alla fine del giugno scorso, le startup innovative impiegavano quasi 20.800 lavoratori (16.861 soci – presumibilmente coinvolti direttamente nell’attività d’impresa come soci lavoratori – e 3.924 dipendenti), circa 2.900 unità in più rispetto al trimestre precedente e 5.800 in più rispetto a fine 2014.
Per quanto riguarda il fattore capitale umano, si osserva che un quarto delle startup presenti nel Registro risultava costituito da imprese giovanili (under 35). Si tratta di un valore più che doppio rispetto al peso percentuale riscontrabile nel totale imprese (12%) e pari a quattro volte il dato relativo alle società di capitale (7%). Tale gap si amplifica notevolmente qualora si osservino tutte le società in cui è presente almeno un giovane nella compagine dei soci o nell’organo amministrativo: 41% per le startup vs 13,6% per le società di capitali (Fonte: Relazione annuale startup e PMI innovative 2015 Ministero dello Sviluppo Economico).

Infine, per quanto concerne la distribuzione territoriale, l’area meridionale ha ospitato il 22,3% delle startup innovative del Paese, le regioni del Centro il 21,4%, quelle del Nord il 56,3% (30,7% Nord-ovest, 25,6% Nord-est). La regione italiana che ha registrato la quota più elevata è stata la Lombardia (21,8%), seguita da Emilia-Romagna (11,9%), Lazio (9,8%), Veneto (7,5%) e Piemonte (7,1%). Tra le regioni del Mezzogiorno, spiccavano Campania e Sicilia che si collocano al settimo ed all’ottavo posto della classifica nazionale, rispettivamente, con il 5,8% e il 4,3% delle startup totali.
Tuttavia la nascita delle start up innovative non significa che esse continuino a rimanere sul mercato come società. Proprio a fronte della forte eterogeneità che caratterizza il campione delle oltre 5.300 startup innovative riportate nel registro imprese, non risulta semplice fornirne una visione d’insieme.

«Nel complesso», spiega Antonio Ghezzi, direttore dell’Osservatorio Startup Hi-tech della School of Management del Politecnico di Milano, fondato da Andrea Rangone, «contrariamente a ciò che avviene in altri contesti più dinamici, quali il mondo anglosassone dove il tasso di mortalità delle startup è elevato ma si riscontra un costante afflusso di nuovi ingressi e le condizioni al contorno fanno sì che i casi di successo tra le startup sopravvissute siano più numerosi e più eclatanti, in Italia si riscontra un buon tasso di sopravvivenza, senza però forti dinamiche evolutive di crescita».
Nel tentativo di identificare dinamiche di dettaglio rispetto a questo universo ampio, il gruppo di ricerca dell’Osservatorio ha optato per concentrarsi sul sottoinsieme di startup innovative che hanno ricevuto finanziamenti da investitori istituzionali (ad esempio Venture Capital) e non istituzionali (quali gli investitori privati o “Business Angel”), ritenendo il finanziamento una prima ma sostanziale discriminante per valutare qualità ed innovatività della startup in esame.

«Mappando le startup finanziate tra il 2012 e il 2015», aggiunge Ghezzi, «abbiamo riscontrato una buona dinamica di sopravvivenza: su un totale di 364 startup finanziate dal 2012, 230 sono rimaste attive ed operative (ossia, “vive”) lungo tutto l’orizzonte di riferimento 2012-2014». Queste startup hanno mostrato interessanti dinamiche di crescita relativa nel triennio, passando da un fatturato medio di 558.000 € nel 2012 a 756.000 € nel 2014, e da 4 a 6 dipendenti assunti a bilancio (sempre nello stesso periodo). Dinamiche interessanti, ma che denunciano anche, secondo Ghezzi, «una dimensione assoluta certamente ridotta, che rende più difficile alle startup italiane il competere con equivalenti realtà internazionali» (Fonte: Osservatori Startup Hi-tech della School of Management del Politecnico di Milano).

E sempre facendo un raffronto con l’estero, Ghezzi aggiunge che «ad oggi l’ecosistema startup hi-tech italiano difficilmente regge il confronto con altri ecosistemi europei, soprattutto a causa del limitato apporto di capitali di cui le startup italiane possono godere. Gli investimenti in startup hi-tech italiane da parte di venture capital sono stati nel 2014 pari a 63 milioni di €, circa un decimo di quanto investito dai VC in Francia e Germania e la metà degli investimenti in Spagna. Se dovessimo guardare oltre oceano, il paragone risulterebbe ancor più insostenibile: parliamo di una differenza di due ordini di grandezza, circa 300 volte superiori ai nostri investimenti nazionali». A fare la differenza sono stati gli investimenti provenienti da investitori non istituzionali (+32%) che stanno rivestendo un ruolo preponderante in Italia, a fronte di un calo di fondi provenienti da fonti istituzionali (-8%).
Se il dato francese è in linea con lo sviluppo dell’economia del Paese, colpisce quello spagnolo che riporta investimenti doppi rispetto a quelli italiani pur nel contesto di un’economia non basata sull’innovazione ma su altri settori merceologici, mentre gli investimenti in Italia non sono ancora in linea con il PIL e con la dimensione della nostra economia nello scenario globale.

In termini di settori, il focus principale degli investimenti – sempre secondo i dati dell’Osservatorio del Politecnico – è stato sull’alta tecnologia (non solo digitale, ma anche Biotech & Life Science e Cleantech & Energy). A livello di finanziamenti, il 68% va a startup nel digitale, seguite dal 23% in Life Science e dal 4% in Cleantech&Energy. La tipologia di prodotti realizzati è estremamente vasta, coprendo diversi ambiti nei macro-comparti IT, Medicale ed energetico.
Spostandosi invece sul piano specifico dei provvedimenti in materia fiscale e societaria, che hanno un diretto impatto sulle società, Andrea Foschi, consigliere nazionale dei commercialisti delegato al Diritto societario, sottolinea come «l’aspetto negativo della start up innovativa è che non vi è reale vantaggio fiscale con detrazioni IRPEF o IRAP per l’imprenditore che la costituisce, ma solo per chi investe all’interno della società e, dunque, se l’imprenditore non ha una capacità finanziaria propria, deve puntare sull’investimento ed il recupero del capitale. Purtroppo, se il prodotto non è immediatamente compreso ed acquisito dal mercato, la società nasce e muore nel giro di poco tempo». Pur apprezzando le misure introdotte nel passato, Foschi spiega però che «non sono ancora sufficienti a dare la spinta necessaria». Per il consigliere nazionale dei commercialisti «attualmente si hanno dei vantaggi a livello di diritto societario. Ad esempio, la newco non è soggetta a fallimento nelle procedure concorsuali; se le perdite non sono superiori ad un terzo, non intaccano il minimo legale e possono essere riportante per due anni di esercizio anziché uno come nelle altre società. Ma si tratta di vantaggi che non aiutano lo sviluppo delle società innovative. Oltre ad incentivare gli investimenti, sarebbe opportuna una riduzione fiscale diretta dell’imprenditore».

E’ in questo contesto che emerge con chiarezza l’importanza della funzione dei commercialisti. Un ruolo determinante, secondo Foschi, «sia nella fase iniziale in cui consigliamo l’imprenditore sulla scelta della tipologia di società e sulla costituzione della forma giuridica più idonea, sia nello studio del business plan, nella ricerca degli investimenti più opportuni e nell’identificazione dei costi iniziali».
Alla luce di queste considerazioni, nonostante le risorse a disposizione dell’ecosistema siano ancora limitate, specialmente confrontando gli investimenti italiani con quelli di altri Paesi europei, è possibile affermare che le startup in grado di attirare investimenti dimostrano evidenti trend positivi di crescita che lasciano nutrire aspettative positive sugli sviluppi futuri.

Intanto il Ministero dello Sviluppo Economico e l’Istat hanno lanciato #StartupSurvey, l’iniziativa voluta per effettuare il primo vero e proprio censimento delle startup italiane innovative, chiedendo ad ognuna di esse di rispondere ad un questionario. Lo scorso 31 marzo, le neo imprese hanno ricevuto nella propria PEC l’invito alla compilazione del questionario, che dovrà essere inviato entro il prossimo 15 maggio.
L’obiettivo del Mise è quello di raccogliere il maggior numero di informazioni sulle startup innovative operanti in Italia, per continuare nel percorso di sviluppo di servizi di qualità: in particolare, le richieste vertono inizialmente sul tema del capitale umano (dalla storia dei fondatori alla nascita dell’idea innovativa) per poi spostarsi ai finanziamenti ed all’approccio della startup all’innovazione.
L’ultima parte, invece, è dedicata alle domande inerenti la conoscenza della Startup Policy e delle normative vigenti in Italia: le imprese intervistate, alla fine del questionario, avranno uno spazio libero in cui raccontare le proprie esigenze e suggerire l’introduzione di nuove normative.

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