«I decreti che sono già in stato di lavorazione avanzata sono tre: servizio civile, impresa sociale e reti associative di secondo livello; speriamo di concluderli entro il 2016». Il sottosegretario al Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, Luigi Bobba, si è dato un calendario di lavoro intenso per pubblicare tutti i decreti attuativi della Legge delega di Riforma del Terzo settore entro il tempo previsto: maggio prossimo.

Il Codice quindi scivola al nuovo anno?
«Sì, ci stiamo lavorando, ma è l’opera più innovativa e complessa, e quindi richiede più tempo, perché dentro il Codice troverà spazio anche la rivisitazione delle norme di carattere tributario».

Ed il 5 per mille?
«Pensiamo di dedicargli un decreto apposito, vista l’importanza della materia in termini di risorse ma anche le problematiche. Abbiamo due deleghe importanti: la prima è una revisione dei criteri di accesso al beneficio; la seconda riguarda la rendicontazione e la trasparenza dell’uso delle risorse».

Si restringerà il numero degli aventi diritto?
«Se nel Codice definiamo chi fa parte del Terzo settore, questo avrà una ricaduta anche sul 5 per mille. Rimarranno comunque gli enti iscritti al Registro. Non dimentichiamo che l’art. 4 della legge delega dice che l’accesso ad eventuali benefici di natura fiscale od altro avviene se si è iscritti al Registro».

Cambierà il modo di ripartire i fondi?
«C’è una proposta fatta dall’ex Agenzia per il Terzo settore, presieduta da Stefano Zamagni, sulle risorse oggi assegnate in modo indistinto (il cittadino può scrivere il codice fiscale di un ente oppure limitarsi ad indicare una finalità di ordine generale, senza specificare l’ente). Attualmente le risorse indistinte sono distribuite tenendo conto delle indicazioni puntuali dei cittadini, quindi premiano i più grandi. La proposta dell’Agenzia è che possano, invece, servire per premiare le organizzazioni con meno risorse destinate. Stiamo valutando, così come stiamo ragionando sul problema di quelle piccole associazioni che non raggiungono una cifra significativa, per le quali la spesa amministrativa è maggiore del vantaggio».

In che modo il Registro potrà essere uno strumento di trasparenza?
«Dovrà rendere accessibili – in primis alle istituzioni e poi ai singoli cittadini – il “chi è” di una organizzazione. Se gli Enti non profit sono meritevoli di un sostegno da parte dell’istituzione pubblica, è bene che gli atti essenziali della loro vita – che cosa sono, cosa fanno, chi li guida, quali bilanci hanno – siano conoscibili, come del resto avviene nel mondo delle imprese. Il Registro avrà anche funzione di monitoraggio costante dei nati e morti. Il fatto che l’Istat avesse individuato 476mila organizzazioni nei registri esistenti e, poi, ne ha censiti solo 301mila ci dice che c’è un problema».

Sarà obbligatorio pubblicare e depositare il bilancio?
«Sicuramente ci sarà per tutte le imprese sociali. Per il mondo associativo stiamo valutando quali documenti dovranno essere inseriti nel Registro».

Ed il bilancio sociale?
«L’art. 7 della legge delega prevede che il sistema di controlli sia basato anche sulla valutazione di impatto sociale. Uno dei compiti del Consiglio nazionale del Terzo settore sarà quello di delineare le linee guida del bilancio e della valutazione di impatto. Penso di creare, in ottobre, una commissione che metta insieme tutti coloro che, a diverso titolo – università, ricerca, ecc. -, hanno creato indicatori, per arrivare a delinearne di univoci e condivisi».

Non sarà facile, vista l’eterogeneità del settore.
«L’art. 9 impegna ad individuare norme unificanti, ma anche a differenziarle a seconda del dimensionamento. Sappiamo che i 2/3 delle associazioni hanno meno di trentamila euro di bilancio: non posso mettere loro gli stessi obblighi di chi ha bilanci milionari».

L’eterogeneità è un problema anche su altri piani.
«L’eterogeneità è la forza di questo mondo, ma anche il suo limite. Ecco perché abbiamo pensato al decreto sulle reti associative di secondo livello. Vogliamo che nessuno perda la propria identità, ma volgiamo anche un governo di questo sistema più qualificato. I piccoli possono associarsi nelle reti, che possono svolgere alcune funzioni importanti. Le reti vanno riconosciute, certificate e, se ne avremo le risorse, sostenute».

Impresa sociale: in che modo si pensa di renderla “appetibile” per gli Enti no profit?
«Stiamo cercando di introdurre sostegni ed incentivi per creare un vero e proprio polo di imprese sociali. Un polo alimentato da due affluenti: uno costituito da nuove start up – utilizzando incentivi simili a quelli usati per le start up tecnologiche – e l’altro costituito dal transito di soggetti, che oggi gestiscono attività imprenditoriale in forma associativa, verso una forma giuridico-organizzativa più appropriata, come l’impresa sociale. Carlo Borzaga, facendo un’analisi disaggregata dei dati Istat, ha scoperto più di 11mila organizzazioni che hanno forma di associazioni o fondazioni ma un bilancio market oriented. Sicuramente con gli incentivi e le facilitazioni previsti dalle nuove norme, una buona parte, pur mantenendo la propria vocazione, può darsi la forma di impresa sociale, assumendosene gli obblighi, insieme ai vantaggi».

Please follow and like us:
Pin Share
Leggi anche

STAI CERCANDO

Send this to a friend