Dopo l’approvazione del primo decreto legislativo sul servizio civile universale da parte del Consiglio dei Ministri nelle settimane scorse, cominciano a prendere forma gli altri decreti di attuazione della legge delega n. 106/2016 sulla riforma del Terzo settore, definita epocale dagli addetti ai lavori.
Lo ha annunciato il sottosegretario del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Luigi Bobba, intervenuto oggi al convegno “Il Terzo Settore alla prova dei decreti attuativi”, organizzato a Roma dal Consiglio nazionale dei commercialisti.
«Un argomento su cui abbiamo investito molto», ha affermato il presidente del CNDCEC, Gerardo Longobardi, «insieme con la commissione nazionale No profit che ha prodotto proposte organiche importanti già sul tavolo del sottosegretario Bobba. Dobbiamo ottimizzare il funzionamento di una macchina che sta per partire e le risorse messe a disposizione per dare slancio e forza economica al nostro Paese. Perché dove c’è un ente no profit, c’è un commercialista».

Ma quali sono i numeri del Terzo Settore? Secondo l’Istat si parla di 300mila enti, 5 milioni di volontari e oltre 600mila addetti che muovono oltre 60miliardi di euro. Un universo vastissimo che vede al suo interno la presenza di un’alta percentuale di realtà di piccole dimensioni per numero di soci, volontari e importi movimentati. «Più del 60% delle realtà che alimentano il Terzo settore», ha spiegato l’onorevole Bobba, «ha un bilancio che non arriva a trentamila euro, mentre l’81% degli oltre 60 miliardi generati dal settore è gestito dal 4,5% dei soggetti».

«La riforma prova a dare una carta d’identità comune ad un mondo al suo interno molto differenziato», ha esordito il sottosegretario Luigi Bobba. «Tutte le realtà che fanno parte del Terzo settore, infatti, avranno finalmente un perimetro comune. Abbiamo un anno di tempo per produrre tutti i decreti, ma ce ne sono già alcuni in stadio avanzato come quelli sull’impresa sociale e sul riconoscimento di reti associative di secondo livello. Più tempo servirà per la Fondazione Italia Sociale – che avrà un DPR e non un decreto legislativo – e per il Codice del Terzo Settore in cui terremo sia le norme di natura civilistica, sia quelle di carattere fiscale e tributario. Poi quello sul 5 per mille per la revisione dei criteri di accesso al beneficio. Vogliamo partire da un elemento guida, le norme civilistiche, e da quattro criteri: finalità, attività dei beneficiari, impatto delle attività a cui dare supporto e facilitazioni di natura fiscale».

Il sottosegretario Bobba ha poi parlato del Registro unico del Terzo settore con la previsione della obbligatorietà dell’iscrizione per tutti gli enti che si avvalgono di fondi pubblici o privati, raccolti attraverso pubbliche sottoscrizioni, nonché di fondi europei.
«L’iscrizione al Registro», ha spiegato l’onorevole Bobba, «è condizione vincolante per accedere a determinati benefici, convenzioni, sostegni. Esso sarà una sorta di griglia, articolato in più sezioni, ognuna delle quali corrisponderà a certi benefici. Il Registro verrà dato in gestione alle Regioni e sarà pienamente accessibile, sul modello del Registro delle imprese. Rendendo trasparenti i percorsi ed i processi di natura economica, infatti, si alimenta il meccanismo della fiducia di chi vuole contribuire ad attività che non hanno finalità lucrative».

Al convegno è intervenuto il consigliere dell’ANAC, Michele Corradino, per spiegare come il nuovo Codice degli appalti, entrato in vigore lo scorso 19 aprile, vuole tutelare anche le realtà minori del Terzo settore. «Non si può consentire», ha sottolineato Corradino, «che si creino profitti sulle persone più svantaggiate, come purtroppo abbiamo ascoltato in diverse intercettazioni, e con la creazione di bandi ritagliati su misura. Appalti in cui servizi molto eterogenei venivano riuniti in un’unica gara che naturalmente penalizzava proprio i soggetti più piccoli. Il nuovo Codice degli appalti vuole aiutare questi soggetti minori per dare trasparenza al settore». A supporto delle piccole realtà ci sono le Linee guida emanate dall’Anac perché «imponendo alla Pubblica amministrazione una programmazione delle risorse e delle attività da svolgere, di fatto la obbligano a dialogare anche con loro». E restando sulle Linee guida, Corradino ha affermato che il modello 231 che le Pa pretendono dalle imprese sarà adeguato alla loro struttura ed al loro modello organizzativo.

Trasparenza e controlli rappresentano quindi una risorsa purché ritagliati sulle diverse realtà. Musica per le orecchie dei commercialisti per i quali i controlli adeguati ai diversi modelli di organizzazione rappresentano uno dei principi cardine delle osservazioni inviate al Governo.
«L’intelaiatura della legge», ha spiegato Sandro Santi, consigliere nazionale dei commercialisti delegato al No profit, «è fondata su importanti concetti: trasparenza, attendibilità dei dati, certezza del diritto, informazioni e controllo. Rispetto al controllo, sollecitiamo che esso venga svolto da un collegio piuttosto che da un sindaco unico. Il controllo è materia importante per la formazione professionale continua dei commercialisti e una parte di essa è declinata proprio rispetto al sindaco del Terzo settore, quello che abbiamo chiamato revisore sociale. Crediamo infatti in un revisore specialistico che deve fare cose diverse da quelle che si fanno nelle società di capitale. Controllare l’utilizzo delle risorse attraverso prospetti contabili diversificati per l’attività istituzionale e per quella di commercializzazione».
Il consigliere dei commercialisti ha poi tenuto a sottolineare che tutti gli enti del Terzo settore «dovranno adeguarsi ai principi della trasparenza e della credibilità dei dati perché sia i grandi che i piccoli usufruiscono di vantaggi fiscali o di altra natura» e che tutti i sindaci che lavoreranno in queste realtà dovranno essere retribuiti. «Fissiamo una tariffa applicata al Terzo settore», ha spiegato Santi. «Il collegio sindacale che controlla un ente, grande o piccolo che sia, si assume una responsabilità importante che deve essere remunerata».
I commercialisti hanno anche proposto di gestire le situazioni di crisi degli enti del Terzo settore in base non solo alle norme del Codice civile, ma anche dello statuto dell’imprenditore commerciale. «Se l’attività commerciale non è marginale ed accessoria», ha commentato Santi, «si dovrebbero applicare procedure come concordato preventivo, fallimento ed accordo di ristrutturazione. Se invece prevale l’attività solidaristica, i commercialisti propongono di applicare le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento».

A spezzare una lancia a favore dei commercialisti sul collegio sindacale sono stati Gianpaolo Donzelli e Tito Berti, rispettivamente presidente della Fondazione dell’ospedale pediatrico Meyer di Firenze e direttore operativo della stessa struttura ospedaliera.
«La nostra Fondazione», ha detto Donzelli, «è un ente del Terzo settore e rappresenta il braccio operativo dell’ospedale. I revisori sono la nostra coscienza perché attraverso la correttezza formale e la tutela statutaria difendono i 144mila cittadini italiani che ogni anno versano il 5 per mille all’ospedale. È proprio la trasparenza ad innescare un ciclo virtuoso per ottenere un sostegno economico».

Per Roberto Museo, direttore CSVnet, e Monica Poletto, Coordinamento nazionale Forum Terzo Settore, la preoccupazione maggiore è che i controlli e gli adempimenti fiscali siano adeguati alle diverse realtà e basati sulla dimensione. A tranquillizzarli è stato il direttore centrale Normativa dell’Agenzia delle Entrate, Annibale Dodero, che sta dando un contributo tecnico al Governo sulle norme fiscali. «La parte fiscale», ha detto Dodero, «assume naturalmente un rilievo centrale ed è un tema sensibile per il buon funzionamento della riforma. Individuati i soggetti del Terzo settore, va ricostruito un sistema che omogeneizzi e semplifichi, che tenga conto delle dimensioni aziendali affinché gli obblighi fiscali vengano equamente individuati. La soggettività dell’ente, inoltre, non verrà più legata alla fiscalità».

Un discorso a parte meritano, infine, le reti associative di secondo livello contemplate dalla Legge delega da utilizzare per forme di autocertificazione a supporto delle realtà minori. «Meglio che ci siano delle reti associative che abbiano il revisore sociale», ha concluso l’onorevole Bobba, «presumibilmente un commercialista, per esercitare bene l’autocontrollo delle piccole società».

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