Disciplinato in generale dall’art.1283 cc., l’anatocismo bancario è stato oggetto di numerosi e non sempre univoci interventi giurisprudenziali sia di merito che di legittimità.
La Suprema Corte, a partire dal 1999, ebbe ad imprimere una svolta epocale nei rapporti banca-cliente, riconoscendo l’invalidità della capitalizzazione trimestrale (precedentemente aveva ritenuto invece sussistere un uso normativo nelle clausole contrattuali); alle Norme Bancarie Uniformi predisposte sin dal 1952 dall’ABI (ed inserite nei moduli contrattuali standardizzati) non fu più riconosciuta efficacia di fonte di diritto oggettivo e fu messa così all’indice la disparità di trattamento tra interessi attivi e passivi.
Il d.lgs. 342/99 affidò al Comitato interministeriale per il credito ed il risparmio (CICR) il compito di stabilire le nuove modalità di capitalizzazione; la Delibera Cicr del 9.2.2000 stabilì la validità dell’anatocismo ove applicato in maniera identica sia agli interessi attivi che passivi.
Con sentenza n.425/2000 la Corte Costituzionale rese poi invalida la parte della norma che aveva tentato di preservare il sistema bancario dalle pretese restitutorie dei correntisti per i contratti stipulati ante Delibera Cicr.
La Legge di Stabilità 2014 aveva modificato l’art. 120 TUB: a differenza della precedente stesura, non si parlava più di “produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria”, bensì di “produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria”. Si era quindi passati dalla periodicità di capitalizzazione a quella di liquidazione e la norma garantiva esclusivamente la coincidenza temporale della liquidazione degli interessi dare/avere, senza alcuna possibilità di capitalizzazione.
Venuta meno la fonte primaria che legittimava in via di specialità l’anatocismo bancario in deroga al generale divieto di cui all’art. 1283 c.c., per i rapporti in corso riprendeva vigore con efficacia ex nunc la disciplina imperativa dettata dalla norma generale, che vietava la produzione di interessi su interessi.
Gli interessi conteggiati divenivano esigibili solo alla fine del rapporto bancario con il pagamento anche delle operazioni non solutorie (cfr. Cass. SS.UU. n.24418/2010). Si creava, cioè, un “monte interessi” da liquidare alla chiusura del rapporto, che non veniva mai capitalizzato.
Nelle more della emanazione della Delibera da parte del CICR, con due ordinanze collegiali del 25 marzo e del 3 aprile 2015 il Tribunale di Milano aveva riconosciuto l’immediata operatività del divieto di anatocismo quale effetto della novella dell’art.120 TUB ritenendo che, anche in assenza di un regolamento attuativo, la norma fosse già pienamente applicabile. Nel medesimo solco si collocavano le successive pronunce del Tribunale di Cuneo, di Biella, dell’ulteriore dello stesso tribunale meneghino e del Tribunale di Roma (la modifica dell’art. 120 “ha reintrodotto espressamente il divieto di anatocismo in materia bancaria che si applica a decorrere dal 1° gennaio 2014 a tutti i rapporti bancari, compresi quelli sorti in precedenza ma non esauriti”). Di segno opposto le posizioni del Tribunale di Cosenza, di Torino e di Bologna.
Il Collegio di Coordinamento dell’Arbitro bancario finanziario (ABF), decisione n.7854/2015, aveva dal canto suo confermato il divieto di anatocismo anche in assenza della delibera attuativa del CICR.
Nella scorsa settimana il Senato ha approvato il decreto di riforma delle banche ed è così diventata legge anche la nuova regolamentazione dell’anatocismo (art.17 bis d.l. n.18 del 14.02.16) con la modifica dell’art.120 TUB c.2 lett. a) e b).
Dev’esser ora assicurata la stessa periodicità nella liquidazione degli interessi sia debitori sia creditori, comunque non inferiore ad un anno; gli interessi sono conteggiati al 31 dicembre di ciascun anno e, in ogni caso, al termine del rapporto.
Gli interessi debitori maturati non possono produrre interessi ulteriori (salvo quelli di mora) e sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale; per le aperture di credito regolate in conto corrente, per gli sconfinamenti anche in assenza di fido ovvero oltre-fido: 1) gli interessi debitori sono conteggiati al 31 dicembre e divengono esigibili il 1° marzo dell’anno successivo; nel caso di chiusura definitiva del rapporto, gli interessi sono immediatamente esigibili; 2) il cliente può autorizzare, anche preventivamente, l’addebito degli interessi sul conto al momento in cui questi divengono esigibili; in questo caso la somma addebitata è considerata sorte capitale.
L’art. 1283 cc. prevede che, in mancanza di usi normativi contrari, gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale, volta a chiedere gli interessi sugli interessi, o per effetto di convenzione posteriore, alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi; non è pertanto possibile che gli interessi producano a loro volta interessi qualora non sia trascorso almeno un semestre dalla nascita dell’obbligazione. Il codice civile non indica un periodo di tempo prestabilito nel quale l’interesse diviene per legge esigibile, ma si limita ad indicare il tempo minimo (sei mesi) al di sotto del quale l’interesse, per legge, non possa essere considerato scaduto.
La norma oggi approvata dal Parlamento non resuscita – dal punto di vista squisitamente giuridico – l’anatocismo bancario: d’altro canto, certo è che gli interessi passivi, una volta conteggiati al 31 dicembre, diverranno esigibili dopo due mesi ed il correntista potrà autorizzarne l’addebito (quindi la sostanziale capitalizzazione) sul conto corrente. In altri termini, se il correntista al 1° marzo non paga, chiede alla banca un prestito per pagare gli interessi scaduti ed esigibili (mediante l’addebito sul proprio conto corrente privo di liquidità) e se su tale prestito pagherà alla fine dell’anno successivo altri interessi, questi non costituiranno interessi “anatocistici” e saranno leciti e validamente pattuiti.
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