Pubblichiamo l’introduzione dei Consiglieri Nazionali con delega alle Funzioni Giudiziarie e metodi ADR Valeria Giancola e Giuseppe Tedesco al documento
Lo scorso 27 settembre, a distanza di oltre quatto anni dalla presentazione della proposta di legge d’iniziativa popolare di modifica del codice antimafia, la Camera ha definitivamente concluso, in seconda lettura, il lunghissimo e travagliato iter legislativo che, tra l’altro, affida al Governo una delega per la tutela del lavoro nelle aziende sequestrate e confiscate alla criminalità organizzata.
La legge 17 ottobre 2017, n. 161, recante “Modifiche al codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, al codice penale e alle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale e altre disposizioni. Delega al Governo per la tutela del lavoro nelle aziende sequestrate e confiscate”, è entrata in vigore il 19 novembre 2017 e si compone di 38 articoli, suddivisi in 7 capi, che apportano numerose modifiche al c.d. codice antimafia e ad altre disposizioni di legge.
In occasione della recente entrata in vigore della nuova disciplina, il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili pubblica questo Speciale sulla riforma, ringraziando per il prezioso contributo gli esperti del settore che hanno collaborato alla stesura del documento.
Questo focus è stato strutturato in quattro distinti moduli e segnatamente:
1) Prospetto di sintesi delle modifiche normative
2) Le innovazioni sui presupposti e sul procedimento per l’applicazione delle misure di prevenzione
3) Le modifiche alla gestione e alla destinazione dei beni – l’ANBSC
4) La tutela dei terzi e i rapporti con le procedure concorsuali
È d’obbligo, per gli inevitabili riflessi che la riforma determina in capo alla “Categoria”, effettuare un breve richiamo al “nuovo” ruolo dell’amministratore giudiziario: il c.d. “effetto Palermo”, che permea la riforma del 2017, incide profondamente sulla figura dell’amministratore giudiziario e, su taluni aspetti, attraverso delle previsioni significativamente criticabili, cui è opportuno accennare.
Emblematiche, in tal senso, le norme che intendono ampliare le categorie di “amministratori giudiziari pubblici” ai funzionari dell’ANBSC e ai dipendenti della società INVITALIA S.p.A., in quest’ultimo caso, allorché ci si trovi al cospetto di gestioni che riguardano “aziende di straordinario interesse socio-economico, tenuto conto della consistenza patrimoniale e del numero degli occupati, o aziende concessionarie pubbliche o che gestiscono pubblici servizi”.
In altre parole, in quelle che verosimilmente potrebbero rilevarsi le ipotesi maggiormente complesse di sequestro e confisca, il legislatore ha optato per affidare la gestione della procedura ad un dipendente pubblico, con le dovute considerazioni da farsi anche in termini di eventuali conflitti di interesse configurabili , anziché ad un libero professionista – qual è, nello specifico, il Commercialista – che, nel proprio patrimonio genetico, vanta particolari competenze nelle materie tributarie, aziendali, finanziarie, nonché relative al diritto di impresa.
Non vi è dubbio che si condivide la necessità di costituire un utile raccordo tra gli amministratori giudiziari e gli altri enti ex lege coinvolti nella procedura, ma tale previsione andrebbe auspicabilmente ripensata nel senso di assegnare al dipendente della INVITALIA S.p.A. il meno gravoso incarico di coadiutore.
Non può essere avallata, inoltre, la nuova formulazione dell’art. 35 del d. lgs. n. 159/2011 (c.d. norma ammazza amministratori) che, relativamente ai criteri di nomina degli amministratori giudiziari, consente agli stessi di assumere incarichi aziendali, ma “comunque non superiori a tre”.
Tale disposizione appare mal formulata ed illogica sotto più profili.
Innanzitutto, seppur si condivide appieno l’esigenza di assicurare la trasparenza nel conferimento degli incarichi, desta molte perplessità la previsione di un meccanismo di nomina che introduce un limite quantitativo al numero degli incarichi senza individuare, piuttosto, un limite qualitativo al cumulo degli stessi, sulla base di criteri quali, a titolo d’esempio, il numero degli incarichi in corso, la tipologia e il valore dei compendi da amministrare.
In secondo luogo, la norma in esame sembrerebbe poco conforme alle prassi dei vari Tribunali che, nell’ambito della medesima procedura di sequestro in danno allo stesso proposto, spesso affidano ad un solo amministratore giudiziario la gestione di più complessi aziendali (e dunque, più incarichi aziendali), al fine di contenere, quanto più possibile, i costi di gestione della procedura.
Infine, l’individuazione di un limite quantitativo potrebbe limitare l’acquisizione di un significativo bagaglio di conoscenze e di un elevato grado di specializzazione, senza dubbio necessari per lo svolgimento dei numerosi e delicati adempimenti richiesti all’amministratore giudiziario.
Non da ultimo, va segnalato l’ulteriore, criticabile, aspetto connesso alla liquidazione dei compensi dell’amministrazione giudiziario, la cui disciplina, declinata nel d.P.R. n. 177/2015, ricalca quella prevista per i compensi in ambito fallimentare, senza tuttavia considerare le significative differenze tra le due procedure, soprattutto in termini di adempimenti e di durata.
Pertanto, il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili, in veste di rappresentante istituzionale di una Categoria professionale ampiamente coinvolta nella fase di amministrazione e gestione dei beni sequestrati alla criminalità organizzata, intende dedicarsi, con costante attenzione, all’analisi di tali aspetti, in considerazione anche della necessità di attenzionarli, nuovamente, al legislatore.
di Valeria Giancola e Giuseppe Tedesco
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