Il recente intervento per la riforma organica della disciplina della crisi d’impresa e dell’insolvenza ripropone la questione dell’individuazione tempestiva e della conseguente emersione della crisi d’impresa.
Il disegno di legge, oltre a contenere disposizioni dettagliate nell’ambito dell’articolata vicenda della crisi o dell’insolvenza, sembra contenere un filo conduttore, specificamente riassumibile nella necessità di intervenire tempestivamente allorquando si manifestino fondati indizi di crisi, quest’ultima individuata, per definizione legislativa, nella probabile futura insolvenza.
I destinatari degli adempimenti – recte, degli obblighi di attivazione – nelle società di capitali sono gli organi di controllo e l’incaricato della revisione legale e, in subordine, i c.d. creditori qualificati, quali l’Agenzia delle Entrate, gli agenti della riscossione delle imposte e gli enti previdenziali. Resta ferma la legittimazione dell’imprenditore (generalmente inteso) di “adire” l’organismo di composizione della crisi per individuare le misure maggiormente idonee alla soluzione della crisi.
Sempre secondo il disegno di legge, nell’ambito dei rapporti e dei flussi informativi tra organi societari e soggetti terzi, l’organo di controllo ed il revisore legale sono tenuti ad avvisare immediatamente l’organo di amministrazione e, in caso di inadeguata o di omessa risposta da parte di quest’ultimo, a muoversi presso l’organismo di composizione.
La fase dell’allerta in funzione di prevenzione dell’insolvenza (e, dunque, di emersione della crisi) è essenzialmente esplicitata in questi essenziali passaggi dell’articolo 4 del disegno di legge di riforma organica, apparendo le restanti previsioni dedicate piuttosto all’individuazione dell’organo (esterno all’impresa) e del professionista competente alla ricerca di soluzioni negoziali e concordate della crisi.
A fronte dell’oneroso ruolo attribuito agli organi di controllo ed all’incaricato della revisione legale, peraltro già scandito nel diritto positivo, l’attività dell’organo di amministrazione nella situazione di crisi o di pre-crisi non è oggetto di previsioni che, ancorché in via generale, trattandosi di principi di delega, direttamente esplicitino un canone comportamentale da seguire a seguito della “segnalazione” della situazione emergenziale da parte dell’organo di controllo e dell’organismo di composizione della crisi.
Esistono, invero, previsioni che sanzionano l’inattività dell’imprenditore (e, dunque, nell’impresa collettiva, dell’organo di amministrazione) che senza giustificato motivo ostacoli lo svolgimento della procedura di composizione della crisi ovvero, ricorrendone i presupposti (presumibilmente segnalati dai creditori qualificati), non vi ricorra; tra queste sanzioni il disegno di legge delega annovera un’ulteriore fattispecie di bancarotta semplice. Esiste altresì la possibilità di rendere conclamata la crisi per via della pubblicazione nel registro delle imprese – con funzione protettiva dei creditori e dei terzi – della relazione di un professionista che attesti il perdurare dello stato di crisi, quando non vengano adottate misure idonee a porvi rimedio.
Qualche indicazione relativamente alla gestione degli amministratori in funzione preventiva della crisi si rinviene nell’articolo del disegno di legge delega relativo alle modifiche al codice civile; in tale sede, il legislatore ha fissato un generale principio di correttezza dell’agire imprenditoriale, replicando quanto già previsto nella disciplina delle s.p.a. all’art. 2381 c.c. e 149 TUF c.c., che statuisce espressamente “… il dovere dell’imprenditore e degli organi sociali di istituire asseti organizzativi adeguati per la rilevazione tempestiva della crisi e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi per l’adozione tempestiva di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi ed il recupero della continuità aziendale …”. Nell’ambito delle modifiche al codice civile, il legislatore delegante pertanto sancisce, quale obbligo per una gestione conforme alla diligenza qualificata richiesta dall’art. 2392 c.c., il dovere per tutte le imprese di dotarsi di un assetto organizzativo adeguato to going concern.
Sul versante degli adempimenti imposti all’organo di amministrazione, sembra anche essere la regola legale della sospensione dell’operatività della causa di scioglimento di cui all’art. 2484, n. 4, ed all’art. 2545 – duodecies, c.c. nonché degli obblighi posti a carico degli organi sociali (e dunque degli organi di amministrazione e, in via sostitutiva, dell’organo di controllo) dagli artt. 2446, secondo e terzo comma, 2447, 2482 bis, quarto, quinto e sesto comma, 2482 – ter e 2486 c.c. in forza delle misure protettive eventualmente accordate nell’ambito delle procedure di allerta (oltre che degli accordi di ristrutturazione e nella procedura di regolazione concordata preventiva della crisi). La previsione del disegno di legge delega, riutilizzando il meccanismo previsto nell’art. 182 – sexies l.f., vincola l’attività dell’organo di amministrazione quando siano accordate misure protettive.
In particolare, anticipando quanto verrà di seguito chiarito, qualora la società sia in perdita ed in presenza di situazioni che fanno verosimilmente presumere l’intenzione di risolvere la crisi, l’attività dell’organo di amministrazione potrebbe venir temporaneamente congelata, dal momento che si statuisce l’inoperatività dei rimedi societari disciplinati in caso di perdite, fatta eccezione per l’obbligo di tempestiva convocazione dell’assemblea per deliberare gli opportuni provvedimenti, con evidente favor per le soluzioni orientate verso la composizione o la soluzione della crisi.
Non è tutto. Strettamente correlata alle anzidette previsioni, sembra essere quella contenuta nella disciplina del concordato preventivo, finalizzato nelle intenzioni della delega alla continuità dell’attività dell’impresa. Laddove la procedura dovesse riguardare società, il legislatore delegato dovrebbe prevedere l’obbligo per gli organi della società (all’evidenza l’organo di amministrazione, fermi restando i poteri-doveri di denuncia all’assemblea ed al tribunale da parte dei sindaci) di dare tempestiva attuazione della proposta omologata, stabilendo che, in caso di comportamenti ostruzionistici (che potrebbero verificarsi in particolare nei casi in cui la proposta di concordato approvata dai creditori provenga da un terzo), il tribunale possa nominare un amministratore provvisorio dotato dei poteri dell’assemblea ovvero del potere di sostituirsi ai soci nell’esercizio del diritto di voto in assemblea. Con tale previsione, il disegno di legge sembra avvalorare la tesi che ritiene necessario un continuo monitoraggio dell’attività degli organi durante la fase di esecuzione del concordato, riproducendo, a grandi linee, il contenuto dell’art. 2409, quarto comma, c.c., e riproponendo la figura dell’amministratore giudiziario di diretta nomina del tribunale che ne deve determinare poteri e durata.
Quanto illustrato è contenuto nel disegno di legge delega di riforma organica, di cui si può fornire allo stato unicamente un essenziale commento.
Negli ultimi anni si è aperto il dibattito circa la gestione dell’impresa in crisi. Più recentemente la questione si è sviluppata intorno all’ambito di applicabilità ed alla valenza precettiva delle previsioni di cui all’art. 182 – sexies l.f., cui prima si accennava, così come sul ruolo proattivo dell’organo di controllo e, segnatamente, del collegio sindacale. Allo stesso tempo, come sopra detto, si è tentato di delineare gli obblighi degli amministratori ed i limiti del sindacato giudiziale sulle scelte gestionali che, per costante orientamento, ad eccezione di casi di evidente conflitto di interesse, non sono censurabili sotto il profilo della legalità e del merito laddove rispondano a criteri di ragionevolezza e siano adeguatamente motivate.
E’ il legislatore, infatti, a precisare che le scelte di gestione sono di esclusiva competenza dell’organo di amministrazione (art. 2380-bis c.c.). V’è da dire, però, che non viene esplicitato a carico degli amministratori un generale dovere di gestire secondo criteri di correttezza imprenditoriale ovvero secondo principi di corretta amministrazione che, invece, sono oggetto della vigilanza espletata dal collegio sindacale (cfr. art. 2403 c.c.). La combinazione delle due norme, e vieppiù le prescrizioni di cui all’art. 2381 c.c., conducono a sostenere che gli amministratori sono i naturali destinatari sia dell’obbligo di gestire secondo tali canoni sia di curare, in particolare, l’adeguatezza degli assetti organizzativi, amministrativi e contabili rispetto alla natura ed alle dimensioni dell’impresa (ex art. 2381, comma quinto, c.c.).
Di fronte alla clausola generale di una gestione che si svolga secondo i principi di corretta amministrazione (che, peraltro, va messa in relazione con quella esplicitata in punto di responsabilità degli amministratori nell’art. 2392 c.c.), e dinanzi all’obbligo di curare che il sistema organizzativo, amministrativo e contabile sia adeguato, emerge la questione se sussistano o meno, in capo agli stessi, obblighi di intervenire tempestivamente nella gestione quando per l’impresa si intravedano segnali rivelatori dello stato di pre-crisi o di crisi ovvero, più in generale, minacce per la continuità aziendale: non è da trascurare la circostanza che, in più occasioni, viene ribadita la centralità della continuità aziendale nell’ambito della organizzazione societaria e degli obblighi degli organi [cfr. 2423 – bis, 156, comma quarto, TUF, art. 14, comma secondo, lett. f), principio di revisione (ISA Italia) n. 570].
Va pertanto ribadito il precipuo ruolo assunto dall’adozione di assetti organizzativi che risultino adeguati ed il sistema di tutele che attorno ad essi ruota: tali generali protocolli organizzativi, come anche segnalato dalle autorità di vigilanza, individuano, infatti, in capo agli amministratori esecutivi il compito cruciale di predisporre adeguati assetti, mentre al contempo spostano sul consiglio di amministrazione e sul collegio sindacale, rispettivamente, la valutazione e la vigilanza sulla loro adeguatezza to *going concern**, come segnalato da tempo dalle autorità di vigilanza.
Il dato normativo e le recenti modifiche intervenute anche in punto di relazione di revisione sulla continuità aziendale conducono a ritenere che sugli amministratori incomba l’obbligo di gestire in modo diligente e corretto per il perseguimento dell’interesse sociale e nel rispetto dei diritti e degli interessi dei creditori e dei terzi, ciò comportando altrettanti obblighi di attivazione tempestiva per far fronte alla crisi, ricorrendo o alla nota alternativa ricapitalizza o liquida o trasforma, esistendone i presupposti contemplati dalla legge, ovvero a qualsiasi altra soluzione negoziale o giudiziale che possa rivelarsi utile a tal fine.
L’amministratore diligente opterà per l’adozione delle misure (ricapitalizzazione, liquidazione, accordi stragiudiziali, piani di risanamento, procedure di crisi) che meglio si addicono al caso specifico (come peraltro argomentabile dall’art. 2392 c.c.), senza che per tale motivo venga incisa la discrezionalità propria nelle scelte di gestione che, nei casi di procedure di crisi, conosce comunque limitazioni imposte dal legislatore.
Come accennato, infatti, l’attività dell’organo di gestione è stata oggetto di attenzione da parte del legislatore a seguito dell’introduzione nella legge fallimentare dell’art. 182-sexies* l.f.. In breve, a seguito della presentazione della domanda di concordato anche in bianco o della domanda di un accordo di ristrutturazione (ovvero della proposta), si declina l’inoperatività dei rimedi societari disciplinati in caso di perdite, fatta eccezione per l’obbligo di tempestiva convocazione dell’assemblea al ricorrere delle condizioni descritte nell’art. 2446, primo comma, c.c. e di quelle previste nell’art. 2482- bis, commi primo, secondo e terzo, c.c., per deliberare gli opportuni provvedimenti, con evidente favor per le soluzioni orientate verso tecniche di riorganizzazione aziendale e ristrutturazione del passivo. La disposizione fa salva in ogni caso l’applicazione dell’art. 2486 c.c. in tema di poteri degli amministratori nella causa di scioglimento della società e la presentazione della domanda non rappresenta un’esimente per questi ultimi, i quali, come prevede espressamente l’art. 182-sexies l.f., restano responsabili per il periodo anteriore alla presentazione della domanda secondo i canoni descritti nell’art. 2486 c.c., incorrendo, dunque, in responsabilità per il compimento di atti di gestione effettuato in violazione del generale dovere di conservare l’integrità ed il valore del patrimonio.
La sospensione dell’obbligo di ricapitalizzazione cessa dal momento dell’omologazione del concordato preventivo o dell’accordo di ristrutturazione, con piena riviviscenza dell’efficacia delle misure poste a tutela del capitale.
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