La regolarizzazione delle posizioni contributive, ma anche il rispetto delle norme sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, le relazioni sindacali e, soprattutto, la valutazione del costo del lavoro e la salvaguardia dello stesso. Nel mosaico delle criticità che l’amministratore giudiziario deve affrontare quando ha di fronte un’azienda posta sotto sequestro, si sottovaluta talvolta un tassello fondamentale: la tutela dei lavoratori. Una tutela, come spiega Maria Luisa Campise, consigliere con delega alla funzioni giudiziarie, “ancora più difficile da mettere in atto per l’assenza, all’interno della normativa antimafia, di una disciplina dedicata alla corretta gestione dei rapporti di lavoro. Una situazione che crea numerose incertezze operative per i professionisti impegnati nel settore, e che risulta aggravata dal fatto che le procedure antimafia sono spesso assoggettate a quelle tipiche della legge fallimentare, nonostante perseguano un interesse diametralmente opposto a quello liquidatorio”.

Da questo scenario, aggiunge ancora, “nasce lo studio della Fondazione nazionale commercialisti che ha dedicato un approfondimento specifico alle tematiche giuslavoristiche, con l’obiettivo di esaminare le criticità che nascono dall’incontro del diritto del lavoro con la disciplina antimafia. L’intento è quello di fornire agli addetti ai lavori, quindi agli amministratori giudiziari, un compendio di strumenti utili per “La tutela dei lavoratori nelle aziende sequestrate e confiscate alla criminalità organizzata””.
Ma per far un quadro completo è necessario innanzitutto partire da alcuni numeri.

Alcuni dati
Il dato sul settore è inesorabile: tra il sequestro, la confisca definitiva e la riassegnazione passano molti anni di attesa, in media tra i 6 ed i 10. Sono i tempi della giustizia, dei vari gradi processuali. Troppi per rimanere sul mercato. E troppi ancora di più di fronte ad aziende attive con dipendenti dove le criticità sono numerose: la fuga dei clienti e dei fornitori, la sospensione degli affidamenti, i costi della legalità.
I dati sugli investimenti economici delle mafie in Italia si riflettono anche sul trend di crescita dei beni che anno dopo anno vengono sequestrati e confiscati dall’Autorità Giudiziaria. In base alle fonti attualmente disponibili, il valore complessivo di beni sequestrati in Italia risulta pari a circa 16 miliardi di euro, mentre quello dei beni confiscati è pari a 7,5 miliardi. Quanto al numero di beni sequestrati e confiscati, la mappatura risulta frammentaria, incompleta e disallineata sul piano temporale perché è costituita da diversi sistemi informatici gestiti da differenti Amministrazioni pubbliche e con architetture informative diseguali. In ogni caso, seppur nella frammentaria ed incompleta mappatura informatica dei beni, la Fondazione nazionale dei commercialisti ha stimato che, al 31 dicembre 2015, il numero delle aziende sequestrate e confiscate ammontasse a 23.049 unità, di cui 795 attive con dipendenti e che invece le risorse umane si fermassero a quota 8.349.

Come tutelare i lavoratori
In assenza di una previsione specifica sulla normativa antimafia nei rapporti di lavoro, dice lo studio, è necessario innanzitutto applicare le norme alla base delle misure di prevenzione. In pratica la terapia d’urto è la selettività: è indispensabile capire immediatamente se l’azienda ha i presupposti per sopravvivere e, quindi, “incrementarne, se possibile, la redditività” (art. 35, comma 5° D. Lgs n. 159/2011) oppure no, bilanciando in sostanza, da un lato, il principio del libero esercizio dell’attività imprenditoriale; dall’altro, il mantenimento dei livelli occupazionali e quindi la tutela dei lavoratori.

Le criticità esistenti
Una delle contraddizioni tra l’obiettivo di conservare il patrimonio aziendale e la regolarizzazione dell’attività illecita si verifica nella fase in cui l’amministrazione giudiziaria fa il suo ingresso nell’impresa sequestrata, dovendo provvedere, tra l’altro, a sanare la posizione contributiva e contrattuale dei lavoratori, che nella maggior parte dei casi versano in una situazione di illegalità. L’emersione del lavoro nero rappresenta un ingente costo al quale spesso l’azienda non riesce a far fronte con le proprie risorse economiche, poiché in molti casi si tratta di imprese che “non sono intrinsecamente competitive e che non nascono con finalità imprenditoriali” e produttive. C’è poi il rapporto con i lavoratori che, consapevoli dell’eventuale sorte dell’azienda sequestrata, vivono con sfiducia l’ingresso dell’amministrazione giudiziaria.
Per questo il fattore temporale è determinante. Innanzitutto l’amministratore giudiziario deve presentare al giudice delegato, entro sei mesi dalla nomina, una relazione particolareggiata sui beni sequestrati, con una serie di informazioni sullo stato dell’impresa, indicando, in particolare, forme di gestione più idonee e redditizie dei beni ed una dettagliata analisi sulla sussistenza di concrete possibilità di prosecuzione dell’attività. Il tutto tenendo conto del grado di caratterizzazione della stessa attività con il proposto ed i suoi familiari, della natura dell’attività esercitata, della forza lavoro occupata, della capacità produttiva e del mercato di riferimento.

I contratti di lavoro
Le criticità maggiormente riscontrate nella gestione iniziale delle risorse umane – e quelli che tradizionalmente sono definiti i costi della legalità che il professionista deve mettere in conto al momento dell’ingresso in azienda – riguardano in molti casi l’irregolarità delle posizioni contrattuali, contributive ed assicurative dei lavoratori, oltre che l’assenza delle ordinarie procedure aziendali che attuano obblighi di legge.
Per questo sarà compito dell’amministratore giudiziario accertare, per esempio, che le posizioni contributive ed assicurative dei lavoratori siano regolari o, semplicemente, che siano state effettuate le comunicazioni obbligatorie agli enti competenti (Inps, Inail, Agenzia delle Entrate) ed ancheche i versamenti delle ritenute fiscali e previdenziali risultino in regola.

Il costo del lavoro
Un altro tassello fondamentale nel momento del subentro dell’amministrazione giudiziaria in azienda è quello relativo alla valutazione del costo del lavoro presente e potenziale, che determinerà poi la politica gestionale da adottare. L’amministratore giudiziario potrebbe, infatti, individuare nella conclusione dei rapporti di lavoro la soluzione più adatta per conservare il patrimonio aziendale, naturalmente tenendo conto delle tutele previste dall’ordinamento del lavoro in materia di licenziamento individuale e collettivo.

La mappa dell’organico
Anche per questo è fondamentale che l’amministrazione giudiziaria realizzi una mappatura dell’organico aziendale, mettendo in evidenza le tipologie contrattuali, la durata, la presenza di eventuali collaboratori ed il grado di scolarizzazione, così da avere un quadro completo della forza lavoro presente in azienda al momento del sequestro. Dall’esame dei rapporti di lavoro potrebbero inoltre saltare fuori situazioni debitorie dell’azienda nei confronti dei dipendenti, ed in questo caso dovrà procedere in maniera diversa a seconda che si tratti di un contratto che si è chiuso prima del sequestro o ancora in corso.
La mappatura dell’organico inoltre rappresenta per l’amministrazione giudiziaria uno strumento analitico tramite il quale valutare che i contratti di lavoro siano in linea con le norme di legge e con i Contratti collettivi nazionali di categoria applicabili nel settore in cui l’azienda opera. Oppure, come si legge nello studio della Fondazione, si potranno utilizzare gli strumenti messi in piedi dal Jobs act, come il contratto a tutele crescenti, perché si tratta di uno strumento appetibile per l’impresa in sequestro o confisca, perché si conterrebbero almeno in parte i costi derivanti dalla regolarizzazione dei lavoratori.
Nell’ambito della mappatura delle risorse umane è importante rilevare il livello di qualificazione dei lavoratori, per verificare che gli stessi siano stati correttamente inquadrati secondo i criteri del Ccnl applicato in azienda.
Pertanto, ponendosi in un’ottica di riorganizzazione dell’azienda sequestrata, riconducibile al caso espressamente previsto dalla norma di “modifica degli assetti organizzativi aziendali che incidono sulla posizione del lavoratore”, lo jus variandi, cioè il diritto di cambiamento, diventa uno strumento che consente all’amministrazione giudiziaria di salvaguardare i livelli occupazionali, senza ricorrere necessariamente al licenziamento.
Collegato alla gestione degli esuberi, con particolare riferimento alle situazioni che possono verificarsi in fase di sequestro, appare opportuno effettuare un richiamo agli ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro attualmente previsti dal nostro ordinamento, come recentemente riformati dal D. Lgs. n. 148/2015. Si tratta di un efficace strumento al quale può far ricorso l’amministrazione giudiziaria per evitare il licenziamento del personale eccedente, in vista di un possibile riassorbimento in una successiva fase di ripresa economica dell’impresa.

I rapporti con i sindacati
Un’altra tematica importante, spesso poco considerata, è quella delle relazioni sindacali e delle difficoltà di trattare con tutte le organizzazioni sindacali. Secondo lo studio dei commercialisti, infatti, in questo tipo di attività si assiste ad un aumento esponenziale del livello di sindacalizzazione, tale da rendere opportuno che l’amministrazione giudiziaria si attivi da subito per avviare le relazioni industriali con le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative, valutando caso per caso e con cautela l’opportunità di legittimare ai tavoli delle trattative quelle organizzazioni sindacali non firmatarie del Contratto collettivo nazionale applicate in azienda e con un numero di iscritti esiguo.
Inoltre, un’altra lacuna evidenziata dai commercialisti è quella del codice antimafia di aziende sequestrate ed appalti in essere. Il codice appalti prevede infatti la possibilità di partecipare a nuove gare, ma nulla dice sulla possibilità per le società poste sotto sequestro di proseguire nei contratti di appalto che si erano aggiudicati precedentemente. In questo senso si dovrebbe prevedere che si rilasci, sin da quando si avvia la gestione giudiziaria, la nuova certificazione antimafia.
Dunque è evidente, conclude Campise, “quanto sia delicato il ruolo dell’amministratore giudiziario, un professionista che deve anche avere un corretto approccio alle delicate tematiche giuslavoristiche. In conseguenza della confisca definitiva e del passaggio dell’azienda al patrimonio dell’Erario, l’approccio metodologico e della gestione cambia ed implica un approfondito esame delle criticità esistenti in vista della destinazione del “bene aziendale” per le finalità previste dalla legislazione antimafia. Ecco perché, per evitare che i professionisti fuggano da questa attività, devono essere messi in condizione di operare al meglio e di essere remunerati correttamente. Mi riferisco al decreto compensi che è di fatto disincentivante per chi vuole svolgere una funzione come questa dalla forte valenza sociale oltre che professionale, e che implica una esposizione personale del professionista, specie in territori nei quali la presenza malavitosa è purtroppo particolarmente significativa”.

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