Prendere atto della necessità di estendere la disciplina dell’equo compenso, oggi applicabile solo nella contrattazione massiva tra professionista e contraenti forti quali banche e assicurazioni o tra professionista e Pubblica Amministrazione, anche a un qualsiasi accordo del professionista con un diverso committente. E’ l’appello lanciato dal Consiglio nazionale dei commercialisti alla vigilia della ripresa, in Commissione Giustizia della Camera, dell’esame dei contenuti dell’AC 301 (Meloni) e delle abbinate proposte AC 1979 (Mandelli) e AC 2192 (Morrone) sul tema dell’equo compenso.

“I lavori della Commissione che ripartiranno domani – commenta il presidente nazionale della categoria, Massimo Miani – rappresentano indubbiamente un’importante occasione a disposizione del legislatore, per contribuire al miglioramento della vigente disciplina della tutela dell’equo compenso assicurando una maggiore coerenza tra questa e i principi di tutela del lavoro, di derivazione costituzionale e codicistica”.

“L’intervento del 2017 che, dopo l’abrogazione delle tariffe minime nel 2012, ha introdotto specifiche norme di legge a tutela della corresponsione di un equo compenso, garantendo il ricorso obbligatorio all’applicazione dei parametri ministeriali nei rapporti tra professionista e cliente cosiddetto forte e Pubblica amministrazione – aggiunge Miani – è apparso più che apprezzabile in quanto segno della presa di coscienza, da parte del legislatore, del fatto che la mancanza di norme tariffarie di riferimento si è ripercossa negativamente sia sulle categorie professionali sia sul mercato”.  Le disposizioni attualmente vigenti, secondo il numero uno dei commercialisti, “non appaiono però ancora sufficienti a garantire effettivamente la tutela del principio dell’equo compenso, che deve necessariamente intendersi come capacità di garantire realmente il diritto del professionista alla corresponsione di un compenso proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, tenendo conto della natura, del contenuto e delle caratteristiche della prestazione professionale, conformemente a quanto previsto dall’art. 36 della Costituzione e dall’art. 2233 del Codice civile. E questo in ogni situazione e nei confronti di qualsiasi cliente, in virtù del rispetto di tali principi di derivazione costituzionale e codicistica”.

Da questo punto di vista, aggiunge il Vicepresidente del Consiglio nazionale della categoria, Giorgio Luchetta, “è fortemente indicativo che tutti i DDL attualmente all’esame della Commissione della Camera, abbiano proposto, seppur in termini diversi, un significativo ampliamento dell’ambito applicativo della disciplina, sia attraverso il superamento della nozione di cliente forte, sia tramite il riferimento a tipologie di accordo diverse dalle convenzioni unilateralmente predisposte, evidentemente prendendo atto di quanto evidenziato da tempo dalla nostra categoria nelle numerose interlocuzioni istituzionali di questi ultimi anni”.

Una scelta che deriva, secondo Luchetta “innanzitutto dalla constatazione che i contraenti forti hanno fatto sovente ricorso ad accordi formalmente diversi dalle convenzioni per eludere l’applicazione della disciplina dell’equo compenso e dalla circostanza che attualmente risultano escluse dal novero dei clienti forti soggetti, come ad esempio le piccole imprese, che nel contesto nazionale devono considerarsi tali rispetto al professionista”. Luchetta sottolinea poi come vada superata “la riluttanza della pubblica amministrazione nel riconoscere il diritto dei professionisti all’equo compenso”. “Il nostro auspicio – conclude Luchetta – è che il Legislatore, in occasione dei lavori della Commissione giustizia della Camera, dia finalmente concreta attuazione ai principi costituzionali e codicistici in materia di tutela del lavoro estendendo la disciplina di tutela dell’equo compenso a ogni tipo di accordo intercorrente tra professionista e cliente”.

 

 

 

 

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