Un intervento la cui ratio appare condivisibile, così come condivisibili appaiono le previsioni volte a individuare precipui requisiti organizzativi per gli enti legittimati a proporre le azioni rappresentative transfrontaliere e a istituire un organo di controllo cui attribuire la vigilanza sulla gestione di tali enti. È il giudizio espresso oggi dal Consiglio nazionale dei commercialisti nel corso dell’audizione tenutasi presso le Commissioni riunite Giustizia e Attività produttive, commercio e turismo della Camera dei deputati sullo schema di decreto legislativo recante recepimento della direttiva (UE) 2020/1828 relativa alle azioni rappresentative a tutela degli interessi collettivi dei consumatori, che abroga la direttiva 2009/22/CE.
“La Direttiva e lo schema – ha affermato Moro – perseguono l’obiettivo di introdurre nelle differenti giurisdizioni dell’Unione strumenti efficaci per l’applicazione della normativa unionale a tutela dei consumatori, al fine di evitare possibili distorsioni della concorrenza. A tal fine, lo schema del decreto, attuando le indicazioni e le previsioni contenute nella Direttiva, introduce nel Codice del consumo l’istituto dell’azione rappresentativa a tutela degli interessi collettivi dei consumatori nel caso di violazione delle disposizioni in materie, specificamente indicate in un apposito allegato, del diritto dell’Unione europea o delle norme di diritto interno di recepimento”.
“Condividiamo l’impostazione adottata nello schema quanto alla sedes materiae individuata nel Codice del consumo, novellato con l’introduzione delle nuove disposizioni. Il codice del consumo, infatti, quale testo normativo di riassetto degli istituti a tutela dei consumatori, assolve anche alla funzione di garantire organicità alla disciplina di settore in un’ottica di semplificazione, coordinamento ed effettività di tutela per il consumatore”, ha aggiunto.
Una notazione critica, secondo i commercialisti, va fatta a proposito delle definizioni e, in particolar modo, della definizione di “professionista”, che, secondo Moro, “non è perfettamente conforme alla “ratio” della Direttiva e dell’intervento legislativo, volto essenzialmente a tutelare i consumatori rispetto alle imprese”. Per tale motivo “non è condivisibile che si indichi come “professionista” qualsiasi “persona fisica o giuridica che, indipendentemente dal fatto che si tratti di un soggetto pubblico o privato, agisce, anche tramite un altro soggetto che opera in suo nome o per suo conto, per fini relativi alla propria attività commerciale, imprenditoriale, artigianale o professionale”. La definizione che origina dalla versione italiana della Direttiva, peraltro non perfettamente coincidente con la versione inglese o spagnola della Direttiva medesima, potrebbe essere meglio precisata sostituendo il termine “professionista” con quello di “operatore economico”. In tal modo – ha concluso Moro – tra i destinatari della definizione verrebbero annoverati anche coloro che esercitano una professione per eventuali lesioni di interessi collettivi dei consumatori quando operano nell’esercizio della propria attività professionale, stabilendo che in quel caso assumono la veste di operatori economici, e al contempo si potrebbero evitare ultronee assimilazioni tra chi, in quanto imprenditore, esercita un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi e colui che, invece, è libero professionista”.
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