Il Jobs Act autonomo è l’ennesima occasione persa per ridare smalto e vigore ad un comparto – quello del lavoro autonomo e professionale – che ha pagato in solitudine e silenzio otto anni di durissima crisi. Prima di questo provvedimento il Governo Renzi ha avuto almeno altre due occasioni per riscrivere ed ammodernare la disciplina di settore: la delega fiscale e la riforma del regime dei minimi, Ma le ha sciupate entrambe. Leggendo le proposte contenute nel Jobs Act, la prima cosa che salta all’occhio è che solo una metà del disegno di legge è dedicata al lavoro autonomo: la restante parte riguarda lo “smart working” che pertiene il lavoro subordinato. Ma non è solo un fatto di quantità: anche le idee sono pressoché inesistenti. Risicate oltre modo le agevolazioni fiscali, praticamente nulle le semplificazioni e tra gli articoli del disegno si annidano persino degli aggravi burocratici. L’integrale deduzione, entro il limite annuo di 10.000 euro, delle spese per l’iscrizione a master ed a corsi di formazione o di aggiornamento professionale, non è una reale agevolazione in quanto è posto un limite di spesa che rende impossibile dedurre totalmente dal reddito professionale i corsi di alta specializzazione il cui costo supera di gran lunga il plafond stabilito dal Governo. Per molti professionisti potrebbe risultare persino più conveniente la disciplina previgente e comunque “sapere” e “conoscenza” ne risultano per l’ennesima volta mortificati. Nessun accenno alle agevolazioni fiscali di maggior interesse per la categoria: la deduzione dei costi relativi agli autoveicoli ed ai carburanti in uso promiscuo ancorata al 20%, come se la mobilità non fosse un problema per i professionisti. Altrettanto dicasi per la deduzione di pasti e bevande ferma al 2% del fatturato annuo. Per non parlare dell’annosa questione dell’IRAP dei lavoratori senza autonoma organizzazione- volutamente tralasciata dall’esecutivo – che genera una quantità imbarazzante di contenziosi giudiziari; o della indeducibilità della cedolare secca sui fitti passivi, vera e propria discriminazione a carico della categoria, penalizzante soprattutto per i giovani. L’impressione è che il Governo non abbia la più pallida idea di quali siano i problemi dei professionisti, soprattutto se giovani, donne e residenti nel Mezzogiorno. Non c’è solo il problema del ritardo nei pagamenti, perché, tra aziende in crisi, fallimenti e ottusità della Pubblica Amministrazione, molti lavoratori autonomi non vengono affatto pagati. E’ stata perciò necessaria l’iniziativa del M5S per ideare un provvedimento che consenta anche ai professionisti di beneficiare della cessione pro-soluto dei propri crediti di lavoro. E sarà nostro impegno lottare per aumentare i limiti di fatturato previsti per l’accesso al regime forfettario, riducendo i coefficienti di redditività e le altissime aliquote previste ai fini previdenziali. Un cenno infine alla pervicace tendenza di questo Governo ad introdurre complicazioni burocratiche in tutti i provvedimenti che adotta. Ci spieghi come farà un professionista aderente al nuovo regime forfettario a rispettare “il principio di idoneità degli estratti autentici delle scritture contabili” – previsto dal comma 2 dell’art. 12 per ottenere un decreto ingiuntivo – dal momento che la legge lo dispensa da ogni adempimento contabile! Se il Jobs Act doveva costituire una svolta per le categorie professionali, tutto lascia supporre che dovranno ancora attendere tempi migliori.

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