Il Prof. Andrea Venturelli, Presidente del GBS
Il Gruppo di ricerca “PMI e sviluppo sostenibile” del GBS (Gruppo Bilanci e Sostenibilità) ha presentato in collaborazione con il CNDCEC (Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili) la prima ricerca sull’impatto della Corporate Sustainability Reporting Directive (ovvero la nuova Direttiva Europea sulla comunicazione delle informazioni di sostenibilità) sulle imprese italiane.
La ricerca è stata presentata in occasione del workshop “Gli strumenti di gestione della sostenibilità” nell’ambito del Congresso nazionale dei commercialisti, tenutosi il giorno 19 ottobre 2023 a Torino-Lingotto durante la tre giorni del Congresso del CNDCEC, workshop che ha rappresentato un primo momento di confronto su un tema così sfidante per le imprese del nostro Paese che ancora non sono pronte e probabilmente “attrezzate” ad affrontare tale sfida.
La ricerca, potremmo dire, che risponde ad una triplice finalità:
1. valutare l’impatto numerico delle aziende che saranno obbligate alla redazione del bilancio di sostenibilità a partire dall’esercizio 2025,
(cosiddetti adopters), ovvero quelle imprese, cosiddette di grandi dimensioni, che supereranno almeno due dei seguenti tre parametri:
numero medio di occupati 250, fatturato per €/Mil 40 ed attivo per €/Mil 20;
2. effettuare un’analisi ricognitiva sui bilanci di sostenibilità redatti allo stato volontariamente dalle imprese (cosiddetti reporters);
3. realizzare una gap analysis sull’applicazione della CRSD nei reporters.
Le evidenze mostrano che la CSRD avrà un impatto nell’esercizio fiscale 2025 (redazione bilanci nel corso del 2026) per più 7milaottocento
imprese.
Sempre in relazione al punto 1), la ricerca mette, in particolare, in evidenza che:
- le Regioni più impattate saranno Lombardia (prima regione per numero di adopters con circa 3000 imprese), Veneto ed Emilia-Romagna che insieme sommano circa il 60% del totale degli adopters;
- i più impattati saranno il comparto manifatturiero con circa il 35% (circa 2700 imprese) e quello relativo al commercio con circa il 21%,
i meno quelli relativi al comparto estrattivo, all’editoria, al tessile; - il numero delle imprese (potenziale domanda) non è in linea con l’offerta di competenze sul tema, ovvero con il numero di commercialisti ed esperti contabili iscritti agli ordini territoriali. Per capirci, regioni come la Campania e il Lazio, presentano molti iscritti e sono secondi solo alla Lombardia che anche in questo ambito ha il primato.
Per rispondere al punto 2), la ricerca si sofferma, in particolare, su un campione di circa 2mila aziende (reporters) selezionate considerando
come ulteriore parametro, quello di essere società holding che già redigono un bilancio consolidato (di topo economico-finanziario) e che,
quindi, saranno obbligate alla redazione di un report di sostenibilità di tipo consolidato.
Dall’analisi, per rispondere al punto 2), emerge quanto segue:
- solo 235 imprese (circa il 12%) pubblicano sul proprio sito web un report di sostenibilità;
- di questi 235 report, soltanto 5 sono dichiarazione non finanziarie volontarie, ovvero report redatti in adesione all’art. 7 del D.Lgs. 254/16;
- il rapporto più elevato tra reporters e adopters è quello del settore utilities (circa il 39%), il minore è quello, invece, presente nel settore
dei servizi tradizionali (circa il 7%) che è pari a circa il 14% nel caso dei servizi IT; - l’ownership dei reporters è per lo più di tipo finanziario (83% di proprietà di banche, fondi pensionistici e fondi di private equity o di
venture capital) e pubblica (21%); - lo standard di rendicontazione più utilizzato è il GRI (90% dei casi), ovvero lo standard più diffuso anche nei bilancio degli Enti di
Interesse Pubblico con più di 500 dipendenti che, già dal 2017, ricadono nel perimetro obbligatorio della prima Direttiva Europea sui
bilanci di sostenibilità, la Non Financial Reporting Directive; segue il per livello di diffusione il SASB, lo standard di rendicontazione
statunitense con il 14%; - il framework più utilizzato è quello sugli SDGs di Agenda 2030 presente nel 83% dei reporters a cui segue quello relativo all’IR
(Integrated Report) nel 7% dei casi; - circa l’85% dei repoters redige bilanci di sostenibilità da più anni o almeno da più di un anno (il 15% dichiara di essere al primo anno di
rendicontazione); - il numero medio di pagine si assesta su circa 110 e ben l’83% dei report sono redatti solo in lingua italiana.
La ricerca del GBS-CNDCEC non effettua solo una ricognizione sul numero dei report e sulle loro principali caratteristiche (tipologia, standard, denominazione, numero pagine, ecc.), ma ci fornisce anche elementi di dettaglio dei report riguardo alcune delle principali novità legislative introdotte dalla CSRD, quali per esempio: la collocazione del report nella relazione sulla gestione, la doppia materialità, i piani di sostenibilità e i relativi obiettivi, la sostenibilità nella governance, la catena del valore e i relativi impatti ambientali e sociali.
Per rispondere al punto 3), la ricerca mette, infatti, in luce quanto segue:
- i report pur richiamando la CSRD nel 49% delle aziende, rientrano nel documento relazione sulla gestione (come richiesto dalla normativa europea) solo in 7 casi (3%);
- il 40% dei report è asseverato;
- il principio della doppia materialità è approcciato o comunque citato solo dal 27% dei reporters;
- la percentuale di informazioni in tema di modello di business e piano strategico di sostenibilità è presente, rispettivamente, nel 60% e nel 40% dei casi;
- il 43% delle aziende presenta nel proprio assetto di governance un Comitato ESG;
- diritti umani e supply chain sono temi piuttosto ricorrenti nei report esaminati, rispettivamente, presenti nel 90% e nel 94% dei casi;
- i rischi ESG sono trattati nel 73% dei reporters.
IN ALLEGATO LE SLIDE DELLA RICERCA
Allegati

Prof. associato di Economia aziendale presso il Dipartimento di Scienze dell’Economia dell’Università del Salento e Presidente GBS (Gruppo Bilanci e Sostenibilità)
economia
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