L’ambiente finanziario internazionale, che continua ad essere caratterizzato da ricorrenti crisi, sta richiamando sempre più l’attenzione su un sistema alternativo e nello stesso tempo complementare di intermediazione meno orientato all’indebitamento, alla speculazione e al rischio. Il sistema finanziario islamico rappresenta un’alternativa valida. Ossia, rappresenta un sistema finanziario in cui i principi guida delle sue operazioni e attività sono basati sui precetti e sui dettami della Sharia, l’insieme di attività finanziarie che sono conformi ai principi della Sharia: le regole etico religiose che maggiormente influenzano la finanza islamica sono il divieto di applicare interessi (riba), quello di mettere in atto iniziative aleatorie che presentino una quota elevata di rischio e di incertezza (gharar) e la proibizione di attività speculative o di azzardo (maysir). È, in particolare, il divieto di corrispondere e ricevere interesse ciò che differenzia la banca islamica da quella occidentale, detta comunemente “convenzionale”.
Per ovviare alla mancata corresponsione degli interessi, le istituzioni finanziarie islamiche sono ricorse a pratiche diverse per remunerare la propria attività di intermediazione: la più importante e tipica è la partecipazione ai profitti e alle perdite (PLS). Una banca islamica non richiede interessi ma partecipa ai risultati dell’uso dei fondi erogati. A loro volta i depositanti partecipano ai profitti realizzati dalla banca ad un tasso di ripartizione predeterminato. Si genera, così, una sorta di “partnership” tra la banca e i clienti che necessitano denaro per investimenti da un lato, e la banca e i clienti depositanti dall’altro. In Italia sono state adottate dalle autorità italiane una serie di iniziative per studiare le problematiche legate ad una presenza estesa della finanza islamica: la Banca d’Italia ha organizzato una serie di conferenze riguardanti questo tema; l’Associazione Bancaria Italiana (Abi) sta coordinando un gruppo di lavoro relativo al rilascio di un sukuk aziendale o autonomo. Nel frattempo, SIMEST (un istituto finanziario che sostiene lo sviluppo e la promozione della lingua italiana presso le imprese all’estero) sta lavorando sulla possibilità di lanciare un “Fondo Mediterraneo di Partnership”, parte del quale sarebbe conforme alla Sharia.
Inoltre, secondo le stime di mercato, i depositi bancari islamici al dettaglio tra le diverse comunità di musulmani in Italia potrebbero raggiungere i 5,8 miliardi di dollari e generare un fatturato di 218,6 milioni di dollari entro il 2015, con queste cifre in aumento a 33,4 miliardi di dollari e 1,2 miliardi rispettivamente entro il 2050. L’economia islamica è in grado di offrire ottime opportunità per le imprese italiane alla ricerca di mercati: alimentare, abbigliamento e moda, viaggi e turismo, media e intrattenimento, farmaceutico e dei prodotti Cosmetici. I dati dimostrano le opportunità per il territorio, che va stimolato e interessato a comprendere le logiche e le influenze culturali che sottendono l’economia e la finanza islamica: a questo proposito, l’Osservatorio dell’Università di Torino sta supportando, attraverso la sua rete di relazioni con partner nei Paesi del Golfo, alcune iniziative imprenditoriali italiane “sharia compliance” per l’attrazione di capitali e lo sviluppo di mercato. Il 27 e 28 maggio prossimi è in programma a Torino, la Scuola di Management ed Economia dell’Università di Torino presso la il Thematic Workshop on Islamic Financial Innovations 2015, organizzato dall’Osservatorio sulla finanza islamica in collaborazione con l’università saudita EFFAT e l’ Islamic Research and Training Institute. L’incontro, che attrarrà ricercatori e docenti è preliminare alla seconda edizione del Tief, Turin Islamic Economic Forum, in programma il 19 e 20 ottobre prossimi, che richiamerà la presenza di operatori di settore per studiare nuove opportunità di business e partnership con il nostro territorio.
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