I Fondi europei restano al palo. Al di là di qualche iniziativa episodica regionale (sono le autonomie locali a doverli veicolare), infatti, quella che doveva essere una concreta alternativa alle tradizionali forme di credito da cui i professionisti sono stati da sempre esclusi resta ancora sulla carta. Troppi lacci e burocrazia rendono di fatto questa quota di finanziamento ancora un miraggio per i professionisti. Ed a poco sono servite le raccomandazioni provenienti dalla UE che, nel suo Piano d’azione imprenditorialità 2020, ha considerato tra le esperienze qualificanti di impresa anche l’attività professionale, oggi assimilabile dal punto di vista economico ed organizzativo a quella di una pmi. Per una ragione semplice: la posizione espressa dall’Europa all’interno delle Raccomandazioni non ha una natura giuridica tale da vincolare gli Stati membri che, così come ha fatto finora l’Italia, sono liberi di recepirne il contenuto o di ignorarlo. Non sono servite, almeno per il momento, neppure le sollecitazioni del mondo professionale perché il governo in questi anni non ha mai dichiarato espressamente la propria posizione sul tema.
A cercare una quadratura del cerchio fu, lo scorso luglio, un tavolo tecnico convocato (su sollecitazione delle categorie) dal sottosegretario allo sviluppo economico Simona Vicari, durante il quale fu annunciato un protocollo d’intesa per armonizzare le politiche di sostegno regionali, attraverso misure ed incentivi che potessero rafforzare gli studi professionali alla stessa stregua delle pmi. Ma anche in questo caso, nonostante gli annunci ed un’ampia condivisione di obiettivi, la conclusione fu un nulla di fatto. E quell’intesa è ancora chiusa in un cassetto della Conferenza Stato Regioni.
In molti confidano ora nel nuovo Comitato con funzioni di sorveglianza ed accompagnamento dell’attuazione dei Programmi operativi nazionali (Pon) e regionali (Por) a valere sui fondi strutturali e d’investimento europei 2014-2020. «Il Comitato – spiega Giulia Caminiti, ricercatrice della Fondazione nazionale dei commercialisti – avrà il compito di coordinare le politiche di coesione, monitorando i risultati conseguiti per il raggiungimento degli obiettivi fissati nell’Accordo di partenariato in questo nuovo settennato. Su un apposito spazio web, avrà il compito di pubblicare i documenti relativi ai Programmi a valere sui fondi e di effettuare resoconti periodici al Governo sull’utilizzo delle risorse comunitarie». Del Comitato ha chiesto di far parte, con funzioni consultive, il Consiglio nazionale dei commercialisti, anche in virtù dell’esperienza maturata da una task force della categoria istituita al fine di svolgere ricerche ed approfondimenti proprio su bandi ed avvisi pubblici europei.
Infine l’attuale occasione del capitolo della Legge di stabilità per il 2016, in queste settimane in discussione in Parlamento, che secondo le intenzioni del sottosegretario all’economia Pier Paolo Baretta potrebbe contenere un’interpretazione autentica della norma per chiarire che anche i professionisti, accanto alle piccole e medie imprese, possono usufruire dei fondi europei. In alternativa si potrebbe includere un passaggio – ed è questo l’auspicio del Consiglio nazionale dei commercialisti – che escluda la doppia iscrizione sia all’albo professionale che alla camera di commercio, rendendo sufficiente per le libere professioni la sola iscrizione all’ordine.
Non è un caso che di fronte a questo quadro caotico l’Italia, insieme a Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Ungheria, Romania, Slovacchia e Slovenia, sia stata posta sotto l’attenzione di una task force creata dalla Commissione Europea, che dovrebbe aiutare a migliorare l’utilizzo dei fondi strutturali (FSE, FESR e Fondo di Coesione). La task force, creata nell’ambito delle priorità di intervento intraprese da Corina Cretu, Commissaria per la politica regionale, aiuterà l’Italia a cogliere le opportunità di investimento offerte dai fondi strutturali a disposizione.
Le diverse tipologie di fondi
Ma cosa si intende quando si parla di fondi europei? Innanzitutto sono considerati lo strumento principale della politica di coesione comunitaria per ridurre disparità economiche e sociali esistenti tra le regioni degli Stati membri. Il maggiore sostegno per i professionisti sono i fondi indiretti, cioè quella parte di finanziamenti assegnati non direttamente dalla Commissione europea ma attribuiti attraverso le amministrazioni centrali o regionali. In Italia la gestione di questi fondi viene affidata dai ministeri alle regioni, che in base alle necessità del proprio territorio identificano le priorità di azione, emanandone i relativi bandi. Le risorse per queste forme di finanziamento provengono in parte dal Fondo sociale europeo, cioè il primo strumento della UE per investire in risorse umane, ed in parte dal Fondo di sviluppo regionale, che ha l’obiettivo di riequilibrare le principali disparità tra le regioni finanziando lo sviluppo e l’adeguamento strutturale delle diverse regioni. In casi particolari (progetti particolarmente innovativi in partnership) i professionisti possono partecipare anche alla spartizione dei fondi diretti. In questo caso è la commissione europea che li eroga e che stabilisce i criteri ed i principi di funzionamento dei vari programmi (i cosiddetti bandi comunitari). Si tratta quindi di risorse regolate da un rapporto diretto tra la commissione UE e gli utilizzatori finali attraverso appositi intermediari accreditati, abilitati a gestire i fondi presso gli Stati membri. Questa fetta di finanziamento è assegnata a coloro (organizzazioni pubbliche o private, università, aziende) che presentano proposte di progetti che promuovono le politiche europee nelle varie aree (ricerca e sviluppo, educazione, formazione e ambiente).
L’ammontare dei fondi
La posta in gioco è piuttosto alta: sul piatto ci sono oltre 42 miliardi di euro di finanziamenti comunitari, cui si aggiungono 24 miliardi di euro di cofinanziamento nazionale attraverso il Fondo di rotazione per l’attuazione delle politiche comunitarie ed altri 4,3 miliardi messi a disposizione dalle regioni. Rispetto alla programmazione 2007-2013, caratterizzata da notevoli ritardi della spesa, ci sono ancora 12,3 miliardi da spendere entro la fine dell’anno (al 31 maggio 2015 la quota di spesa certificata all’Unione Europea – 34,3 miliardi di euro – era pari al 73,6%, un valore inferiore al target nazionale fissato al 76,6%). L’obiettivo fissato nel nuovo Accordo di partenariato, infatti, è quello di arrivare nel 2020 al completamento dei programmi di spesa cofinanziati dei fondi strutturali, grazie anche al potenziamento delle strutture che gestiscono i finanziamenti attraverso i cosiddetti Piani di rafforzamento amministrativo (Pra) ed all’istituzione del Comitato di sorveglianza dei programmi operativi nazionali e regionali.
I nodi
Ma qual è in concreto il problema per l’utilizzo di questi fondi? Il nodo da sciogliere è legato al capitolo dei fondi strutturali (o indiretti) europei decisi ed indetti dalle singole autonomie locali sulla base dei risultati dei cosiddetti tavoli di partenariato ai quali vengono invitate le parti sociali locali per raccoglierne le esigenze. Il punto è che a questi tavoli i professionisti non sono mai stati chiamati, con il risultato che fino ad ora pochissime regioni hanno emanato bandi a loro direttamente riservati o li hanno inclusi tra i beneficiari. Nella maggior parte dei casi, infatti, alle categorie professionali è richiesta anche l’iscrizione alla Camera di commercio, principio che di fatto esclude il professionista.
Le regioni
Nel frattempo le regioni si muovono in ordine sparso. Ciascun ente, infatti, ha la propria linea di condotta. E mentre da un lato Sardegna, Puglia, Marche, Lombardia, Lazio e Calabria almeno nella programmazione (è necessario comunque aspettare il bando) hanno già deciso che i professionisti, essendo assimilabili alle pmi, potranno avere accesso ai bandi regionali relativi ai fondi europei per agevolazioni ed incentivi, dall’altro lato Basilicata, Molise, Piemonte, Trentino-Alto Adige, Umbria e Valle d’Aosta hanno optato per la soluzione contraria. Ad avviso di queste regioni, infatti, affinché i professionisti possano avere accesso ai bandi è necessario il requisito dell’iscrizione alla camera di commercio. Restano nel limbo, invece, Emilia-Romagna, Liguria, Sicilia, Veneto e Friuli Venezia Giulia (che ha fatto bandi per i professionisti ma non a valere dai fondi europei) che sul punto ancora non hanno preso posizione, mentre nei giorni scorsi Abruzzo e Campania hanno reso noto che i professionisti potranno avere accesso alle agevolazioni solo in via indiretta. Le due regioni, infatti, offriranno incentivi alle imprese che affideranno incarichi ai professionisti. Una soluzione che aggira l’ostacolo senza trovare un punto di arrivo e che si affianca alle altre strategie regionali che escludono i professionisti dal campo «imprese» ma che prevedono la pubblicazione di bandi di gara ad hoc solo per settori specifici.
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