É iniziata nei giorni scorsi a Shangai la Conferenza Mondiale sull’Intelligenza Artificiale (WAIC), evento su cui la Cina punta moltissimo per porsi come capofila nell’innovazione, soprattutto per i suoi risvolti sull’economia, sulla manifattura, ma anche nel settore dei servizi. Negli stessi giorni, il World Economic Forum ha presentato uno studio intitolato “Il Futuro del Lavoro” secondo cui oggi il 71% delle ore lavorate è svolto da esseri umani, mentre nel 2025 sarà solo il 48%.

A Shangai vanno in mostra le più innovative applicazioni all’economia dell’Artificial Intelligence (AI), dal riconoscimento facciale per facilitare la cattura dei ricercati nelle città cinesi alle applicazioni nella logistica, ma la maggior attesa è per le soluzioni che verranno presentate riguardo gli utilizzi nelle transazioni finanziarie e commerciali.

Questi sviluppi in campi dove il ruolo del lavoro intellettuale è decisivo apre scenari estremamente sfidanti per tutte le professioni intellettuali, scenari ricchi di opportunità, ma anche di rischi.

Lo stato dell’arte

Il Politecnico di Milano ha stimato in 1,4 miliardi l’investimento degli studi professionali italiani in tecnologie informatiche, cifra in costante crescita e con una spesa media calcolata sugli studi dei commercialisti di 8700 euro. Secondo lo stesso studio, però, solo il 31% degli studi professionali italiani si è dotato di un software di gestione e controllo.

Ad oggi, le applicazioni dell’AI negli studi dei commercialisti italiani sono legate prevalentemente alla riduzione delle mansioni routinarie collegate a catalogazione e smaltimento di pratiche arretrate. Siamo insomma solo ad una fase pioneristica, ma la prossima sfida sono i chatbot, assistenti vocali programmati per rispondere ai quesiti dei clienti, che possono trovare applicazione nella ricerca della giurisprudenza attinente al caso all’esame del professionista e nelle attività di due diligence.

Esistono già, d’altro canto, soluzioni informatizzate che consentono di inviare quesiti e di ricevere risposte semi automatiche da professionisti digitali. Molto si dibatte sulla qualità e sull’affidabilità di queste applicazioni, ma a livello globale si calcola vengano investiti oltre 900 milioni di dollari l’anno in startup del settore così detto regtech.

L’automazione di queste funzioni distruggerà senza dubbio posti di lavoro, il WEF li calcola in 75 milioni a livello globale, ma al contempo calcola che grazie alle tecnologie di AI verranno creati 113 milioni di nuovi posti di lavoro, con un saldo positivo quindi di 58 milioni.

Il rischio per gli studi professionali

Ma è reale il rischio di concorrenza automatizzata che soppianta gli studi dei commercialisti in carne ed ossa? Non ancora al livello di sostituire gli studi (la società di consulenza Deloitte calcola 100mila studi professionali interamente automatizzati entro il 2036 negli Stati Uniti), ma sicuramente l’automazione eroderà progressivamente fette di mercato e trasformerà i ruoli e i compiti all’interno degli studi professionali.

L’unica condizione che gli amministratori di aziende con 15 milioni di lavoratori in 20 Paesi, intervistati dal WEF, vedono come assolutamente necessaria perché si creino nuovi posti di lavoro è un consistente investimento in formazione dei lavoratori e dei professionisti. In questa direzione va la proposta del CNDCEC sulle specializzazioni.

In quest’ottica, è particolarmente importante anche l’apertura ai professionisti dell’impiego dei fondi comunitari, ma le programmazioni delle varie Regioni non risultano ancora adeguate alla sfida e alla sua urgenza. Urgenza invece percepita dalle più importanti università del mondo che al WAIC di Shangai hanno stabilito un’alleanza universitaria globale per l’intelligenza artificiale. Ne fanno parte, tra le altre, il MIT di Boston, l’Università di Sidney e sei università cinesi.

Se eroderà fette di mercato, specialmente nel settore fiscale e della contabilità, l’automazione per ora consente al professionista di risparmiare tra il 13 e il 20% del suo tempo, che può quindi essere impiegato in attività intellettuali a maggior valore aggiunto. Perché l’AI, con la sua velocità ed efficienza, non è in grado di surclassare l’uomo su tutto.

Di sicuro, il lato creativo e propositivo di nuove soluzioni del lavoro professionale è meno minacciato, ma anche la garanzia al cliente di discrezione e sicurezza, che l’informatica garantisce sempre, ma solo fino ad un certo punto e con ingentissimi investimenti anti intrusivi.

C’è infine l’aspetto deontologico: se l’AI obbedisce agli impulsi inseriti, il professionista col suo bagaglio di conoscenze e di etica professionale sarà sempre una maggiore garanzia sia per il cliente, sia per il pubblico affidamento su un sistema basato su norme condivise.

 

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