Aiutare i contribuenti più piccoli negli adempimenti tributari e prevenire problematiche con il fisco. Esattamente come il medico di famiglia fa con la salute dei propri assistiti. Senza oneri per il cittadino, ma a spese dello Stato (il quale tuttavia ricaverebbe dall’attività di “cura fiscale” un gettito maggiore dei costi sostenuti, con un beneficio finale netto per i conti pubblici). Il progetto del “commercialista di base”, per quanto rivoluzionario possa sembrare, è stato lanciato dalla Fondazione Nazionale dei Commercialisti che, con un approfondito documento di ricerca, ha illustrato i dettagli operativi di una proposta apparentemente insolita.
L’idea di fondo è quella di replicare l’esperienza già vissuta dal Servizio sanitario nazionale circa 40 anni fa, che portò alla nascita della figura del medico di base. Un’innovazione che allora prendeva le mosse dalla funzione assistenziale e di sicurezza sociale di matrice pubblica garantita dagli articoli 38 e 117 della Costituzione. Principi che, a parere dell’organismo di ricerca della categoria, potrebbero valere oggi più che mai anche nell’assolvimento dei doveri fiscali di ciascun cittadino.
La proposta della FNC si rivolge a circa 3,6 milioni di piccole partite Iva (nel dettaglio, 1,8 milioni di imprenditori in contabilità semplificata, 913 mila professionisti ed artisti, 567 mila soggetti in regime di vantaggio e 403 mila lavoratori agricoli). Tali contribuenti, invece che affidarsi ad un consulente fiscale mettendo mano al proprio portafogli, potrebbero contare sull’assistenza gratuita di un “commercialista curante”. Il professionista, dedicato in via esclusiva ed autonoma all’assistenza di base, si farebbe così fornitore di un servizio pubblico, assicurando tutto quanto serve ad un contribuente nei propri rapporti con imposte e tasse (sia sul fronte della consulenza sia su quello degli adempimenti).
«Si tratta di un documento significativo», afferma Gerardo Longobardi, presidente del Consiglio nazionale dei commercialisti, «per delineare un possibile futuro per la nostra professione. “Il Commercialista di base” rappresenta, infatti, una novità assoluta che attribuisce forma compiuta ad una riflessione su cui la nostra Fondazione stava lavorando da tempo. La ricerca, inoltre, risulta complementare al grande investimento che il CNDCEC ha fatto sulle Scuole di Alta Formazione, che stanno cominciando a muovere passi concreti su tutto il territorio nazionale. Commercialista di base e commercialista specializzato non sono figure tra loro antitetiche, ma il frutto dell’impegno della Fondazione e del Consiglio nazionale per delineare il nostro futuro professionale. Il commercialista di base rappresenta una proposta su cui è ora importante aprire un confronto sia al nostro interno che con i nostri interlocutori».
La platea di contribuenti considerata produce annualmente entrate fiscali comprese tra i 15 ed i 20 miliardi tra IRPEF, IVA e IRAP, per versare i quali si sobbarca costi di assistenza contabile e fiscale di 3,5-4,5 miliardi di euro.
«Grazie al commercialista di base questi contribuenti risparmierebbero circa 1.000 – 1.200 euro a testa ogni anno», commenta il presidente della FNC, Giorgio Sganga, «soldi che produrrebbero un incremento del reddito disponibile e quindi effetti positivi sui consumi, contribuendo al rilancio dell’economia». Già, ma chi pagherebbe lo “stipendio” del commercialista di base? L’ipotesi progettuale elaborata dalla Fondazione prevede il riconoscimento di un compenso, a carico dello Stato, differenziato a seconda degli adempimenti “certificati” dal professionista, da determinarsi sulla base di apposito decreto ministeriale. Misura che, naturalmente, richiederebbe una copertura finanziaria nell’ordine di almeno 3-4 miliardi di euro annui. «Questa è la leva che i critici utilizzano maggiormente per rispedire al mittente la nostra proposta, ma in realtà si tratta di un falso problema», prosegue Sganga. «I compensi dei commercialisti di base sarebbero senz’altro un costo per l’erario, tuttavia la nuova figura stimolerebbe in maniera sensibile la compliance, facendo sì che ciascun contribuente assistito determini correttamente e poi versi quanto dovuto al fisco. Riteniamo che il maggior gettito prodotto da tale meccanismo sia ben superiore ai costi per lo Stato ed a tale scopo la categoria potrebbe anche accettare di avviare la sperimentazione senza essere pagata, incassando i compensi del primo anno solo nell’esercizio successivo, cioè una volta acclarati i benefici economici per l’erario».
Nella proposta della FNC si prevede una responsabilità diretta del commercialista di base rispetto a eventuali errori, ritardi od omissioni commessi per conto dei clienti-assistiti. La possibilità di dover rispondere in proprio con sanzioni economiche costituirebbe così un’ulteriore garanzia di correttezza e professionalità, come peraltro già avviene con istituti analoghi di “affidamento” da parte dello Stato (visto di conformità, asseverazione, certificazione tributaria, 730 precompilato, etc.).
Senza dimenticare un ulteriore beneficio per l’amministrazione finanziaria. «Ad oggi la fascia dei contribuenti minori è quella più difficile da controllare per l’Agenzia delle Entrate», puntualizza Sganga, «sia in virtù dell’elevata numerosità dei soggetti che la compongono sia della crescente esigenza di concentrare le risorse sulle fattispecie fraudolente di maggiore gravità e sul continuo monitoraggio delle grandi imprese. Pertanto, il controllo preventivo operato dal commercialista di base consentirebbe di ridurre le verifiche sulle piccole partite Iva, producendo un significativo risparmio in termini di risorse e di ore-lavoro e, quindi, di denaro pubblico. A vigilare sul corretto ed onesto rispetto degli oneri fiscali e contributivi posti a carico dei contribuenti, infatti, ci sarebbe il commercialista».
L’idea della FNC contempla una dotazione minima per poter svolgere la funzione di commercialista di base, sulla scorta di specifici requisiti strumentali da definire tramite decreto ministeriale. Una volta attrezzato lo studio, il professionista dovrà pure ricevere un’apposita certificazione pubblica, una sorta di “bollino” rilasciato dalla PA, che attesti il pubblico ruolo a verificare ed applicare correttamente le norme tributarie per conto dei contribuenti minori. Sempre tramite D.M. dovrebbero essere approvate anche le “checklist”, ossia le liste di controllo che il commercialista pubblico dovrebbe seguire nell’effettuazione di ciascun adempimento, come già avviene per la certificazione tributaria regolata dall’articolo 36 del dlgs n. 241/1997.
E se nel corso della presentazione del progetto sono risuonate più volte le parole “sfida” e “provocazione”, all’interno della categoria il dibattito si è subito acceso. «Personalmente ho ricevuto tante email e telefonate di colleghi che, da Pordenone a Bari, hanno espresso un forte apprezzamento per la nostra proposta», conclude Sganga. «Alcuni addirittura erano così entusiasti che rivendicavano la paternità dell’idea, alla luce di alcune discussioni analoghe intavolate a livello di Ordini territoriali in passato. Questo non può che farci piacere. Di sicuro non mancano i detrattori del progetto, ma, a chi sostiene che fare il commercialista di base rappresenti una sorta di svilimento della professione, vorrei ricordare che si tratterebbe di una scelta puramente volontaria. Già oggi almeno l’80% dei commercialisti si dedica quasi esclusivamente alla compliance contabile e fiscale. E personalmente conosco decine, se non centinaia, di colleghi, soprattutto i più giovani, che sarebbero pronti domani stesso a rivestire a tempo pieno un ruolo di così alti rilevanza pubblica ed interesse sociale».
Il documento di ricerca della Fondazione ha aperto il confronto all’interno della categoria, anche se è stata la stessa FNC a sottolineare che lo studio presentato «non vuole avere la pretesa di essere una proposta normativa». Il dibattito si gioca anche sui social network, dove sono proliferati in queste settimane gli scambi di vedute da parte di iscritti all’Albo di tutte le aree geografiche ed età, in attesa di capire se la tematica potrà finire nell’agenda della politica di categoria e, magari, anche di quella nazionale.
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