È opinione comune che l’aggressione ai patrimoni illeciti – tramite i fondamentali strumenti del sequestro e della confisca – costituisca oggi un indispensabile mezzo di contrasto alla criminalità organizzata: la grande efficacia di tali strumenti ha reso evidente come essi siano ormai assai più incisivi – nel reprimere e prevenire i fenomeni criminali esistenti – rispetto alle pene detentive inflitte con le sentenze di condanna, e la consapevolezza di tale efficacia ne ha determinato l’applicazione sempre più diffusa, la quale registra una crescita esponenziale non solo nei territori dell’Italia del sud, noti per la storica infiltrazione criminale nel tessuto sociale.
In questo scenario assume un ruolo fondamentale, essendo il cuore e motore della procedura, l’amministratore giudiziario, ovverosia il professionista (avvocato o commercialista) chiamato, tra l’altro, a gestire e valorizzare i compendi sequestrati e poi confiscati.
Spesso tuttavia si tende a confondere o sovrapporre il ruolo dell’amministratore giudiziario con quello di altre figure professionali, quali il curatore fallimentare o il custode nelle esecuzioni immobiliari. Invero l’amministratore giudiziario è una figura del tutto peculiare, con proprie caratteristiche e funzioni che non consentono accostamenti ad altre professionalità.
L’amministratore giudiziario, in effetti, proprio per la particolare natura dell’incarico svolto, è espressamente qualificato dal legislatore del codice antimafia come “pubblico ufficiale”. Inoltre per l’amministratore giudiziario è stato previsto uno specifico albo professionale, nel quale possono iscriversi soltanto talune categorie di soggetti aventi particolari requisiti morali e professionali.
Per la particolare delicatezza delle funzioni espletate e dei peculiari interlocutori con i quali l’amministratore giudiziario si interfaccia (consorterie criminali), al professionista in esame è richiesta una “scelta di campo” che va aldilà di quelli che sono i requisiti professionali e morali richiesti.
Oltre a questa indefettibile scelta di campo, all’amministratore giudiziario è richiesta una consolidata preparazione professionale. La complessità della materia, infatti, richiede un approccio sistematico e interdisciplinare nei campi dell’economia, del diritto, ma anche delle scienze architettoniche ed edilizie.
Peraltro, come evidenziato da un illustre magistrato nel codice antimafia, sono rintracciabili almeno “13 ruoli” dell’amministratore giudiziario e segnatamente: di “pubblico ufficiale;d i custode; di investigatore; di consulente commerciale; di manager; di dirigente di seconda fascia dello Stato; di autore di piani industriali; di liquidatore; di curatore fallimentare; di contabile; di ausiliario del Tribunale; di collaboratore dell’Agenzia; di cassiere del Fondo unico Giustizia”.
Nonostante queste numerose e delicate funzioni che il codice affida all’amministratore giudiziario, si registra un atteggiamento di completa chiusura da parte del governo in ordine alla valorizzazione di questa figura: anzi, i provvedimenti adottati alla fine del 2014 e nel corso del 2015 inducono a ipotizzare che l’intento del governo sia quello di “punire” tali professionisti.
Gli indici rilevatori di tale atteggiamento governativo sono riscontrabili in due bozze di provvedimenti normativi e segnatamente: nella norma c.d. “ammazza amministratori” e nella bozza di decreto di liquidazione dei compensi degli amministratori giudiziari.
Con la prima norma il governo vorrebbe introdurre nell’art. 35 un nuovo comma, il 2-ter, che impedirebbe a chi già svolge la funzione di amministratore giudiziario di gestire contemporaneamente un’altra azienda sequestrata.
In merito, sono state presentate interessanti proposte emendative dal CNDCEC per rendere trasparenti e verificabili le scelte degli uffici giudiziari ed evitare, al contempo, criteri e meccanismi di selezioni rigidi e inadeguati alle esigenze imprevedibili di ciascuna procedura.
Come se non bastasse nella seduta dell’8 maggio 2015, il Consiglio dei Ministri ha approvato in esame preliminare lo schema di decreto di liquidazione dei compensi degli amministratori giudiziari prendendo come modello riferimento la normativa dettata in materia di compenso spettante al curatore fallimentare e al commissario giudiziale e, per di più, adattandolo in peius al procedimento di prevenzione considerando le relative attività meno complesse rispetto a quelle svolte dal curatore fallimentare.
Sul punto è doveroso ricordare, così come ha da subito sottolineato il CNDCEC, che l’amministratore giudiziario istituzionalmente amministra e custodisce i compendi gestiti nell’ottica di valorizzare gli stessi e quindi secondo criteri e modalità esattamente opposte rispetto a quelle caratterizzanti l’approccio liquidatorio del curatore fallimentare.
L’amministratore giudiziario svolge, infatti, un ruolo ben più complesso, variegato e impegnativo in quanto tende, per quanto riguarda le aziende, alla prosecuzione dell’attività di impresa, al mantenimento dei livelli occupazionali, alla conservazione della posizione concorrenziale sul mercato e, quanto ai beni immobili, all’incremento della redditività, essendo la gestione svolta per conto di chi spetta. Del resto proprio la caratteristica dell’amministrazione giudiziaria di essere una gestione estremamente dinamica, ha di recente indotto il legislatore a prevedere l’applicazione dei compensi per l’amministratore giudiziario anche all’attività gestoria, parimenti dinamica, svolta dal Commissario nominato dal Prefetto su proposta del Presidente dell’ANAC per la temporanea e straordinaria gestione dell’impresa appaltatrice.
Ne consegue che, diversamente da quanto sostenuto nella relazione illustrativa al decreto in esame, nel nostro ordinamento non ci si trova al cospetto di un unico criterio generale per la determinazione dei compensi, ma ad una molteplicità di criteri che debbono tener conto delle peculiari attività svolte dallo specifico professionista impiegato all’uopo graduando i compensi per le attività statiche e liquidatorie (come quelle svolte dal curatore/commissario giudiziale) oppure per le attività dinamiche e produttive di reddito (quelle svolte dall’amministratore giudiziario/commissario ANAC).
Partendo da questo assunto anche il merito del decreto e, quindi, i criteri della determinazione dei compensi, risultano assolutamente inadeguati rispetto alle attività concretamente svolte dall’amministratore giudiziario, tese alla valorizzazione dei compendi, e alle esplicite previsioni del codice antimafia che incidono sulla durata del procedimento di prevenzione, sulla natura delle attività svolte dall’amministratore giudiziario/coadiutore dell’Agenzia e quindi sulla determinazione dei relativi compensi
In generale, l’impressione che si avverte è che purtroppo i provvedimenti legislativi sono confezionati sempre più spesso da soggetti non tecnici e, nel caso in esame, non sia stato condiviso neanche con la competente Commissione Giustizia che, come noto, sta esaminando un progetto organico di modifica al Codice antimafia, presumibilmente prevedendo la traslazione delle competenze dell’Agenzia Nazionale al momento della confisca definitiva e la conseguente permanenza dell’amministratore giudiziario fino a quel momento.
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