Una serie di attività, svolte quale professionista o quale membro di organo endosocietario, viene considerata a rischio non significativo dalle nuove norme tecniche antiriciclaggio emanate dal Consiglio nazionale dei Dottori commercialisti e degli Esperti contabili. Si badi, non significativo non indica un rischio nullo poiché nell’ambito della normativa antiriciclaggio non sussistono specifiche situazioni a rischio zero.

In virtù di quanto sopra, le norme tecniche evidenziano che la rilevazione “si pone a valle di un processo di valutazione che, seppur non formalizzato, dovrà comunque essere svolto dal professionista, in quanto la normativa vigente esclude la possibilità di individuare in via automatica e preventiva fattispecie rispetto alle quali possa operare una presunzione di assenza di rischio di riciclaggio”.

A tutela di queste situazioni, si evidenzia nella regola tecnica n. 2.1.1, vale quindi il rispetto di norme ed obblighi di condotta previsti a garanzia del corretto comportamento del professionista nell’espletamento delle proprie funzioni, finalizzato a presidiare e mitigare il rischio di riciclaggio e finanziamento del terrorismo da parte del proprio cliente (ad esempio nelle curatele con le comunicazioni al giudice di eventuali ipotesi di reati).

Ciò non significa che, anche per le prestazioni individuate nella tabella 1, il professionista possa esimersi, in termini assoluti, dal valutare il rischio della prestazione. Anche nell’ambito delle prestazioni “valutate a rischio non significativo”, quindi, qualora il rischio del cliente e dell’operazione possa risultare in qualche modo di un certo rilievo, il professionista potrà optare per una formalizzazione dell’analisi del rischio che ben potrà risultare, a questo punto, poco significativo, abbastanza significativo o addirittura molto significativo. Ciò però rappresenterà l’eccezione.

Di norma, infatti, si presume che dette prestazioni siano a rischio “non significativo” e quindi che il professionista possa limitarsi a valutare il rischio, senza alcuna formalizzazione della sua analisi, ad acquisire e conservare solo la copia della lettera di incarico professionale, la delibera assembleare di nomina o, in alcune situazioni, il documento del cliente.

Venendo alle singole prestazioni considerate a rischio non significativo, fra esse spicca la funzione di sindaco privo di funzione di revisione (a cui viene equiparato il consigliere di sorveglianza nei modelli dualistici) e le funzioni, di cui sopra si è fatto cenno, di curatore fallimentare.

Per il ruolo di controllore, le norme tecniche evidenziano in primo luogo che sia il collegio sindacale, sia il sindaco unico (così come il consigliere di sorveglianza) sono di norma affiancati dal revisore o dalla società di revisione, controllore esterno che è sempre obbligato a tutti gli adempimenti dell’adeguata verifica.

Delegare (ricordiamo ai singoli membri) del collegio sindacale l’adeguata verifica in via obbligatoria, peraltro, avrebbe determinato la possibilità (non essendo obbligatorio scegliere i sindaci nell’albo dei dottori commercialisti) da un lato di consentire ai sindaci di provvedere a tali obblighi in alcune situazioni in modalità differenziata (es. un sindaco dottore commercialista e l’altro avvocato), dall’altro di escludere l’obbligo per alcuni sindaci (ad esempio professori universitari non iscritti ad alcun albo professionale).

Un’altra specifica esclusione riguarda gli incarichi giudiziali, cioè in particolare il ruolo del curatore e del commissario giudiziale nonché, in generale, gli altri gli incarichi di origine giudiziaria. In tali situazioni, infatti, di norma il professionista evidenzia già con apposite relazioni (art. 33 dell’attuale legge fallimentare, art. 130 delle nuove disposizioni in tema di crisi d’impresa ed insolvenza, in cui addirittura i rendiconti obbligatori all’autorità giudiziaria si duplicano) al giudice delegato, o nel caso del Commissario giudiziale direttamente al pm  (artt.165 dell’attuale legge fallimentare, 92 delle nuove disposizioni sulla crisi d’impresa), i fatti che possono interessare ai fini delle indagini preliminari in sede penale, ivi compresi eventuali ipotesi di riciclaggio.

Nelle 24 ipotesi ritenute a rischio non significativo viene poi ricompresa una serie di   adempimenti di carattere fiscale fra cui spiccano, ad esempio, l’apposizione del visto di conformità, quale obbligo collegato alle dichiarazioni fiscali espressamente escluse dagli obblighi antiriciclaggio in virtù dell’art. 17, comma 7 del d.lgs 231.

Ovviamente, le prestazioni escluse dalla maggior parte degli adempimenti formali in tema di adeguata verifica non esimono in toto il professionista da eventuali obblighi di segnalazione di operazioni sospette. Ciò dovrà avvenire in tutti quelle situazioni previste dall’art. 35 del d.lgs 231/07, qualora nell’espletamento delle relative funzioni esso abbia il dubbio che, a fronte della prestazione professionale o incarico endosocietario, emergano elementi che facciano supporre o sospettare che il cliente abbia in corso o che siano state compiute o tentate operazioni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo, o che comunque  i fondi utilizzati nell’eventuale operazione, indipendentemente dalla loro entità, provengano da attività criminosa.

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