Nell’epoca delle monete virtuali, delle criptovalute, delle transazioni finanziarie istantanee in tutto il mondo si torna a parlare di oro, in particolare delle riserve auree custodite dalla banche centrali.

Ma perché ancora oggi l’oro è così importante, perché in tutte le epoche della storia umana, alla fine, ha svettato incontrastato su ogni altro strumento finanziario? Le caratteristiche del metallo sono eccezionali, ma ci sono altri metalli con caratteristiche molto buone e anche migliori. Eppure nessuno di questi esercita sull’uomo lo stesso fascino dell’oro.

Ad interrogarsi sull’oro, sul suo ruolo e valore è Salvatore Rossi, direttore generale della Banca d’Italia e presidente dell’Istituto di Vigilanza sulle Assicurazioni, nel suo ultimo libro intitolato appunto “Oro” ed edito da Il Mulino.

Un libro agevole, di veloce lettura, fatto per essere compreso da tutti, non solo da economisti, pur essendo Salvatore Rossi uno degli economisti italiani più brillanti e di più vasta cultura.

Il libro ripercorre il fascino dell’oro sull’immaginario umano, dai miti di Re Mida al vello d’oro di Giasone sino agli innumerevoli proverbi e motti popolari che lo citano. Salvatore Rossi traccia le righe anche di una “Storia filosofica del denaro” che parte dalla preistoria ed arriva sino ai giorni nostri, la nascita del denaro, l’evoluzione degli scambi commerciali.

E la risposta sul senso e sul ruolo dell’oro nella nostra epoca come nelle precedenti è sempre il solito: la fiducia. Come scrive Rossi:  «Chi possedeva un pezzetto (di oro…), fosse sotto forma di moneta o ornamento, sapeva di poter avere fiducia, di potersi fidare del fatto che chiunque altro avrebbe accettato quel pezzetto di metallo in cambio di altri beni utili, in qualunque angolo del mondo conosciuto, nel tempo presente ma anche nel futuro».

Anche per le banche centrali l’oro è elemento di fiducia reciproca, garanzia della solidità di un sistema; Bankitalia custodisce la quarta riserva aurea più grande del mondo dopo quella della Federal Reserve americana, della Bundesbank tedesca e del Fondo Monetario Internazionale. La riserva aurea italiana è composta da 2454 tonnellate di oro, di cui quasi la metà custodita nei sotterranei di Palazzo Koch, sede della Banca d’Italia a Roma. Altre 1.062 tonnellate sono negli Stati Uniti, 149 sono in Svizzera, altre 141 sono nel Regno Unito. Spesso è custodito all’estero perché acquistato in quei Paesi avrebbe un costo troppo elevato e enormi rischi il trasporto in Italia.

L’oro di Bankitalia vale, ai valori di mercato attuali, oltre 90 miliardi di dollari, una cifra enorme custodita sotto forma di lingotti con un peso che va da un minimo di 4,2 a un massimo di 19,7 chili, alcuni lingotti oltre ai marchi della Repubblica Italiana hanno simboli del regime nazista che li trafugò, altri acquistati dall’Italia successivamente recano falci e martello, simbolo dei Paesi del Patto di Varsavia; nei forzieri ci sono anche oltre novecentomila monete d’oro, per un peso di 4 tonnellate.

Proprio alla vicenda dell’occupazione nazista di Roma, del tentativo della Banca d’Italia di nasconderlo in un’intercapedine, del trasferimento dell’oro italiano nella Germania nazista e poi della lunghissima caccia per recuperarlo pressoché tutto, Rossi dedica pagine di grande interesse storico, scritte con abilità di narratore.

Tutte queste considerazioni e informazioni portano a due domanda dalle quali Salvatore Rossi non sfugge: a chi appartiene l’oro italiano? Potrebbe essere venduto per soddisfare esigenze superiori? Il direttore generale di Banca d’Italia ricostruisce la cornice normativa che regola la banca centrale, i trattati internazionali ai quali ci siamo impegnati, il sistema che ha dato vita alla BCE, arrivando ad una conclusione semplice quanto profonda: l’oro appartiene al popolo italiano e in suo nome deve essere custodito, tenendo conto dei vincoli istituzionali, italiani e internazionali dato che la riserva aurea costituisce un presidio fondamentale di garanzia per la fiducia nel sistema Paese.

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