Tre anni di fila con il segno più per il Mezzogiorno, ad un ritmo di sviluppo uguale a quello del resto del Paese, sono una buona notizia, ma il risultato non è ancora sufficiente.

Il consolidamento della ripresa è essenzialmente dovuto al contributo del settore privato i cui risultati, in termini di export e di investimenti, lasciano dedurre che, anche dopo il forte disinvestimento avvenuto con la crisi, sia rimasto attivo e competitivo un nucleo industriale, specie nel settore manifatturiero, in grado di cogliere le sfide competitive. Debolissimo invece il contributo del settore pubblico.

Questo quanto emerge dalle anticipazioni del Rapporto Svimez “L’economia e la società del Mezzogiorno nella stagione dell’incertezza” in base al quale Il PIL è aumentato al Sud dell’1,4% nel 2017, rispetto allo 0,8% del 2016. Ciò grazie al forte recupero del settore manifatturiero (5,8%), in particolare nelle attività legate ai consumi, e, in misura minore, delle costruzioni (1,7%). La crescita è stata solo marginalmente superiore nel Centro-Nord (+1,5%).

Tra i vari settori, i servizi si dimostrano quello piu in affanno e con crescita ridotta nel Meridione, confermando quando emerso nel rapporto sulla professione redatto dal Fondazione nazionale dei commercialisti.

L’apparato produttivo del Sud, sia pur molto fiaccato dalla crisi e con innumerevoli crisi da affrontare, a partire dall’ILVA che da sola vale quasi il 10% del valore aggiunto industriale meridionale, sembra essere in condizioni di ricollegarsi alla ripresa nazionale e internazionale, come dimostra anche l’andamento delle esportazioni.

Il pericolo è che in mancanza di politiche che sostengano adeguatamente l’economia meridionale e ne favoriscano l’espansione, questa non riesca, con le sue forze ridotte, a garantire il proseguimento del ritmo di crescita.

La ripresa degli investimenti privati, in particolare negli ultimi due anni, ha più che compensato il crollo degli investimenti pubblici, che si situano su un livello più basso rispetto a quello precedente la crisi (4,5 miliardi di investimenti annui in meno rispetto al 2010,  nel Sud).

Gli investimenti privati nel Mezzogiorno sono cresciuti del 3,9%. Ma rispetto ai livelli pre crisi, gli investimenti fissi lordi sono nel Mezzogiorno ancora inferiori del -31,6% (differenziale ben maggiore rispetto al Centro-Nord, -20%).

La crescita del 2015-2017 ha da un lato recuperato in misura solo molto parziale il patrimonio economico e sociale disperso dalla crisi, la cui perdita si è sommata al gal già esistente in termini di produttività delle imprese e benessere degli abitanti; dall’altro, anche nella ripresa si registrano elementi di disuguaglianza interna, che indeboliscono il tessuto sociale: aumenta l’occupazione, ma con un ribasso della sua struttura e della sua qualità: aumentano le occupazioni a bassa qualifica e a bassa retribuzione, pertanto la crescita dei salari è limitata e non in grado di incidere su livelli di povertà crescenti, anche nelle famiglie in cui ci sono dei lavoratori.

Per il 2018-2019 SVIMEZ, in attesa della nota di aggiornamento del DEF, prevede che la crescita del Meridione potrebbe addirittura dimezzarsi, passando dal 1,4% del 2017 allo 0,7% del 2019.

SVIMEZ formula per questo alcune osservazioni sulle politiche pubbliche per sostenere il sistema produttivo: il proseguimento delle incentivazioni agli investimenti più efficaci (in primis Industria 4.0, per la quale ritiene necessario prevedere riserve per il Sud che compensino i suoi svantaggi strutturali) e l’attuazione di interventi nel Mezzogiorno come l’istituzione di zone economiche speciali nelle principali aree portuali, con incentivi fiscali e semplificazioni amministrative. Oltre alla necessità di proseguire con strumenti che si sono mostrati efficaci come il credito di imposta per gli investimenti e i Contratti di sviluppo.

In generale, Svimez ritiene necessaria una politica fiscale più espansiva per favorire il consolidamento della domanda interna, a partire dal punto cruciale della percentuale di spesa pubblica destinata al Meridione. Il decreto Mezzogiorno approvato dal precedente governo nel 2016 stabilì l’obbligo per le amministrazioni centrali di destinare al Mezzogiorno un complessivo di stanziamenti ordinari in conto capitale proporzionato alla popolazione. Cioè, in base ai dati Istat, almeno il 34%. La norma è rimasta come bandiera, poiché è stato emanato uno solo dei due provvedimenti attuativi previsti, il Dpcm sulle modalità di monitoraggio della spesa, manca all’appello la direttiva del Presidente del Consiglio sull’individuazione dei programmi di spesa per il riequilibrio territoriale.

L’impatto sarebbe di 1,6 miliardi all’anno, ma proprio uno studio Svimez ha proposto l’estensione della percentuale del 34% a tutti i livelli della PA, così da produrre, secondo calcoli del vice direttore della Svimez, Giuseppe Provenzano, un incremento annuo di 4,5 miliardi.

Questi i dati, le previsioni e le proposte, ma molto ora dipende dalla Legge di Bilancio, ormai vicina alla presentazione da parte del Governo.

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