Questa settimana arriva in Aula al Senato il DEF, licenziato dal Consiglio dei Ministri la scorsa settimana. Tra i vari temi toccati al suo interno torna il tema del Partenariato Pubblico Privato come strumento per rilanciare gli investimenti in Italia.

Il capitolo del DEF dedicato agli investimenti e alle infrastrutture dice testualmente: “Il Governo intende, inoltre, valorizzare il Partenariato Pubblico-Privato (PPP), con la definizione di un contratto standard PPP che è già ad uno stadio avanzato di elaborazione. Unitamente alla matrice dei rischi e al capitolato di gestione, essa fornirà una guida alle pubbliche amministrazioni per la strutturazione in dettaglio delle operazioni di PPP e la redazione dei relativi atti e documenti negoziali, con il fine di accrescere la competitività del Paese a livello internazionale, migliorare le capacità tecniche e negoziali delle pubbliche amministrazioni, limitare il ricorso alle varianti in corso d’opera e favorire la bancabilità dell’operazione.”

È interessante, in attesa di vedere declinate le misure previste dal Governo, l’impatto avuto sinora dal PPP in Italia. Una valutazione la si ricava da un’interessante studio realizzando dall’Ufficio Valutazione Impatto del Senato della Repubblica.

Dallo studio si ricava come il nostro Paese, pur presentando un’elevata incidenza della spesa pubblica sul PIL, il 49,6% nel 2016, destina agli investimenti una parte insufficiente di risorse: soltanto il 2,1%.

Passato da poco più di 300 bandi nel 2002 agli oltre 3.000 del 2016, il Partenariato Pubblico Privato ha messo in moto oltre 88 miliardi di euro in tutto il Paese, questa somma rappresenta il 22,1% del valore delle gare per opere pubbliche bandite nello stesso periodo in Italia. I numeri però non sono tutti positivi, emergono alcuni notevoli problemi: i lunghi tempi della burocrazia, le carenze tecnico-progettuali e le criticità gestionali. Queste problematiche rischiano di minare l’esito stesso del partenariato: su 33.164 procedimenti attivati in Italia tra 2002 e 2016, ben 4.429, cioè quasi il 13%, risultano interrotti.

Il rischio di blocchi anche definitivi cresce per le grandi opere, per quelle di valore superiore ai 50 milioni di euro attivate con il PPP dalle pubbliche amministrazioni: il 42% tra 2002 e 2014 è stato interrotto. La percentuale di procedimenti interrotti varia anche a seconda delle aree geografiche, nel Mezzogiorno raggiunge quasi il 54%, contro una media del 23% al Nord e del 28% nel Centro Italia.

Degli 88 miliardi di euro messi a bando dalle diverse amministrazioni pubbliche in Italia, due terzi si sono concentrati per il 27,5% nei trasporti, il 22,4% nei settori energia e telecomunicazioni e il 18,2% nel settore ambientale.

Il maggior numero di gare in Partenariato Pubblico Privato, nel periodo considerato, è stata però nel social housing e nell’edilizia pubblica e degli impianti sportivi che rappresenta oltre il 40% dei bandi anche se in tema di risorse conta per meno di un decimo del totale.

Solo l’1% delle gare ha superato i 50 milioni di euro, ma queste hanno riguardato ben il 67% delle somme dell’intero periodo 2002-2016. Il maggior numero di bandi di Partenariato Pubblico Privato, tra il 2002 ed il 2016, ha avuto un ente comunale come committente: 23mila gare su circa 28mila, cioè l’80% dei procedimenti, con un valore complessivo pari al 37% dell’intero mercato del partenariato pubblico-privato in Italia.

Tra il 2002 e il 2016, tutti i comuni con più di 20mila abitanti sono stati committenti almeno una volta, di un bando di partenariato pubblico-privato; Di questi bandi, 16 su 100 hanno superato il milione di euro. I bandi superiori ai 50 milioni sono stati 68 e hanno raccolto oltre 12,5 miliardi di euro, con una media di 185 milioni di euro per gara. I così detti “big deal”, cioè i bandi di importo maggiore a 500 milioni di euro, sono invece stati solo sei, la metà dei quali a Milano.

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