«La nostra crisi viene da lontano,nasce ben prima di quella che ha investito le economie mondiali nell’ultima decade. Tre anni consecutivi di Pil negativo non sono una passeggiata di salute per nessuno, tanto meno per noi. Uscirne sarà più complicato che per altri, perché la nostra è una realtà del tutto peculiare». Gerardo Longobardi, alla guida dei commercialisti italiani da meno di nove mesi, usa dosi massicce di realismo per descrivere la situazione economica del nostro Paese. Un realismo dettato anche dalla conoscenza diretta di tante realtà imprenditoriali italiane, che lo inducono ad usare la massima cautela quando si parla di ripresa alle porte. «Mi ritrovo in molte delle risposte fornite dai colleghi al sondaggio della Fondazione nazionale. In quelle risposte colgo un atteggiamento in prevalenza certo non positivo, ma anche la disponibilità a riconoscere passi in avanti compiuti in ambito di politiche economiche. Quello che i commercialisti non possono fare, però, è abbandonarsi ai facili ottimismi che da qualche parte sento avanzare. Siamo troppo addentro alla dinamiche delle pmi italiane, alle loro sofferenze, per non andarci cauti quando si parla di ripartenza».

Presidente Longobardi, lei dice che quella italiana è una situazione economica diversa da quella di altri Paesi occidentali. Cosa intende?

Quello che tutti sanno e che sarebbe bene non dimenticare mai. E cioè che la crisi economica mondiale è piombata in Italia su un tessuto economico sfibrato e provato da diversi lustri di mancanza di crescita, assenza di politiche industriali di ampio respiro e di politiche fiscali efficaci e in presenza, invece, di una giustizia-lumaca, di un’amministrazione dello Stato elefantiaca, di una malavita organizzata egemone in tanti pezzi del Paese, di un debito pubblico gigantesco. Ecco, non dobbiamo recuperare solo sugli ultimi tre anni, ma su decenni di ritardi clamorosi e di un vero e proprio declino. Per questo penso che per noi uscirne sarà più dura e che ci vorrà più tempo. Direi che questa, in fondo, è la consapevolezza da “operatori sul campo” che emerge dal sondaggio e che mi sento di condividere.

Sondaggio nel quale le risposte dei commercialisti sono molto puntuali sulle diverse scelte economiche dell’esecutivo, che vengono però complessivamente giudicate inefficaci. Lei cosa ne pensa?

Direi che dobbiamo sottrarci agli opposti estremismi di chi vede sempre tutto nero e di chi vede una decisa ripresa ormai alle porte. Andiamoci piano. Alcuni interventi del governo potrebbero dare risultati positivi già nel breve periodo, come il Jobs act, altri sono positivi a prescindere, come il taglio dell’Irap. Ed è innegabile che un certo cambio di clima, in meglio, pur tra mille contraddizioni, cominci a emergere. Quello che credo si possa dire, però, è che, anche in presenza di scelte importanti almeno nelle intenzioni – penso ad esempio alle riforme istituzionali – sia ancora poco percepibile un chiaro baricentro nell’azione dell’esecutivo, specie in ambito economico. Discorso valido anche per il nuovo Def. Per non parlare delle politiche fiscali, rimaste per mesi impantanate.

Uno dei fiori all’occhiello del Governo doveva essere in questo campo il 730 precompilato, ma lo stesso premier Renzi ha dovuto ammettere che, per quest’anno, siamo al numero zero.

Per quest’anno la precompilata ha generato solo problemi ai cittadini e agli intermediari, commercialisti per primi. Punto. Ma quand’anche fosse un trionfo, mi preme sottolineare che riformare il fisco è ben altra cosa, un’operazione di tutt’altro respiro. Negli ultimi anni si è passati dall’annuncio di una riforma epocale a un approccio da manutenzione straordinaria, riducendo di fatto le ambizioni di rinnovamento. La delega è scomparsa dai radar del dibattito pubblico per troppi mesi e solo nei giorni scorsi alcuni decreti molto importanti sono stati approvati in Consiglio dei Ministri. Noi continueremo a stimolare la politica perchè stia sul tema, anche nel corso del nostro ormai imminente convegno nazionale che terremo a Rimini il 6 e 7 maggio, nel quale, oltre che di controlli societari, parleremo anche di fisco, mettendo attorno allo stesso tavolo governo, Agenzia delle Entrate e commercialisti. Ma i ritardi accumulati, anche se fortunatamente in parte superati, restano un fatto negativo. Pensi a quanto accaduto in tema di abuso del diritto.

Un tema a voi molto caro. Perché?

Perché è emblematico di come un fisco diverso può contribuire a far ripartire il Paese. Torno ai temi del sondaggio: la ripresa è fatta di tanti tasselli. Il fisco è un tassello imprescindibile. La nuova normativa in tema di abuso del diritto, la cui approvazione è incredibilmente slittata per mesi prima del via libera finale del governo arrivato da poco, prova a stabilire con maggiore chiarezza i confini tra evasione, elusione e comportamenti leciti. Io credo che un passaggio del genere sia fondamentale per ricreare un clima di fiducia per le imprese italiane e per quelle estere che vorrebbero investire qui da noi e quindi, in ultima analisi, proprio per la ripresa.

Per quanto riguarda la propria situazione professionale, le risposte dei commercialisti sono molto pessimistiche. Prevale un senso di sfiducia.

Che io capisco. Anche in questo caso, le difficoltà affondano le loro radici in anni precedenti alla crisi. La sfiducia e le difficoltà indotte da quest’ultima si sono sommate ad uno stato di sofferenza che la professione già viveva. Mancanza di esclusive, restringimento di quote di mercato, rapporto penalizzante con l’Amministrazione finanziaria, scarso riconoscimento del ruolo assolto dai commercialisti a favore della collettività, sono tutti temi che ci trasciniamo da tempo e che sono all’origine di quel sentiment negativo che emerge dal sondaggio. Invertire questo trend è la mission del Consiglio nazionale, che ha però a disposizione pochissimo tempo. Per pesare di più bisogna mantenere aperti tutti i canali di comunicazione con le Istituzioni ed è quello che stiamo facendo, battendoci per le giuste ragioni dei commercialisti, senza corporativismi nè partigianerie. E poi bisogna progettare il futuro, delineare i caratteri della professione dei prossimi decenni. Le Scuole di alta formazione, alle quali abbiamo appena dato semaforo verde, sono una prima risposta. Difesa delle prerogative e formazione specialistica devono camminare di pari passo. Sarà dura, perché anche in questo caso paghiamo il prezzo di ritardi accumulatisi negli anni. Ma ce la stiamo mettendo tutta, credetemi!

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