Presidente, a breve scadrà il suo mandato dopo 18 anni di presidenza alla guida dell’Ordine dei commercialisti di Brescia. In questo lasso di tempo, lei ha vissuto in prima persona i mutamenti più importanti della professione: l’Albo unico, la legge Severino sulla riforma del sistema ordinistico, le tecnologie digitali che hanno profondamente modificato il lavoro del commercialista a cui sono ora attribuiti nuovi oneri e competenze. Qual è il suo bilancio?
È un bilancio a due velocità. Quello personale, come presidente dell’Ordine di Brescia, è assolutamente positivo. È stata un’esperienza lunga e felice. Ho visto il mio Ordine crescere sia nei numeri che in autorevolezza. Quando sono diventato presidente, nel 1998, alle assemblee annuali venivano non più di 100 persone; negli ultimi anni, invece, contiamo sempre più di 700 partecipanti. I rapporti con le istituzioni locali sono eccellenti e la stampa dà frequente risalto alle nostre iniziative.
Invece il bilancio della nostra professione, in generale, non si presenta altrettanto buono. A livello nazionale non abbiamo guadagnato nulla, mentre l’attività quotidiana è diventata più difficile. Le famose riserve o esclusive, di cui si parlava in passato, non sono mai arrivate. Di contro siamo stati oggetto di riforme penalizzanti come l’abolizione delle tariffe, i provvedimenti sul collegio sindacale, la normativa sulla revisione. Per non parlare degli oneri ed adempimenti di carattere fiscale che hanno reso questo segmento della professione un vero tormento.

Cosa auspica per il futuro della professione?
Innanzitutto maggiore autorevolezza e riconoscimento del ruolo insostituibile che i commercialisti svolgono in questo Paese. La nostra professione ha dei meriti storici: abbiamo alfabetizzato l’Italia in materia contabile e tributaria. Siamo stati l’anello di congiunzione tra l’economia delle imprese, che esigeva chiarezza e velocità, e l’apparato pubblico, che invece imponeva lungaggini e burocrazia: e noi sempre in mezzo, a soffrire e faticare per far dialogare questi due mondi del tutto estranei e spesso ostili tra loro.
Purtroppo questo ruolo e questi meriti non ci sono stati riconosciuti, anzi, la nostra professione è stata spesso criminalizzata come strumento e veicolo dell’evasione fiscale. Pertanto, il vero salto di qualità bisogna farlo nei confronti della politica, bisogna spiegare a chi governa e fa le leggi che oggi, senza la nostra insostituibile funzione, la locomotiva di questo Paese non va avanti.

L’Ordine di Brescia è l’ottavo in Italia per numero di iscritti (2.131). Secondo il Rapporto 2016 della FNC, gli iscritti sono aumentati (2,5%) ma i praticanti (-2,7%) ed i redditi (- 5,5%) sono diminuiti rispetto all’anno precedente. Quali problemi investono i commercialisti e quali azioni mette in campo l’Ordine per aiutarli?
L’Ordine di Brescia è certamente importante, non solo per il rilevante numero di iscritti, ma soprattutto perché è dislocato in una delle zone economicamente più fertili dell’Italia.
Purtroppo, proprio l’alto tasso industriale della nostra Provincia ha fatto sentire forte la crisi, con la conseguenza che, per i commercialisti, non è stata tanto la quantità del lavoro che si è ridotta ma soprattutto la sua qualità e remunerazione. Infatti, assistere aziende che soffrono è molto più stressante (e poco remunerativo) che assistere aziende che crescono.
Quanto alla riduzione dei praticanti, la stessa è dovuta al fatto che la nostra professione, negli anni passati, ha vissuto un boom di attrazione che, però, si è poi esaurito allorché i giovani hanno capito che “per arrivare” occorrono tanti anni e, soprattutto, che questo è un lavoro stressante, sia per l’aggiornamento che impone sia per le continue scadenze che non lasciano tregua.
Ovviamente il mio Ordine si spende in tutti i modi per agevolare i colleghi, dalla formazione continua gratuita alle quote d’iscrizione ridotte per i giovani; ma ciò che si fa a livello locale non può supplire la carenza di un ruolo che, nell’immaginario nazionale, è mortificato e ci vede spesso perdenti tutte le volte che viene promulgata una riforma in materia economica.

Come vi state preparando ad ospitare la tappa del Road Show per l’Internazionalizzazione del CNDCEC il prossimo 15 ottobre? Affiancare le PMI nei percorsi di penetrazione dei mercati esteri rappresenta il futuro del commercialista?
La tappa del Road Show sarà ospitata all’interno del convegno di Diritto e Fiscalità Internazionale che l’Ordine di Brescia organizza con successo da ben 24 anni. Mi consenta di dire che per questo motivo siamo stati i pionieri dell’internazionalizzazione quando non c’era ancora l’euro e neppure internet o la globalizzazione. Il nostro Ordine ha capito che il futuro dell’economia stava nell’internazionalizzazione e da allora abbiamo intrapreso una serie di iniziative specifiche, tra cui questo convegno, che è diventato un appuntamento insostituibile per tutti i professionisti italiani che vogliono allargare il loro orizzonte operativo ed assistere i propri clienti anche nelle interlocuzioni estere.
Pertanto credo che il Road Show, inserito all’interno del nostro convegno internazionale, costituirà un ulteriore valore aggiunto per questa manifestazione che è già molto apprezzata e gettonata.

Lei ha una grande esperienza nelle procedure concorsuali e nella consulenza ed assistenza alle imprese in crisi. Per le PMI di una delle principali dorsali manifatturiere del Paese vede uno spiraglio di luce?
Questa è una domanda non facile alla quale non si può rispondere in modo semplificativo o banale. Dobbiamo partire da un presupposto: il mondo è cambiato e quindi chi vuole avere successo deve necessariamente adeguarsi ai nuovi scenari. Il mercato è diventato globale, cosicché si deve essere in grado di fare business in tutti i luoghi ove questo è possibile. Ossia, non si compete più con il vicino di casa ma con interlocutori stranieri forti ed agguerriti.
In concreto, oggi le imprese che vanno bene e chiudono bilanci in utile sono quelle che vendono una buona quota della loro produzione all’estero. Viceversa, quelle che vivono solo di mercato interno spesso hanno già chiuso oppure stanno fortemente soffrendo.
Vi è poi un altro aspetto che è imprescindibile se si vuole veramente superare la crisi e rilanciare l’Italia: questo aspetto riguarda la burocrazia, a mio avviso il peggiore dei mali del nostro Paese, che sta stritolando imprese e cittadini ed assorbe una grande quantità di risorse in attività ed adempimenti che non servono a nulla. Dobbiamo assolutamente liberarci da questa piovra se vogliamo ancora rimanere tra le principali economie del mondo.
Gli anni peggiori forse sono passati; però, per rivedere veramente la luce, come è accaduto in passato, dobbiamo attivarci e rimuovere ciò che non funziona. Il nostro problema ormai è di tipo strutturale. Dobbiamo svecchiare ed alleggerire il Paese.

Lei sostiene che la professione dovrebbe acquisire maggiore autorevolezza affinché venga riconosciuto il ruolo importante che i commercialisti svolgono in Italia. In concreto cosa si dovrebbe fare per realizzare questa aspirazione?
Innanzitutto bisogna stabilire quali sono gli obiettivi che si vogliono raggiungere. La nostra professione è molto cresciuta dalla riforma tributaria del 1973 in poi, ma è stata una crescita confusa e senza sapere dove si stava andando.
In secondo luogo, dopo avere realizzato l’Albo unico, ossia da quando la nostra forza contrattuale avrebbe dovuto divenire maggiore, siamo invece stati oggetto di provvedimenti che hanno mortificato la nostra professione. Inoltre, altre iniziative sono in cantiere con l’intento di ridurre le nostre prerogative (vedi materia fallimentare e contenzioso tributario). In realtà stiamo perdendo terreno su molti fronti, da quello reddituale a quello reputazionale, ma soprattutto su quello della qualità del lavoro, che diventa sempre più complicato e stressante. E tutto ciò accade perché, quando si fanno le norme che ci interessano, noi non veniamo adeguatamente considerati.
Occorre quindi una forte riflessione critica su ciò che non ha funzionato nel passato; occorre stabilire il nuovo percorso ed i suoi obiettivi, e tutto questo coinvolgendo le forze migliori di cui la categoria dispone, sia a livello nazionale che nell’ambito degli Ordini territoriali. Lo spazio per le lotte intestine, per gli egoismi individuali, per le piccole meschinità si è ormai esaurito. Purtroppo, dice un detto popolare, “non c’è più trippa per gatti”.

Dati ODCEC Brescia (fonte FNC Rapporto 2016)

Iscritti: 2.131 (+2,5%)
di cui 30,5% donne e 25,9 % under 40

Praticanti: 146 (-2,7%)

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