Le valutazioni tutelano l’interesse pubblico e per questo sono un ambito proprio dell’attività professionale dei commercialisti. Un importante campo specialistico del quale abbiamo parlato con Mauro Bini, presidente dell’Organismo italiano di valutazione, che anticipa a Press l’istituzione, nei prossimi mesi, di due tavoli tecnici che lavoreranno per colmare le lacune dei principi italiani approvati nel 2015, relative alle valutazioni a fini fiscali e all’ambito delle procedure concorsuali.
Presidente Bini, quale contributo possono dare i Principi italiani di valutazione (PIV) all’attività dei professionisti iscritti all’Albo dei commercialisti?
La valutazione è un campo specialistico tipico della professione, in tutto il mondo. La differenza fra una valutazione svolta da un professionista iscritto ad un albo ed un altro soggetto (un generico consulente) risiede nel fatto che il professionista persegue l’interesse pubblico, ovvero l’interesse dell’utilizzatore finale della valutazione che non necessariamente coincide con l’interesse del committente, mentre il consulente è solo interessato all’interesse del cliente. Questo è il motivo per cui, ad esempio, le valutazioni a fini di conferimento sono state riservate dal nostro legislatore ai professionisti iscritti all’Albo dei commercialisti o ai revisori. E’ chiaro, infatti, che nei conferimenti gli interessi da tutelare non coincidono necessariamente con quelli del committente, ma con quelli degli stakeholders. In questa prospettiva i PIV sono un indispensabile riferimento per il professionista per tre motivi: forniscono le necessarie linee guida per lo svolgimento dell’incarico valutativo, aderendo alle quali l’esperto è in grado di minimizzare la contestabilità del proprio operato; consentono di chiarire come le valutazioni di tipo legale siano sempre valutazioni piene, che quindi richiedono lo svolgimento di un processo di valutazione “completo”, e ciò aiuta il professionista a contrastare richieste impossibili della committenza con riguardo sia ai tempi di svolgimento dell’incarico sia ai supporti informativi sia all’onorario; consentono al professionista di rivedere il lavoro di altri esperti sulla base di direttrici chiare costituite da: configurazione di valore ricercata (valore di mercato, intrinseco, equitativo, negoziale, ecc.), unità di valutazione (la società nel suo complesso, una partecipazione, il singolo titolo azionario), data di riferimento della valutazione (e quindi il ruolo dell’informazione successiva), approcci valutativi seguiti (patrimoniale, reddituale o di mercato), garantendo così un compito più ordinato e coerente.
I PIV nascono con l’intento di migliorare la qualità delle valutazioni ed aumentare la fiducia degli utilizzatori finali, accrescendo così anche la fiducia nei professionisti chiamati a svolgerle. Naturalmente, come in tutti i campi specialistici, l’applicazione di principi di qualità – quali i PIV – richiede una conoscenza di base (dei temi valutativi) non elementare. In questo senso, ritengo che gli Ordini potranno fare molto – ad esempio attraverso le Scuole di Alta Formazione – a favore della diffusione fra tutti i professionisti delle conoscenze necessarie ad applicare i PIV. Anche se oggi i PIV possono sembrare di “difficile” applicazione, occorre comprendere che essi sono il vero baluardo per difendere la qualità di un lavoro ad elevato valore aggiunto come le valutazioni, ponendo un freno alla rischiosa deriva secondo cui “valutazione cattiva” scaccia “valutazione buona”, innescata da un’assurda concorrenza di prezzo che ha portato, in molti casi, a riconoscere “onorari” per incarichi valutativi non coerenti con lo svolgimento di lavori di qualità. Nel mondo dei servizi ad elevato valore aggiunto, sono convinto che valga la legge di Say, ovvero che sia l’offerta di qualità a creare la domanda.
Quale evoluzione prevede per i PIV?
I PIV nella versione 2015 non trattano alcuni grandi temi di interesse dei commercialisti. Si tratta delle valutazioni a fini fiscali e nell’ambito delle procedure concorsuali. Nel primo caso, l’OIV ha in programma di realizzare un tavolo permanente di lavoro che coinvolga Agenzia delle Entrate, Consiglio nazionale dei commercialisti (CNDCEC), Assogestioni, Confindustria, ABI, Ania ed altre associazioni per poter fissare dei principi condivisi e generalmente accettati di valutazione che possano ridurre il contenzioso fiscale. L’obiettivo sarebbe quello di riuscire ad aggiornare l’edizione 2017 dei PIV, inserendo anche un capitolo dedicato alle valutazioni a fini fiscali.
Nel caso delle valutazioni nell’ambito delle procedure concorsuali, OIV ha attivato un gruppo di lavoro composto da rappresentanti di tutte le organizzazioni rappresentate nella sua Fondazione (CNDCEC, AIAF, ANDAF, ASSIREVI) con esponenti dell’Università Bocconi e della Sapienza di Roma. L’obiettivo, anche in questo caso, consiste nel fissare alcuni principi chiave che possano essere inseriti nell’edizione 2017 dei Principi.
I PIV, infine, debbono restare al passo con l’evoluzione dei principi internazionali di valutazione (gli IVS), per i quali è stata annunciata una prima importante revisione già nell’edizione 2017 con riguardo almeno alle configurazioni di valore ed alla valutazione dei beni immateriali.
Quale relazione hanno i PIV con gli IVS, la cui traduzione ufficiale è stata da poco pubblicata in bozza dal CNDCEC?
I PIV sono nati dopo gli IVS e per questa ragione si sono potuti ispirare allo stesso schema concettuale di riferimento. Tuttavia, i PIV sono nati per coprire il vuoto che esiste fra gli IVS (che sono principi High Level, senza alcun commento) e la pratica professionale che, invece, ha necessità di principi più dettagliati, con maggiore spiegazione e più vicini al nostro contesto giuridico di riferimento. Dunque, direi che gli IVS rappresentano il quadro concettuale entro cui i PIV sono stati sviluppati; i PIV sono principi di maggiore dettaglio rispetto agli IVS; i PIV sono strutturati sulla falsariga dei RICS (i principi di valutazione immobiliare) e, quindi, dopo ogni principio riportano un commento (che di per sé non è vincolante, ma che serve ad una migliore comprensione del principio); i PIV coprono il campo delle valutazioni legali disciplinate dal nostro codice civile, fornendo una base comune e condivisa di linee guida.
Con un pizzico di orgoglio mi verrebbe da dire che i PIV sono migliori degli IVS, anche solo perché sono di concezione più moderna e più orientata alla professione. Non è un caso che l’IVSC abbia annunciato un piano pluriennale di revisione abbastanza profonda degli IVS, proprio per coprire alcune lacune che i PIV, invece, colmano.
Ritiene che la convergenza nelle prassi di valutazione a livello mondiale sia una garanzia per gli utilizzatori?
La valutazione è di certo una professione globale perché risponde a principi universali (la teoria della finanza). Al tempo stesso, però, le valutazioni possono rispondere a specifiche finalità disciplinate da requisiti contabili, fiscali e normativi diversi da un contesto nazionale all’altro. Ciò significa che la valutazione è una professione globale, dove però le diverse giurisdizioni contano. Ciò accade tuttavia anche in altre professioni che comunque sono ritenute professioni globali: pensiamo ad esempio ai revisori contabili (gli auditors), chiamati a svolgere la propria attività in adesione a principi contabili spesso molto differenti fra loro, in contesti giurisdizionali diversi. Personalmente ritengo che la globalizzazione della professione sia una grande opportunità per un Paese come il nostro che ha grandi tradizioni culturali nel campo delle valutazioni. In questo senso, le scelte del CNDCEC di tradurre i principi internazionali, partecipare in qualità di membro alle attività dell’IVSC, dare visibilità alla professione della valutazione all’estero attraverso la partecipazioni di suoi rappresentanti alle iniziative IVSC non potranno che ripagare.
Oggi l’Italia, grazie ad OIV e all’attività di CNDCEC in seno ad IVSC, è considerato un paese leader in Europa nella capacità di esprimere un elevato livello di competenze nella professione della valutazione. Dobbiamo utilizzare questo primato per favorire la diffusione di prassi il più possibile coerenti con la nostra cultura valutativa d’origine. Penso, ad esempio, alla prospettiva che vede contrapposto il mondo anglosassone a quello europeo continentale con riguardo al problema del trattamento del rischio nella valutazione delle aziende, con noi europei più propensi ad aggiustare in diminuzione i flussi di risultati attesi (attraverso un’analisi critica dei piani) e con gli anglosassoni assai più propensi ad aggiustare in aumento i tassi di sconto (con l’inserimento di premi per il rischio di esecuzione del piano). Benché le due prassi convergono verso una stessa direzione (a maggior rischio si accompagna minor valore), è facile cogliere che i supporti documentali, il tipo di analisi e gli spazi lasciati alla discrezionalità del valutatore sono molto diversi fra loro. Globalizzare la professione significa prendere il meglio di ciascuna prassi senza rinnegare la propria cultura d’origine. E’ un risultato ambizioso ma raggiungibile. Tanto più facilmente quanto la professione di un Paese si presenta forte nell’arena internazionale, come nel nostro caso, poiché disponiamo di principi nazionali di buona qualità (i PIV). Per questo, mentre il CNDCEC traduceva in italiano gli IVS, OIV ha tradotto in inglese i PIV (scaricabili dal sito www.fondazioneoiv.it dal prossimo maggio) per far capire al mondo che la professione italiana ha molto da dire nel campo delle valutazioni.
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