C’è un aspetto fondamentale che lega la proposta di rafforzamento ed estensione della tutela del lavoro autonomo e il jobs act del lavoro dipendente, cioè la riforma del mercato del lavoro: è una prospettiva volta a ridurre le incertezze per chi lavora per poter permettere un vero e profondo investimento sulle proprie competenze. Del resto, quando non era al Governo, il PD aveva sempre promesso una riforma complessiva del mercato del lavoro che riconoscesse la diversità fondamentale tra chi è lavoratore dipendente e chi invece è autonomo. Non c’è nulla di più sbagliato di trattare in maniera eguale chi è in condizioni diverse. Per questo la diversità non va disconosciuta, ma opportunamente tutelata.
Per estendere la tutela al lavoro autonomo bisognava, innanzi tutto, identificarlo con precisione. Questo è stato il fine dell’articolo 2 del decreto lgs. 81/2015, uno dei contributi fondamentali alla riforma del lavoro: cancellare l’area grigia tra il lavoro dipendente e autonomo, un’area grigia fatta di lavoro subordinato precario, tipicamente giovane e concentrato all’inizio della carriera lavorativa e, infine, mascherato da lavoro autonomo. L’area grigia era simboleggiata dalla collaborazione a progetto in cui, all’interno dell’inquadramento contrattuale del lavoro autonomo, si permetteva una struttura parasubordinata cioè un rapporto di lavoro per cui si riconoscevano al lavoratore alcune caratteristiche del lavoro dipendente pur all’interno di un rapporto di lavoro autonomo. Il collaboratore a progetto era tecnicamente un lavoratore autonomo a cui si riconoscevano alcune tutele del lavoratore dipendente. Questa ambiguità, intimamente italiana, è stata l’anticamera di storture paradossali ma, soprattutto, ibridando il concetto di lavoro autonomo, ne preveniva una vera e profonda tutela.
Oggi, dopo aver tracciato una linea chiara, dividendo dipendenti e autonomi, abbiamo esteso ai lavoratori che sono fintamente autonomi la tutela vera, quella del lavoro dipendente. Uno dei risultati di questa scelta è rimarcata nel calo del lavoro indipendente, recentemente sceso di oltre 100 mila unità. E’ un risultato della riforma che ha voluto ridurre i lavoratori che autonomi erano solo di nome ma non di fatto. Cancellata la zona grigia della para-subordinazione, possiamo adeguatamente pensare a come estendere al lavoro autonomo le tutele che servono, quelle riportate in questo ultimo disegno di legge. Non stiamo estendendo la tutela del lavoro dipendente al lavoro autonomo: sarebbe concettualmente un errore. Questo disegno è stato presentato a gennaio, come collegato alla legge di stabilità, forte del fatto che nella legge di stabilità sono state già stanziate le risorse necessarie a finanziarlo. Possiamo concentrarci, per una volta, non su come reperire le risorse ma su come spenderle in maniera efficace.
Questo ddl del Governo, nato attraverso l’elaborazione del PD, costituisce un vero jobs act del lavoro autonomo che offre la tutela necessaria ai veri lavoratori autonomi. Sono lavoratori che lavorano per un committente, salvo poi passare ad un altro, o lavorano per una molteplicità di committenti allo stesso tempo. Sono sottoposti ad un rischio personale come lavoratori autonomi con condizioni di oggettiva debolezza, ed a loro vuol portare un insieme di tutele.
Innanzi tutto la tutela nei tempi di pagamento ed una spinta forte verso la tutela della loro esecuzione. Per queste persone i tempi di pagamento sono spesso un problema serio, specie durante la recente crisi. Quando il lavoratore autonomo ha un rapporto di debolezza con il proprio committente, questo può abusarne ritardando i pagamenti. Il ddl definisce l’impossibilità di questo ritardo stabilendo che il limite massimo e inderogabile è di 60 giorni. Le parti non possono derogare a questo vincolo, a meno che non lo facciano a favore della parte più debole, accorciando i tempi di pagamento. Inoltre, qualora il lavoratore autonomo voglia acquisire un’assicurazione contro l’insolvenza, quella spesa diventa, per la prima volta, deducibile.
I veri tratti distintivi di questo intervento rimangono comunque la tutela ed il potenziamento delle competenze del lavoratore, il suo capitale umano. Per questo si è deciso di riconoscere e proteggere il frutto delle competenze che il lavoratore autonomo impiega. Quando queste competenze inventano qualcosa, di chi è l’invenzione? Il provvedimento introduce un’altra tutela, sotto forma di principio generale: l’invenzione è di chi la crea, del lavoratore autonomo, a meno che l’oggetto della collaborazione non sia l’invenzione stessa. E’ un riconoscimento della dignità del lavoro nel senso più profondo.
Il riconoscimento del valore delle competenze si afferma però sostenendo l’investimento nelle stesse. Per farlo il ddl corregge una grande stortura nel nostro sistema fiscale: l’art. 5. Il Jobs Act rimette al centro del lavoro autonomo la tutela delle competenze e della professionalità del lavoratore. In Italia, prima di questo provvedimento, il lavoratore autonomo che avesse ivestito sulla propria professionalità, per un corso di formazione, per un Master o per certificare la propria professionalità, veniva detassato per la metà. Questo non ha alcuna coerenza con il primato delle competenze. Coerentemente con l’obiettivo generale della riforma del mercato del lavoro, il lavoratore autonomo avrà con questo provvedimento la piena deducibilità di quell’investimento o della spesa nelle certificazioni delle competenze. Gli altri interventi, dalla maternità alla malattia, non fanno altro che estendere queste tutele alle reali esigenze del lavoro autonomo, senza illudersi che la stessa struttura di tutela del lavoro dipendente possa estendersi al lavoro autonomo.
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