La manovra di bilancio per il 2017 in ambito fiscale, così come è stata presentata in Parlamento nell’ultima decade di ottobre, è caratterizzata da alcuni sprazzi di luce, in special modo riguardo al settore impresa, offuscati però da grosse nubi sul versante della semplificazione degli adempimenti fiscali, con misure che vanno in assoluta controtendenza con quanto da tempo più volte annunciato dal Governo sul punto.
Partendo dagli aspetti positivi, sono da apprezzare la conferma dei super-ammortamenti (anche per i professionisti), l’introduzione dell’iper-ammortamento del 250% per gli investimenti in beni digitali e l’estensione del credito d’imposta per la ricerca anche alle imprese che lavorano su commesse delle multinazionali.

Anche l’introduzione dell’IRI, ossia di una flat tax al 24% per imprenditori e società di persone che reinvestono gli utili nell’impresa, va salutata con favore, a condizione che si riconosca la natura opzionale del regime. È evidente, infatti, che in molti casi (redditi modesti appena sufficienti al sostentamento dell’imprenditore o presenza di deduzioni o detrazioni IRPEF di notevole importo, che andrebbero perse in assenza di altri redditi imponibili oltre a quello soggetto ad IRI), tale regime non comporta alcun risparmio d’imposta, a fronte del sicuro aggravio degli oneri amministrativi per coloro che devono passare dalla contabilità semplificata a quella ordinaria.
Sicuramente attese la riapertura dell’assegnazione agevolata ai soci e della voluntary disclosure, che stavolta potranno beneficiare di una maggiore chiarezza del quadro interpretativo di riferimento, derivante dalla prassi amministrativa emanata in occasione dell’originaria versione dei provvedimenti.

Un altro capitolo importante della manovra è rappresentato dall’annunciata soppressione di Equitalia.
I dati relativi all’attività di Equitalia impressionano per la bassissima percentuale della massa riscuotibile rispetto ai carichi ad essa affidati: nel periodo che va dal 2000 al 2015 Equitalia è stata incaricata di riscuotere più di mille miliardi di euro (1.058), dei quali solo il 15% presenta un potenziale di riscossione. L’85% dei crediti affidati ad Equitalia, quindi, non sarà mai riscosso: il 20,5% è stato annullato dagli enti creditori a seguito di autotutela o per sentenze favorevoli ai contribuenti (217 miliardi di euro, così suddivisi: 175 Agenzia delle Entrate, 23,3 Inps, 10 Inail, 7,4 da altre amministrazioni), mentre il rimanente 64,5% si riferisce a debitori che, per vari motivi, non riusciranno ad onorare i loro impegni.

Considerato il rilevante ammontare dei carichi oggetto di annullamento, sembrano dunque giustificabili le richieste che anche il Consiglio Nazionale dei Commercialisti ha avanzato per rivedere le norme in materia di riscossione provvisoria in pendenza di giudizio e quelle sull’immediata esecutività degli avvisi di accertamento. Il problema dei debiti con il fisco, però, non si ferma alle sole cartelle “errate”.
Il totale dei crediti “incagliati” ammonta infatti a circa 650 miliardi di euro, suddivisi tra crediti nei confronti di soggetti falliti, persone decedute ed imprese cessate, nullatenenti (almeno in base ai dati dell’Anagrafe tributaria) e soggetti per cui si sono tentate invano azioni esecutive.
Al netto dei 25 miliardi di riscossioni dilazionate e di 81 miliardi di riscosso, il ‘magazzino’ residuo si riduce a 85 miliardi di euro, di cui 34 miliardi non lavorabili per norme a favore dei contribuenti. Ne consegue che le posizioni effettivamente lavorabili ammontano a 51 miliardi di euro, pari al 5% del carico totale lordo iniziale gestito da Equitalia.
Sono dati che impongono una seria riflessione su come riorganizzare la macchina della riscossione nel nostro Paese. Tuttavia, il problema principale non è ‘chi’, ma ‘come’ si procede.

La soppressione di Equitalia, infatti, può avere senso soltanto se rappresenta il primo passo per una decisa riduzione dei costi della riscossione e per rivedere le regole di ingaggio nei confronti dei debitori. Il modello che si è sviluppato negli ultimi anni è stato invero basato sulla eccessiva rigidità delle procedure, sovente assistite da onerose ed ingiustificate misure cautelari provvisoriamente adottate senza un preventivo vaglio giurisprudenziale, nonché sull’eccessiva onerosità dell’aggio di riscossione, tramutatosi troppo spesso in una sanzione aggiuntiva impropria. Apprezziamo dunque quanto annunciato dal premier Renzi di voler superare l’attuale modello inutilmente polemico – ed in alcuni casi vessatorio – nei confronti dei cittadini, per sostituirlo con uno basato sul dialogo preventivo e sulla compliance. Al più presto bisogna però tradurre gli annunci in fatti concreti.

Ma veniamo alle dolenti note. La parte in cui la manovra non risulta condivisibile è quella che, in nome delle pur fondamentali esigenze di contrasto all’evasione, introduce ulteriori adempimenti fiscali a carico dei contribuenti, in un quadro che è già quasi al collasso. Mi riferisco all’art. 4 del decreto-legge collegato alla manovra di bilancio 2017 (d.l. n. 193/2016), il quale, da una parte, moltiplica per quattro gli obblighi comunicativi relativi allo “spesometro”, rendendo trimestrale un adempimento sino ad oggi previsto con cadenza soltanto annuale, e, dall’altra, lo trasforma in un obbligo di comunicazione dei dati delle singole fatture emesse e ricevute, con un grado di dettaglio che giunge sino alla necessità di indicare la “tipologia dell’operazione”.

A tali comunicazioni trimestrali, il decreto aggiunge l’ulteriore obbligo di comunicazione dei dati delle liquidazioni periodiche IVA, anch’esso avente cadenza trimestrale. Il tutto corredato da un pesante regime sanzionatorio in caso di errori od omissioni.
Ora è di tutta evidenza come tali misure vadano in totale controtendenza rispetto a quanto da tempo condiviso nel Tavolo tecnico sulle semplificazioni fiscali istituito dal MEF ed a cui hanno partecipato, oltre al Consiglio Nazionale dei Commercialisti, l’Agenzia delle Entrate ed i rappresentanti delle principali organizzazioni imprenditoriali.
Tra le misure “a costo zero”, da tutti condivise nel Tavolo tecnico e che avrebbero dovuto trovare posto nel decreto collegato, vi sono, tra le altre, la sospensione feriale dei termini amministrativi a carico dei contribuenti e per la definizione degli avvisi bonari, l’eliminazione della presunzione legale sui versamenti bancari del professionista, la soppressione del registro delle dichiarazioni d’intento, il ripristino del mod. F24 cartaceo per i soggetti senza Partita IVA, senza dimenticare il nuovo calendario delle scadenze fiscali, che consenta finalmente ai contribuenti di adempiere agli obblighi tributari con maggiore serenità ed ai Commercialisti di assisterli con la dovuta diligenza professionale.

Ancora da confermare pure il superamento dell’attuale modello degli studi di settore, da noi per primi invocato, in particolare per i professionisti, e la sua trasformazione da strumento di accertamento a strumento di valutazione dell’affidabilità del contribuente, finalizzato a rafforzare la “compliance” ed il dialogo preventivo con il Fisco, nell’ottica della premialità anziché della repressione.
Nulla di tutto questo, sebbene il viceministro alle Finanze, on.le Luigi Casero, abbia più volte affermato pubblicamente, anche nel corso di un evento tenutosi presso il nostro Consiglio Nazionale nel febbraio scorso, che “un Paese moderno non può obbligare ogni anno cittadini e imprese a sostenere costi aggiuntivi per rispettare gli adempimenti fiscali. Tagliare i costi degli adempimenti deve diventare la regola. Questi oneri logorano il rapporto con il Fisco perché diventano ‘tasse aggiuntive’”.

I nuovi obblighi comunicativi contraddicono apertamente tali affermazioni e non possono trovare giustificazione in esigenze di adeguamento della normativa nazionale a quella comunitaria, non richiedendo quest’ultima un grado di dettaglio delle comunicazioni così spinto, né con esigenze di contrasto all’evasione, la quale non può essere combattuta addossando gravosi obblighi – peraltro pesantemente sanzionati – indistintamente a tutti i contribuenti, compresi quelli virtuosi.
I nuovi adempimenti introdotti con la manovra costituiscono dunque l’ennesima occasione persa per le esigenze di semplificazione fiscale del nostro Paese e per ridurre nei fatti, e non solo a parole, il costo ed il numero degli adempimenti, che da ormai troppo tempo anche i Commercialisti aspettano.
Occorre pertanto che, sul punto, la manovra sia radicalmente rivista, recuperando al più presto il pacchetto di semplificazioni da tempo condiviso e riducendo al minimo indispensabile gli obblighi comunicativi infrannuali ai fini IVA imposti dalla normativa comunitaria. Per questo, il Consiglio Nazionale continuerà a battersi con la massima determinazione.

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