Secondo le ultime stime Istat dell’ottobre 2023, la quota di economia sommersa e di quella illegale computata nel Pil è pari al 10,5% nel biennio 2020-2021, in calo di 0,8 punti rispetto al 2019 e di 2,5 punti rispetto al livello più alto dell’ultimo decennio raggiunto nel 2014 (13%). Pertanto, la pressione fiscale reale, calcolata sul Pil al netto del sommerso e dell’illegale, nel 2021 è pari al 47,6%, con un differenziale di 5 punti su quella ufficiale, invariato rispetto al 2020, ma sensibilmente inferiore al valore di 6,4% fatto registrare nel 2013 allorché la pressione fiscale reale raggiunse il livello record del 49,8%. Sono i numeri elaborati dalla Fondazione nazionale dei commercialisti diffusi a margine degli Stati generali della professione, svoltisi a Roma il 7 maggio.
I commercialisti sottolineano come il miglioramento registrato in otto anni nel valore differenziale con la pressione fiscale ufficiale è, dunque, pari a 1,4 punti ed è imputabile alla costante riduzione dell’economia sommersa. In particolare, la riduzione più importante si è verificata nel 2020, cioè nell’anno pandemico (-14%), mentre nel corso del 2021 l’incremento è stato in linea con quello del Pil nominale (+10%), rendendo così temporaneamente stabile il rapporto sommerso/Pil al 10,5%, livello più basso di sempre.
I professionisti ricordano come nel 2021, secondo dati Eurostat, la pressione fiscale media nell’Unione europea è stata pari al 40,4%. Il paese con la pressione fiscale più elevata nel 2021 è stato la Danimarca con il 47,6%, seguita dalla Francia con il 45,1%. L’Italia, con la pressione fiscale reale del 47,6% si colloca al primo posto al pari della Danimarca. La forte riduzione del sommerso nel 2020 e il mantenimento di un livello comunque in linea con il Pil nel 2021, è in parte imputabile alla progressiva anche se graduale riduzione del tax gap. Infatti, la relazione sull’Economia Non Osservata (ENO) presentata dal governo in occasione della Nadef 2023, ha certificato una forte riduzione del tax gap tra il 2015 e il 2020 pari a quasi il 19%, solo nell’ultimo anno considerato, il 2020 sul 2019, la riduzione del tax gap sarebbe pari al 15%.
Per il biennio 2022-2023, la Fondazione nazionale dei commercialisti ha condotto una simulazione della pressione fiscale reale calcolata ipotizzando un calo della quota di sommerso di un decimale di Pil all’anno. Su tale base, la pressione fiscale reale risulterebbe pari al 47,4% nel 2023 e si ridurrebbe al 46,8% nel 2024 per poi risalire nel 2025 al 47,2% e stabilizzarsi al 46,9% nel periodo 2026-2027. In questo modo, il differenziale con la pressione fiscale ufficiale si ridurrebbe dal 5% del 2020-2021 al 4,6% del 2027.
Il presidente nazionale della categoria, Elbano de Nuccio, afferma che “manca, a livello europeo, la necessaria trasparenza sulle stime dell’economia sommersa che permetterebbe di calcolare anche per gli altri paesi europei la pressione fiscale reale. Infatti, l’esistenza di diverse misure di pressione fiscale a livello macro, cioè calcolate per l’economia nel suo complesso e, quindi, rispetto al Pil, rende il sistema particolarmente complesso impedendo a livello micro, cioè a livello di singolo operatore economico, una corretta percezione dell’effettivo carico fiscale. Il nostro auspicio è che, grazie alla riforma fiscale in fase di attuazione, si possa non solo ridurre la pressione fiscale complessiva che grava sull’economia italiana, ma che si possa ulteriormente consolidare la riduzione in atto del sommerso e, quindi, avere maggiore chiarezza negli indicatori di politica fiscale oltre che maggiore equità tra contribuenti”.
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