La spesa indotta dal Superbonus 110% per gli anni 2021 e 2022, cioè investimenti aggiuntivi nel settore costruzioni e, per il sistema delle interconnessioni settoriali, in tutti gli altri settori dell’economia, è pari a 96 miliardi di euro. A tale spesa indotta corrisponde un costo lordo per lo Stato, rappresentato dalle detrazioni fiscali maturate in aggiunta a quelle ordinarie, pari a poco più di 97 miliardi di euro. Di conseguenza, anche se in un orizzonte temporale più ampio corrispondente a circa un quinquennio, si stima un incremento di Pil di quasi 91 miliardi di euro e di gettito fiscale di circa 37 miliardi di euro. Pertanto, a regime, il costo netto per lo Stato del Superbonus 110% è stimato pari a 60 miliardi di euro e, quindi, nettamente inferiore all’incremento del Pil. È quanto emerge da uno studio del Consiglio e della Fondazione nazionale dei commercialisti, che aggiorna con i dati disponili al 31.12.2022 il precedente pubblicato sullo stesso tema a dicembre dello scorso anno, basato su un modello teorico appositamente elaborato. Secondo il documento – curato dai ricercatori della Fondazione Tommaso Di Nardo, Pasquale Saggese ed Enrico Zanetti e dal Tesoriere nazionale con delega alla fiscalità Salvatore Regalbuto – il moltiplicatore sul Pil della spesa aggiuntiva indotta dal Superbonus è pari a 0,95, mentre l’effetto di retroazione fiscale, cioè l’incremento di gettito rispetto all’incremento di spesa pubblica, è pari al 38%. Se si considera adeguatamente l’effetto di retroazione fiscale, l’impatto del Superbonus 110% sulle finanze pubbliche è dunque addirittura positivo, nel senso che l’incremento di Pil generato comunque a debito, cioè facendo deficit, sarebbe superiore all’impatto sul debito, migliorando, in termini percentuali, il rapporto debito/pil.
“Il nostro documento – spiega il presidente del Consiglio nazionale dei commercialisti, Elbano de Nuccio – rappresenta un contributo tecnico che può orientare il decisore politico a riconsiderare il meccanismo della cessione del credito anche nell’ambito della proposta avanzata dal Consiglio Nazionale di inserire, per gli anni 2024 e 2025, un superbonus “sostenibile”, mirato cioè agli interventi di riqualificazione energetica degli edifici meno performanti sotto tale profilo e realizzati su grandi condomini, immobili destinati a edilizia residenziale pubblica e a beneficio dei soli nuclei familiari meno abbienti. Parte delle risorse potrebbero essere destinate anche alle imprese, attraverso meccanismi di detrazione fiscale o di riconoscimento di crediti di imposta connessi all’installazione di sistemi di autoproduzione di energia attraverso l’utilizzo di fonti rinnovabili, in particolare di quella solare fotovoltaica”
“Attraverso il modello teorico del Consiglio e della Fondazione nazionali – aggiunge Salvatore Regalbuto – stimiamo un impatto molto positivo dei bonus edilizi, in particolare del Superbonus 110%, sugli investimenti in edilizia e, quindi, sul Pil, oltre che sull’occupazione. Sebbene non si possa dire che le agevolazioni in edilizia si ripaghino totalmente, si può certamente asserire che tali agevolazioni hanno una elevata capacità di attivazione economica e fiscale con importanti ricadute in termini ambientali e occupazionali e anche sui fondamentali di finanza pubblica”. “In questo contesto – conclude – un’importantissima conferma giunge dai dati resi noti dal Mef nell’Audizione del 23 maggio 2023, laddove, sulla base delle stime di impatto dei bonus edilizi sul Pil nominale per il periodo 2021-2025, per altro, limitate al solo impatto del Superbonus e del bonus facciate, si ricava un valore complessivo di incremento del Pil, per i cinque anni presi in considerazione, di 121 miliardi di euro. Un dato persino superiore alle nostre stime che si assestano a 91 miliardi di euro.”
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