Nel documento “Il contributo del CNDCEC alla riforma della crisi di impresa – Profili tributari”, che il Consiglio Nazionale ha recentemente presentato alla Commissione Rordorf, sono raccolte diverse proposte di modifica legislativa riguardanti l’istituto della transazione fiscale (art. 182-ter L.F.), il sistema dei privilegi tributari e la razionalizzazione della disciplina dell’insinuazione nel passivo dei crediti esatti dall’Agente della riscossione.
In particolare, per ciò che attiene la transazione, è noto come gli innumerevoli interventi normativi subiti negli anni dall’istituto abbiano progressivamente frustrato l’iniziale obiettivo del legislatore di ricondurre l’Erario sullo stesso piano degli altri creditori concorsuali o, comunque, quello di contemperare l’interesse della procedura con l’interesse fiscale.
Per questa ragione, nel documento è stata proposta e giustificata (a livello di normativa e giurisprudenza comunitaria) la falcidiabilità dell’IVA nazionale, l’estensione dell’istituto a tutti i tributi (anche locali) e attribuito, quale effetto tipico dell’istituto, derivante dal perfezionamento dell’accordo con l’Agenzia, quello di precludere agli uffici la possibilità di rettificare in aumento l’ammontare della pretesa una volta condivisi i termini della proposta transattiva e, in particolare, l’ammontare del credito ivi concordato (c.d. consolidamento del debito tributario).
Ma sicuramente il profilo più critico dell’attuale disciplina della transazione è quello che attiene l’asserita non falcidiabilità non solo delle risorse proprie “tradizionali” dell’Unione europea, come i diritti agricoli ed i tributi doganali, ma anche dell’IVA (di cui, invero, solo una quota parte dell’imposta riscossa a livello nazionale è destinata al finanziamento del bilancio dell’Unione) e delle ritenute operate e non versate (in questo ultimo caso, inoltre, il divieto di falcidia risulta del tutto privo di giustificazione a livello comunitario, non essendovi al riguardo alcun vincolo di matrice sovranazionale).
A tali problemi il Consiglio nazionale nel documento in commento ha prospettato una soluzione che, nel rispetto sia della ratio sottesa alla riforma della legge fallimentare che della normativa comunitaria, permette di transigere l’IVA nazionale, pur corrispondendo all’Unione la totalità della quota di tributo a quest’ultima dovuta.
Al fine di evitare che l’IVA falcidiata (o anche esdebitata ex art. 142 L.F.) possa incidere direttamente sul saldo “netto” del tributo IVA nazionale riscosso (o comunque riscuotibile), la modifica proposta dal CNDCEC prevede di determinare la base imponibile IVA nazionale sulla quale applicare l’aliquota media ponderata1 come la sommatoria tra l’IVA riscossa e quella riscuotibile, con la conseguenza che qualsiasi riduzione operata dal singolo Stato membro non avrebbe alcuna incidenza per l’Unione, la quale godrebbe, comunque, della quota IVA di sua spettanza (a priori determinata e cristallizzata).
Solo considerando l’IVA nazionale come interamente incassata, infatti, non si avrebbe alcuna incidenza negativa nei confronti dell’UE, la quale si vedrebbe accreditata, ogni mese, la quota di sua spettanza (da considerare indisponibile), così come correttamente individuata dalla normativa comunitaria, incidendo la falcidia (da transazione e/o esdebitazione) unicamente sul saldo di cassa del bilancio nazionale.
La proposta di modifica del CNDCEC – che qualifica l’art. 182-ter L.F. come norma speciale, non generalizzata, da leggersi all’interno del quadro della soluzione concorsuale alla crisi di impresa, sotto l’egida del Tribunale, senza alcun rischio di distorsione della concorrenza -, ha trovato esplicita conferma nelle conclusioni presentate, il 14 gennaio 2016, dall’Avvocato Generale della Corte di Giustizia UE nella causa C-546/14 – domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale di Udine.
L’Avvocato Generale, dopo aver ritenuto come manifestamente ricevibile la domanda di pronuncia pregiudiziale ed aver ricordato che il diritto dell’Unione impone agli Stati membri di adottare tutte le misure (legislative ed amministrative) idonee a garantire l’effettiva riscossione delle risorse proprie dell’UE, conclude affermando che il sistema comune dell’IVA non impone agli Stati membri di accordare ai crediti IVA un trattamento preferenziale rispetto alle altre categorie di crediti.
In talune circostanze – prosegue l’avvocato generale – uno Stato membro può, invece, ragionevolmente ritenere legittima una rinuncia al pagamento integrale di un credito IVA, purché siffatte circostanze siano eccezionali, puntuali e limitate, e purché lo Stato membro non pregiudichi il principio di neutralità fiscale inerente al sistema comune dell’IVA.
Da ciò consegue che al sistema comune dell’IVA non ostano norme nazionali (come gli artt. 160 e 182-ter L.F.), che consentono ad uno Stato membro di accettare un pagamento parziale del debito IVA da parte di un imprenditore in difficoltà finanziaria nel corso di un concordato preventivo basato sulla liquidazione del suo patrimonio, a condizione che un esperto indipendente concluda che non si otterrebbe un pagamento maggiore di tale credito in caso di fallimento e che il concordato sia omologato dal giudice.
Diversamente dalle disposizioni nazionali in discussione nelle due cause Commissione/Italia2, la procedura di concordato, infatti, non comporta una rinuncia generale ed indiscriminata al potere dell’amministrazione finanziaria di ottenere il pagamento dei crediti IVA (come nel condono), ma anzi una sua parziale rinunzia è coerente con la Raccomandazione della Commissione agli Stati membri3 di eliminare gli ostacoli all’efficace ristrutturazione di imprese in difficoltà finanziaria, promuovendo l’imprenditoria, gli investimenti e l’occupazione e contribuendo a ridurre gli ostacoli al buon funzionamento del mercato interno.
L’esplicita presa di posizione assunta nei giorni scorsi dall’Avvocato Generale, dopo anni in cui la giurisprudenza domestica aveva negato agli imprenditori in crisi la possibilità di pagamenti parziali del debito IVA, motivando tale rifiuto proprio in ragione del fatto che si sarebbe trattato di limitare la riscossione di risorse proprie dell’Unione (mentre risorsa “propria” è al più solo lo 0,30% della quota parte dell’IVA riscuotibile in ambito nazionale), fa finalmente chiarezza sulla materia e rafforza la fattibilità della proposta del CNDCEC che si auspica trovi a breve spazio in un provvedimento normativo.
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