Il Barometro è uno strumento formidabile nato dalla partecipazione attiva di ben 4 mila commercialisti che hanno dato voce ai citati protagonisti dell’economia. Del resto i commercialisti sono il sensore più sensibile dello stato reale dell’economia, perché vivono nel quotidiano in osmosi con i propri clienti. Non sorprende che l’esito del Barometro è un racconto in presa diretta e a tinte forti di come sta andando e di come andrà l’economia italiana.
Dal Barometro giunge un alert alto e forte dei commercialisti sullo stato dell’economia: il 62,1% esprime un giudizio negativo, per il 31% non va né bene né male e solo il 6,9% ha un giudizio positivo. Il giudizio negativo prevale trasversalmente ai territori.
Se le cose vanno male, nei prossimi dodici mesi non andranno meglio: per il 48,8% la situazione rimarrà negativa come oggi, per il 38,7% peggiorerà e solo per il 12,5% migliorerà. In estrema sintesi, oggi è peggio di ieri, domani sarà negativo come oggi o addirittura le cose peggioreranno.
La valutazione sull’economia in generale si articola poi nel giudizio sulla condizione dei suoi protagonisti clienti.
Se va male per tutti, la situazione economica delle famiglie è negativa per il 36,2%, quella delle microimprese per il 53,4% e quella delle imprese più grandi per il 32%. In sintesi: l’economia va male in generale, le famiglie tengono meglio delle imprese, le imprese più grandi meglio delle micro. In un tweet: le nostre microimprese soffrono più di tutti.
Le famiglie italiane, pur subendo l’impatto prolungato di crisi e mancata ripresa, hanno mostrato una notevole capacità di adattamento tra sobrietà nei consumi e accumulo di cash cautelativo.
Per le imprese le cose sono più complicate e per quelle micro ancora di più. Ben il 58,3% dei commercialisti ha imprese clienti che hanno ritardato i pagamenti degli stipendi ai propri dipendenti. Qui si coglie in pieno la latenza della crisi sociale. Poi la catena dei pagamenti è ingolfata, con il 91,3% dei commercialisti le cui imprese clienti hanno sperimentato ritardi nella riscossione dei crediti: di questi, oltre due terzi ha la maggioranza o tutte le imprese che vivono questa sofferenza e per la maggioranza degli intervistati i ritardi si allungano.
Per l’87,7% dei commercialisti (di cui per il 45% tutte o la maggioranza delle proprie imprese clienti) ci sono ritardi nei pagamenti ai fornitori. E la PA non fa certo la parte dell’alunno modello: ben il 60% dei commercialisti ha imprese clienti che subiscono ritardi nella riscossione di crediti e smentendo le dichiarazioni di successivi governi, solo per il 7% i tempi si sono ridotti. Le difficoltà di incassare i crediti e pagare i fornitori coinvolgono molto di più le microimprese, confermando che sono l’epicentro della difficoltà dell’economia.
In questa situazione il fisco resta una spina nel fianco: il 52,6% dei commercialisti ha visto aumentare le imprese clienti che optano per un ravvedimento operoso con il fisco (ben il 54% dei commercialisti con clienti microimprese ed il 25,8% di quelli con clienti le imprese più grandi), mentre il 47,7% dei commercialisti ha imprese con debiti scaduti e/o non pagati con il fisco (è il 51% tra i commercialisti con clienti micro imprese e scende al 22% tra quelli con imprese più grandi). Riguardo alle lettere di compliance inviate dal Fisco addirittura l’80% dei commercialisti ha almeno una impresa cliente che l’ha ricevuta e, nel complesso, per il 53,5% esse sono risultate non infondate, cioè hanno sollevato un problema che rinvia a difficoltà reali delle imprese a tenere il ritmo dei pagamenti. Con le banche, il più intenso ricorso al credito bancario per fronteggiare difficoltà di breve-medio termine non occulta il fatto che il rapporto tra imprese e banche è quello più peggiorato negli ultimi cinque anni.
In definitiva la congiuntura rivela una pressione notevole sull’ampio e strategico, per economia e società italiana, segmento delle microimprese, senza che ovviamente famiglie e imprese più grandi sfuggano alle difficoltà. Guardando al futuro i commercialisti sono pessimisti se le cose proseguiranno nel solco del passato e del presente e sottolineano che, in questi anni, alla retorica della semplificazione ha fatto da contraltare una crescente complessità del fare impresa: avvio, gestione, rapporti con fisco e banche, tutto è diventato più complicato e tutto è destinato ad ingarbugliarsi ancora di più.
Il rischio vero è l’inaridirsi della propensione alla imprenditorialità, che è stata una delle risorse chiave dello sviluppo italiano.
Sarebbe urgente modulare ogni agenda delle cose da fare su questo quadro così netto e pieno di indicazioni che i commercialisti hanno consentito di costruire. E sarebbe utile e positivo per l’economia e chi se ne occupa prendere i successivi numeri del Barometro come riferimento decisivo per capire di cosa i protagonisti reali della nostra economia hanno bisogno e cosa si aspettano.
Responsabile Area Politiche sociali del Censis
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