Il Consiglio nazionale dei commercialisti ha impugnato dinanzi al Tar del Lazio il decreto del Presidente della Repubblica del 7 ottobre, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 10 novembre, che stabilisce i compensi per gli amministratori dei beni sequestrati e confiscati alle mafie. La decisione arriva dopo che per mesi la categoria aveva chiesto una sostanziale modifica del Dpr, anche attraverso un documento inviato al Ministero della Giustizia. I commercialisti avevano chiesto un cambio radicale nella logica nella determinazione dei compensi degli amministratori giudiziari rispetto a quella adottata dal decreto, giudicando sbagliato l’aver assunto a riferimento le norme relative ai compensi dei curatori fallimentari. La proposta della categoria era invece quella di assumere come punto di riferimento la tabella per la determinazione dei parametri dei compensi per le professioni regolarmente di cui al DM 140/2012, opportunamente adattata in melius alle specificità della disciplina in materia di gestione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati alle consorterie criminali. In alternativa, i commercialisti proponevano l’utilizzo di contributi annuali forfetizzati in relazione alla singola attività svolta dall’amministratore giudiziario.

Il Dpr impugnato – spiega il presidente nazionale della categoria, Gerardo Longobardi – “presenta poi un’ulteriore criticità rappresentata dalla irragionevole riduzione delle tariffe rispetto a quelle dei curatori fallimentari basata sull’erroneo presupposto di una minore complessità degli adempimenti richiesti agli amministratori giudiziari rispetto a quelli svolti dal curatore fallimentare nel corso della procedura concorsuale”.

“Il Dpr – afferma il Consigliere nazionale dei commercialisti delegato alla materia, Maria Luisa Campise – non tiene conto della estrema complessità di questa attività e dei rischi ad essa connessi. Una sottovalutazione dalla quale discendono compensi a nostro modo di vedere troppo bassi e che ci indotti a ricorrere al Tar”.

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