Il cambiamento è un tema costantemente al centro dell’attenzione dei commercialisti, stretti tra modifiche normative, tecniche ed economiche che quotidianamente impattano sulla professione. Costretti ad inseguire i cambiamenti quotidiani, i commercialisti oggi si trovano a fronteggiare un cambiamento epocale: il passaggio ad una nuova divisione del lavoro tra uomo e macchina, che comunemente chiamiamo “digitalizzazione contabile e fiscale”.
E’ stato questo il focus principale da cui è partita l’ultima indagine della Fondazione nazionale dei commercialisti: “Come cambia la professione”, che – svolta con metodo CAWI tra luglio ed agosto – ha coinvolto un campione di circa 2.400 commercialisti, statisticamente rappresentativo degli oltre 116 mila professionisti iscritti all’Albo.
Nel progettare l’indagine, accanto al tema della digitalizzazione e delle conseguenti possibili trasformazioni per la professione (e, in particolare, delle percezioni e delle aspettative dei commercialisti), abbiamo pensato di formulare alcune ipotesi di strategia per stimolare il campione e verificarne il grado di coinvolgimento nei processi in atto. La principale di queste ipotesi è legata alla possibilità che la digitalizzazione della contabilità – e, in particolare, l’uso telematico che se ne farebbe attraverso la fatturazione elettronica ed i suoi sviluppi – nel rendere i dati contabili aperti e liberamente accessibili, permetterebbe a molti stakeholder delle imprese (principalmente alle banche) di disporre di patrimoni informativi prima inimmaginabili.
Da qui possono derivare alcune importanti novità per i commercialisti, specialmente per quelli che sono interessati ad avere nel proprio portafoglio clienti imprese dinamiche con un buon approccio allo sviluppo del mercato e alla crescita aziendale. L’idea di fondo è che il commercialista – per sua natura – sarebbe il professionista ideale per valorizzare al meglio i dati contabili digitalizzati e aperti in ottica consulenziale.
Per la formulazione di questa ipotesi ci siamo basati anche sui risultati di precedenti indagini sull’evoluzione della professione. In un’indagine del 2012, ad esempio, la stragrande maggioranza dei commercialisti (79%) individuò l’area della consulenza aziendale, del controllo di gestione e della consulenza direzionale come principale area di sviluppo della professione. Ma, di fatto, solo una minoranza (20%) si dichiarava specializzata nella consulenza aziendale. In un’altra indagine del 2013, i commercialisti (66%) dichiararono che il futuro della professione sarebbe dipeso sempre più dall’aumento della domanda di consulenza specialistica proveniente dalle piccole e medie imprese in seguito alla globalizzazione e all’evoluzione del mercato, piuttosto che dalla regolamentazione pubblica o dall’evoluzione delle funzioni sussidiarie dei commercialisti rispetto allo Stato.
L’ultima indagine – che abbiamo appena concluso e che analizzeremo meglio nelle prossime settimane – ci dice che i commercialisti continuano a percepire la consulenza aziendale come un’opportunità e non temono la digitalizzazione. Ma è evidente come vi sia ancora una grande incertezza sugli sviluppi futuri, mentre si rafforza l’idea di sfruttare meglio le potenzialità organizzative della categoria.
Accanto alla diffusa lamentela sui vincoli burocratici posti dallo Stato, sulla complessità normativa e su quella tecnologica, che fino ad ora ha comportato – per le imprese e i commercialisti – un aggravio in termini di tempi e di costi non riconosciuto, sembra emergere una difficoltà latente nella decodificazione dei processi di cambiamento in atto – in particolare quelli che possono coinvolgere l’impresa familiare -, che si ripercuote facilmente in preoccupazioni e timori spesso non giustificati dalla realtà. Lo dimostra, tra l’altro, il fatto che quasi la metà del campione concorda nel ritenere l’impresa familiare destinata a ridursi ed a far spazio ad imprese più strutturate che affidano la gestione a manager professionisti, rispetto alla quale non vi sono ancora evidenze in atto, soprattutto nella realtà economica italiana. Ma anche il fatto che oltre il 60% del campione concorda sul fatto che gli imprenditori, per superare i limiti gestionali tipici del modello dell’impresa familiare italiana, debbano assumere in azienda risorse manageriali e specialistiche di provenienza esterna alla famiglia.
Due dati su tutti meritano infine una particolare evidenza, poiché sono in grado di esprimere indicazioni chiarissime sulle percezioni e le aspettative dei commercialisti: quasi l’80% del campione ha respinto seccamente l’ipotesi che il commercialista, per definizione, non possa cogliere l’opportunità della nuova consulenza che scaturirebbe dalla digitalizzazione dei dati; e quasi il 90% si è dichiarato concorde rispetto all’idea di sfruttare al meglio la presenza capillare sul territorio degli studi professionali, utilizzando al massimo le economie di rete professionale e puntando sulla realizzazione di community, standard nazionali e meccanismi di interazione più stretti.

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