Nel riorganizzare le tipologie contrattuali con il D.Lgs. 81/2015, il Governo, disciplinando il part time, introduce due previsioni finalizzate alla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. Nello specifico, all’art. 8 comma 5, è previsto che, in caso di richiesta del lavoratore o della lavoratrice, con figlio convivente di età non superiore a 13 anni o con figlio convivente portatore di handicap (ai sensi dell’art. 3 della L. n. 104/92) è riconosciuta la priorità nella trasformazione del contratto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale. Al comma 7 del precitato art. 8 è previsto, inoltre, che in luogo del congedo parentale, o entro i limiti del congedo ancora spettante, il lavoratore può richiedere, per una sola volta, la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto di lavoro a tempo parziale, purché con una riduzione dell’orario di lavoro non superiore al 50%. Il datore di lavoro è tenuto a dar corso alla predetta trasformazione entro 15 giorni dalla richiesta.

Ma l’incisivo restyling della materia concernente le misure di conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro è stato operato con il D.Lgs. n.80/2015, entrato in vigore il 25 giugno di quest’anno, con il quale, attraverso la tecnica della riscrittura ed il dichiarato carattere sperimentale di molte delle misure previste, il Legislatore ha effettuato alcuni ritocchi al T.U. su maternità e paternità (D.Lgs. n. 151/2001), in parte accogliendo l’esito di decisioni giurisprudenziali europee e costituzionali ed in parte effettuando una opportuna rivisitazione di una norma che, a distanza di ben 14 anni, necessitava di essere rivitalizzata dovendo tenere in debito conto l’esigenza di estendere, relativamente alla durata (congedo di maternità e congedo parentale) ed ai requisiti soggettivi e/o oggettivi di applicazione (estensione alle adozioni e agli affidi, alle vittime della violenza, telelavoro) alcuni diritti collegati alla maternità, ovvero ad altre fattispecie degne di tutela.
Nonostante il forte limite della norma, dettato dalla sua provvisorietà ossia dalla sua natura sperimentale, per il solo anno 2015 e per le sole giornate di astensione riconosciute nello stesso anno (dichiarata all’art. 26 D.Lgs. n. 80/2015 in cui si lascia ad altri futuri eventuali decreti il finanziamento delle misure in modo strutturale), occorre mettere in evidenza che le modifiche introdotte sono da considerarsi un vero e proprio atto di civiltà che trova conferma nel comunicato stampa del MLPS del 23/06/2015 in cui si precisa che le previsioni di cui al decreto diverranno strutturali una volta approvato, in via definitiva, il decreto di riforma degli ammortizzatori sociali.

In breve, le modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 80/2015, riguardano:

– la riscrittura del comma d) dell’articolo 16 del D.Lgs. 151/2001, attraverso l’introduzione di una maggiore tutela per i parti prematuri. Infatti si prevede, anche se solo per il 2015, che l’astensione obbligatoria non goduta a causa di un parto prematuro potrà essere goduta dalla lavoratrice madre dopo la nascita del bambino, anche se ciò comporti il superamento dei 5 mesi previsti, ossia le giornate di congedo obbligatorio ricalcolato sulla base della data effettiva del parto e non fruite vanno aggiunte in coda al periodo di congedo calcolato sul parto presunto;

– l’introduzione dell’art. 16 bis del D.Lgs. 151/2001 con il quale, per la prima volta, si introduce (consolidando, di fatto, quanto espresso dalla Corte costituzionale con sentenza n. 116/2011) la facoltà per la madre, esercitabile una sola volta per figlio, di sospendere il congedo di maternità obbligatorio in caso di ricovero del neonato in una struttura pubblica e completare la fruizione del congedo stesso al termine della degenza ospedaliera (solo per l’anno 2015). Si tratta, quindi, di una deroga al divieto assoluto di lavorare durante il periodo di congedo obbligatorio, prevista dal decreto (in modo strutturale e non solo per il 2015) anche in caso di adozione e affidamento con l’introduzione del comma 6 bis, all’articolo 26 del D.Lgs. n. 151/2001;

– il nuovo comma 1 dell’art. 24 del D.Lgs. n. 151/2001 che, in accoglimento di quanto disposto dalla Corte costituzionale con sentenza n. 405/2001, prevede a carico dell’INPS la corresponsione dell’indennità di maternità anche nei casi di licenziamento per colpa grave integrante giusta causa (solo per il 2015);
– l’introduzione dei commi 1 bis e 1 ter all’articolo 28 del D.Lgs. 151/2001 che consentono l’applicazione del congedo di paternità anche qualora la madre sia lavoratrice autonoma, avente diritto all’indennità di maternità, ovvero il padre sia lavoratore autonomo, nei casi di morte o grave infermità della madre o se il bambino è affidato esclusivamente al padre (solo per l’anno 2015);

– la riscrittura del comma 2 dell’art. 26 che introduce la previsione del diritto del padre, nel caso di adozione internazionale, a fruire di un periodo di congedo non retribuito, anche nel caso in cui la madre non sia lavoratrice;

– le modifiche, allo stato attuale valide per il solo anno 2015, agli articoli 32, 33, 34 e 36 del D.Lgs. 151/2001 che comportano l’estensione massima dell’arco temporale di fruibilità del congedo parentale fino a 12 anni di vita del bambino (in luogo degli otto anni di cui al previgente testo) e la corresponsione di indennità pari al 30% della retribuzione per un massimo di 6 mesi tra madre e padre sino al sesto anno di vita del bambino (anziché sino al terzo come nel testo previgente), introducendo, altresì, analoga previsione per i casi di adozione o affidamento per i quali il congedo è fruibile dall’ingresso del minore in famiglia e, comunque, fino al raggiungimento della maggiore età. Resta confermata la durata del congedo parentale (termine interno 10 mesi – 11 mesi se il padre ne usufruisce di almeno 3), così come è confermata la possibilità di fruizione del congedo su base oraria, opzione senza dubbio più conveniente di quella di trasformazione del rapporto di lavoro in part time prevista dal D.Lgs. n. 81/2015;

– l’introduzione all’art. 53 del comma b) bis che estende ai genitori adottivi o affidatari di minori nei primi tre anni dall’ingresso in famiglia, e comunque non oltre il dodicesimo anno di età, i divieti di lavoro notturno vigenti per i genitori naturali;

– l’introduzione degli articoli 64 bis e 64 ter che prevedono, rispettivamente, l’estensione alle lavoratrici autonome iscritte alla gestione separata dell’INPS del diritto a percepire anche nei casi di adozione e affidamento dell’indennità di maternità ed il principio di automaticità delle prestazioni, ossia dell’erogazione dell’indennità anche nei casi di mancato pagamento da parte del committente (valido solo per l’anno 2015);

– l’introduzione del comma 3 ter all’articolo 70 che estende al padre libero professionista, iscritto a una forma obbligatoria di previdenza, la fruizione dell’indennità di maternità per il periodo in cui sarebbe spettata alla madre libero professionista o per la parte residua, in caso di morte o grave infermità della madre ovvero di abbandono, nonché in caso di affidamento esclusivo del bambino al padre;

– la sostituzione dell’art. 72, ossia l’estensione della previsione di cui all’art. 70, relativa alla concessione dell’indennità di maternità, anche ai casi di adozione o affido, con la rimozione del precedente limite dei 6 anni di età, ferma restando la minore età del bambino.

Infine, il D.Lgs. 80/2001 introduce due importanti novità.
L’art. 23 prevede che i datori di lavoro privati che facciano ricorso all’istituto del telelavoro per motivi legati ad esigenze di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, in forza di accordi collettivi stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, possono escludere i lavoratori ammessi al telelavoro dal computo dei limiti numerici previsti da leggi e contratti collettivi per l’applicazione di determinati istituti (i.e.g. tutela reale art. 18 L.n. 300/70; contributo addizionale CIG; obbligo di versamento TFR all’INPS).

L’art. 24 (solo per l’anno 2015) prevede che le dipendenti di datori di lavoro pubblici o privati, con esclusione del lavoro domestico, inserite in percorsi di protezione relativi alla violenza di genere – debitamente certificati dai servizi sociali del comune di residenza o dai centri antiviolenza – possano astenersi dal lavoro per motivi connessi al suddetto percorso per un periodo massimo di tre mesi. Durante il periodo di congedo, che potrà essere usufruito a giorni o a ore nell’arco temporale di tre anni, le lavoratrici avranno diritto a percepire un’indennità corrispondente all’ultima retribuzione, con riferimento alle voci fisse e continuative del trattamento, e ad avere la copertura con contribuzione figurativa per il suddetto periodo.

In attesa degli ulteriori decreti attuativi che stabiliscano le condizioni per l’applicazione strutturale delle tutele previste con il D.Lgs. 80/2015 per i lavoratori dipendenti ed per i c.d. “parasubordinati”, si ritiene di dover precisare che le nuove disposizioni per quanto riguarda i liberi professionisti devono invece intendersi a regime, in quanto la loro applicazione è a carico delle Casse di previdenza e, quindi, svincolata dalle coperture finanziarie da rinvenirsi a carico dello Stato. E devono, altresì, ritenersi subito applicabili, senza necessità di essere preventivamente recepite nei Regolamenti delle Casse di previdenza, atteso che il Decreto legislativo si pone come norma avente valore erga omnes, sovraordinata rispetto ai Regolamenti previdenziali, le cui disposizioni sono sempre cedenti se in contrasto con quelle di rango giuridico superiore.

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