Il contratto di prossimità introdotto dall’art. 8 del decreto legge 138/2001 convertito dalla legge n. 148/2011 è stato concepito come strumento per le singole aziende per adattare gli istituti normativi e contrattuali alle proprie specifiche esigenze, consentendo perciò alle stesse di infrangere, pur entro certi limiti, il principio cardine della norma di legge inderogabile e del perimetro fissato dai CCNL.

Si vuole così riconoscere ai datori di lavoro la piena flessibilità, legittimando le stesse a derogare in pejus a gran parte della disciplina legale protettiva del lavoratore.
Si ricorda che il quadro normativo previgente consentiva alle aziende, attraverso l’intervento di contrattazione di livello decentrato, di operare semplici adeguamenti, ben circoscritti attraverso un sistema di deleghe connotate da limiti d’esercizio. Si cita, ad esempio, la disciplina previgente dei contratti a termine, di cui al D. Lgs. 368/2001, che ammetteva alcune deroghe assistite dalla contrattazione decentrata.
La disposizione in commento legittima, invece, il ricorso a deroghe in senso proprio, autorizzando le imprese a superare anche rigide disposizioni normative e contrattuali.
Ne conseguono la liberalizzazione e/o la flessibilizzazione dei rapporti di lavoro, attraverso la facoltà attribuita alle aziende di costruire una disciplina del rapporto di lavoro “su misura”. Da qui la definizione “di prossimità”, per sottolineare la maggiore rispondenza agli interessi delle parti.

In buona sostanza, la legge sancisce il primato della contrattazione collettiva di prossimità.

Le grandi diatribe e le perplessità sorte con l’emanazione dell’art. 8 del D.L. 13 agosto 2011 furono risolte con il superamento da parte della disposizione stessa del vaglio della Corte Costituzionale.
La norma prevede, tuttavia, dei limiti alla contrattazione di prossimità: in primo luogo, non sono derogabili i principi enucleati dalla Costituzione, i vincoli derivanti dalle normative comunitarie e dalle convenzioni internazionali sul lavoro. L’area di derogabilità è, inoltre, limitata ad alcune materie:

a) agli impianti audiovisivi e all’introduzione di nuove tecnologie;
b) alle mansioni del lavoratore, alla classificazione e all’inquadramento del personale;
c) ai contratti a termine, ai contratti a orario ridotto, modulato o flessibile, al regime della solidarietà negli appalti e ai casi di ricorso alla somministrazione di lavoro;
d) alla disciplina dell’orario di lavoro;
e) alle modalità di assunzione e alla disciplina del rapporto di lavoro, comprese le collaborazioni coordinate e continuative a progetto e le partite IVA, alla trasformazione e alla conversione dei contratti di lavoro e alle conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro, fatta eccezione per il licenziamento discriminatorio, il licenziamento della lavoratrice in concomitanza del matrimonio, il licenziamento della lavoratrice dall’inizio del periodo di gravidanza fino al termine dei periodi di interdizione al lavoro, nonché fino ad un anno di età del bambino, il licenziamento causato dalla domanda o dalla fruizione del congedo parentale e per la malattia del bambino da parte della lavoratrice o del lavoratore ed il licenziamento in caso di adozione o affidamento.
È evidente che la parte retributiva non è rinegoziabile dai contratti di prossimità. Lo sottolinea peraltro un recente interpello del Ministero del Lavoro n. 8 del 12 febbraio 2016.

La contrattazione decentrata potrebbe, invece, interessare la disciplina dei licenziamenti.

E’ utile sottolineare che, per sottoscrivere un contratto di prossimità, è necessario il consenso delle parti sindacali. Si osserva come i sindacati, in linea di massima, non siano inclini a sottoscrivere contratti in deroga e che, di prassi, là dove si raggiunga un accordo, questo viene generalmente siglato dalle RSU.
Negli ultimi anni la maggioranza delle intese di prossimità aveva ad oggetto modifiche alla rigida disciplina dei contratti a termine, così come prevista dal D.Lgs. 368/2001 (stacchi, proroghe e limiti numerici). I recentissimi interventi normativi contenuti nei decreti del Jobs Act hanno, tuttavia, sensibilmente attenuato la rigidità delle norme contrattuali previgenti, attuando la più ampia flessibilità dei vari istituti contrattuali, compresa la disciplina dei licenziamenti. Cosicché, allo stato attuale, si è notevolmente ridimensionata l’esigenza aziendale di addivenire a contratti di prossimità.
L’articolo 8 è stato concepito quale misura anti-crisi, per favorire il rilancio occupazionale. Lo stesso dicasi per i decreti del Jobs Act.

Le aziende oggi, però, oltre sicuramente alla flessibilità, richiedono con urgenza anche altro: la diminuzione del costo del lavoro, al fine di attrarre nuovamente nel nostro Paese le aziende manifatturiere emigrate altrove. Solo così l’Italia potrà riacquisire competitività.

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