Il D.lgs. 139 dell’agosto 2015, recependo la Direttiva europea n. 34, ha determinato una serie di cambiamenti al bilancio d’esercizio, a partire dal primo gennaio 2016.
Tra le novità più significative, si vuole qui focalizzare sinteticamente l’attenzione sull’eliminazione della sezione “E” del Conto Economico, ovvero la gestione “straordinaria”, d’ora in avanti destinata ad un maggior dettaglio ma solo in Nota Integrativa.
Ad onor del vero, senza voler scomodare la dottrina aziendale troppo indietro, nel nostro paese non si è mai avuta un’univoca interpretazione del concetto di gestione straordinaria, aggettivo che, anzi, spesso è risultato sin troppo ampio.

Sempre in estrema sintesi, sono almeno quattro le accezioni di straordinarietà diffuse nei bilanci:
straordinario come eccezionale, quindi il riferimento è al tempo e, cioè, ad un evento che si verifica di rado, non è frequente né prevedibile;
straordinario come anormale, in questo caso può essere riferito ad una variabile dimensionale, ovvero ad un evento che si verifica normalmente ma che in quella particolare situazione ha manifestato irregolarità nella quantità monetaria. Si pensi, ad esempio, ad una partita di merce acquistata a prezzi fuori mercato causa eventi imprevisti;
straordinario come estraneo, rispetto alla gestione caratteristica o corrente, all’oggetto sociale dell’azienda o anche estraneo perché fuori dal controllo del management;
straordinario come non ordinario, ovvero categoria residuale e priva di autonomia, in quanto non ben definibile ma comunque non ascrivibile a nessuna delle precedenti.

A riguardo l’OIC 29 è intervenuto con l’obiettivo di mettere ordine, ponendo tre condizioni che, se verificate tutte contemporaneamente, classificano quel fatto gestionale come straordinario: infrequenza, estraneità, accidentalità. In tal senso il contributo è apparso significativo in teoria ed un po’ meno nella pratica, come si vedrà meglio tra breve, quando si presenterà l’indagine empirica.
Va pur detto che lo standard contabile in questione è tra i più ampi e complessi, e comprende nella gestione straordinaria una serie di elementi abbastanza disomogenei tra loro: cambiamenti di principi contabili, cambiamenti di stime contabili, correzioni di errori, fatti intervenuti dopo la chiusura dell’esercizio ed eventi ed operazioni straordinarie.

Giova anche ricordare che la componente straordinaria nel conto economico è frutto del recepimento di un’altra direttiva europea e del D.lgs. 127/91, che, introducendo la versione a “scalare”, ha evidenziato separatamente le aree della gestione: A, valore della produzione; B, costi della produzione; C e D, aree finanziarie; E, area straordinaria, in luogo del conto “profitti e perdite” del ’74.
La nuova norma appare dunque come un ripensamento di tale filosofia, che pure aveva il merito di isolare le diverse componenti del reddito e, quindi, risultava più utile in una prospettiva di analisi del bilancio (valutazione del capitale economico, rating bancario, ecc.), verso un’ottica che invece ci avvicina al concetto di comprehensive income, caro agli IFRS.

Senza addentrarci nell’annoso dibattito sull’introduzione progressiva dei principi contabili internazionali nel nostro paese, con tutti i limiti del caso, si vogliono qui invece proporre i risultati di una piccola indagine empirica condotta sui bilanci 2014 delle società di capitali italiane, in riferimento al “peso” della gestione straordinaria, con l’obiettivo di ipotizzare quali e quante informazioni non vedremo più, almeno separatamente, nel conto economico, ma dovremo andar a recuperare nella Nota Integrativa.
Si tratta di un campione di circa 12.000 aziende di tutti i settori, tratto dal database AIDA, con esclusione delle società che utilizzano i principi contabili internazionali.
Le stesse sono state poi suddivise per dimensioni: piccole (circa il 60%), grandi (6%) e medie (34%); e per performance: tre quarti del campione è risultato in utile ed un quarto ha registrato nell’ultimo anno una perdita d’esercizio.
Ecco dunque i principali risultati.

Gli oneri straordinari (voce E. 21) pesano per il 18% nelle piccole aziende rispetto ai costi della produzione. Nelle grandi e medie, il peso è scarsamente significativo. Lo stesso dato emerge in sostanza rapportandoli al totale degli investimenti.
Similmente, i proventi straordinari (voce E. 20) pesano molto poco sui ricavi, in particolare nelle aziende di minori dimensioni (3%), ancor meno nelle grandi e medie.
Interessanti sono i risultati del peso della gestione straordinaria su indicatori quali reddito operativo e utile/perdita d’esercizio.
Nel primo caso, gli oneri straordinari rappresentano un terzo del reddito operativo nelle medie e due terzi nelle grandi e piccole imprese, mentre i proventi straordinari rappresentano un terzo del reddito operativo nelle grandi, quasi la metà nelle medie e circa il 100 % nelle piccole.
Nel secondo, gli oneri straordinari sono oltre l’80% del risultato economico nelle medie, un terzo nelle grandi e tre quarti nelle piccole. Similmente i proventi straordinari: circa tre quarti nelle grandi, quasi uguale nelle piccole ed il 118% nelle medie.

I dati, con tutti i limiti metodologici di un’analisi del genere, sembrano suggerire che il peso complessivo della gestione straordinaria non è significativo in termini di volumi per le aziende esaminate, ma lo è invece rispetto alle performance economiche delle stesse.
Si è voluto, infine, verificare tale ipotesi, rapportando l’incidenza percentuale degli oneri straordinari sulle aziende che hanno chiuso l’esercizio in perdita e quella dei proventi straordinari per le aziende che invece hanno generato un utile.
Ebbene i numeri sembrano confortare tali considerazioni: le aziende che chiudono in utile lo fanno grazie all’intervento determinante dei proventi straordinari, mentre quelle che chiudono in perdita lo devono, in modo decisivo, alla quantità di oneri straordinari.
Se da un lato, in conclusione, l’indagine può spingere a riflettere ancora una volta sulle politiche di bilancio, dall’altro non va sottovalutato che l’obiettivo legislativo della semplificazione appare stridere con la comparabilità dei bilanci, e che tali informazioni, confluendo domani in una già affollata nota integrativa, rischiano di diluire la loro efficacia.

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