Lo scorso 11 novembre la Camera dei Deputati ha definitivamente approvato la proposta di legge di iniziativa popolare recante “Misure per favorire l’emersione alla legalità e la tutela dei lavoratori delle aziende sequestrate e confiscate alla criminalità organizzata” (atto Camera n. 1138 nel testo unificato con le altre proposte di legge). Il testo, che è stato trasmesso al Senato della Repubblica per il rituale iter legislativo, prevede una serie di “novità” normative, alcune delle quali riteniamo innovino positivamente l’ordinamento giuridico; altre, invece, non vanno nella direzione sperata.

Tra le “luci” vi rientra sicuramente la previsione del nuovo art. 24, laddove esclude che la disponibilità di beni possa essere giustificata con proventi di evasione fiscale. Ancora, l’estensione della misura ex art. 34 anche alle fattispecie di cui all’art. 603-bis c.p..
Viene introdotto l’art. 34-bis, che disciplina una nuova misura di contrasto (il controllo giudiziario): si tratta – assieme all’art. 34 – di strumenti più flessibili per contrastare le infiltrazioni mafiose nel mercato, senza ricorrere alle misure più invasive già consacrate dalla vigente disciplina.

Di rilevante importanza l’introduzione dell’art. 35-bis, rubricato “Responsabilità nella gestione e controlli della pubblica amministrazione”. Si tratta di una norma elaborata dal CNDCEC che consente di escludere – salvi i casi di dolo o colpa grave – la responsabilità civile dell’amministratore giudiziario, del coadiutore nominato ai sensi dell’articolo 35, comma 4, e dell’amministratore nominato ai sensi dell’articolo 41, comma 6, per gli atti di gestione compiuti nel periodo di efficacia del provvedimento di sequestro. Nella stessa ottica di evitare di imputare responsabilità gestionali all’amministratore giudiziario per condotte riferite al periodo precedente la misura di prevenzione patrimoniale, viene previsto che, dalla data del sequestro e sino all’approvazione del programma di cui all’articolo 41, comma 1, lettera c), gli accertamenti a qualsiasi titolo disposti sull’azienda sequestrata dalle Pubbliche Amministrazioni, di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, sono notificati all’amministratore giudiziario. Entro sei mesi dalla notificazione dell’accertamento è sospesa l’irrogazione delle sanzioni e l’amministratore giudiziario procede alla sanatoria delle violazioni eventualmente riscontrate, presentando apposita istanza alla Pubblica Amministrazione interessata, sentito il giudice delegato. Per la durata indicata nel periodo precedente, rimangono sospesi i relativi termini di prescrizione. Ulteriore disposizione di rilievo è quella contenuta nel comma 3° della nuova norma, laddove si prevede che, al fine di consentire la prosecuzione dell’attività dell’impresa sequestrata o confiscata, il prefetto della Provincia possa rilasciare all’amministratore giudiziario la nuova documentazione antimafia di cui all’articolo 84. Tale documentazione ha validità per l’intero periodo di efficacia dei provvedimenti di sequestro e confisca dell’azienda e sino alla destinazione della stessa disposta ai sensi dell’articolo 48.
Viene integralmente riscritto l’art. 41 in materia di gestione delle aziende sequestrate ed in molte parti ridisegnata la disciplina della tutela dei diritti dei terzi. Vengono previste delle sezioni specializzate distrettuali per la trattazione delle misure di prevenzione (fatta salva l’istituzione di sezioni distaccate per Trapani e Santa Maria Capua Vetere con conseguenti modifiche dell’ordinamento giudiziario).

Viene delegato il Governo ad adottare un decreto legislativo recante disposizioni per le imprese sequestrate e confiscate sottoposte ad amministrazione giudiziaria fino alla loro assegnazione, prevedendo incentivi nelle forme della premialità fiscale e contributiva, favorendo l’emersione del lavoro irregolare nonché il contrasto all’intermediazione illecita e allo sfruttamento del lavoro e consentendo, ove necessario, l’accesso all’integrazione salariale ed agli ammortizzatori sociali.

Quanto alle “ombre”, riscontriamo purtroppo come i positivi intenti iniziali, anche corroborati dalle numerose audizioni di esperti del settore e di rappresentanti delle professioni, non abbiano prodotto i risultati sperati. In effetti l’atto Camera 1138 appare permeato, in ogni sua virgola, dal c.d. “effetto Palermo” e dalle consequenziali “norme punitive” degli attori del processo al patrimonio (amministratori giudiziari e magistratura), senza purtroppo considerare che responsabilità penali definitivamente accertate sono sempre personali e mai del sistema nè di coloro i quali fanno parte del sistema.
Fatta questa doverosa premessa, di seguito riportiamo alcune norme che – ove definitivamente approvate – riteniamo innovino negativamente l’ordinamento giuridico.
Il provvedimento approvato dalla Camera ha ridotto la durata massima della misura di prevenzione, atteso che il nuovo art. 24, ove definitivamente approvato, prevede una proroga non superiore a sei mesi (attualmente 12 mesi) nel caso di indagini complesse o compendi patrimoniali rilevanti.

L’articolo 10 dell’atto camera modifica l’articolo 34 del codice antimafia che, come noto, disciplina l’amministrazione giudiziaria dei beni connessi ad attività economiche e delle aziende. Si tratta di una delle norme “effetto Palermo”, giacché viene previsto al comma 3° che “nel caso di imprese esercitate in forma societaria, l’amministratore giudiziario può esercitare i poteri spettanti agli organi di amministrazione ed agli altri organi sociali secondo le modalità stabilite dal tribunale, tenuto conto delle esigenze di prosecuzione dell’attività d’impresa, senza percepire emolumenti”. Non si comprende – se non in un’ottica punitiva – per quale motivo l’amministratore giudiziario debba assumere su di sé le gravose responsabilità connesse “agli organi di amministrazione” ed “agli altri organi sociali” senza percepire emolumenti.

“L’effetto Palermo” risulta ancor più evidente nella norma punitiva efficacemente definita “ammazza amministratori giudiziari”, ovverosia l’art. 13 dell’atto Camera 1138 che va a modificare l’art. 35 recante “amministrazione dei beni sequestrati”. In effetti nel 2° comma si prevede che, relativamente agli “incarichi aziendali”, il singolo amministratore giudiziario ne possa assumere ma “comunque non superiori a tre”.
La disposizione risulta mal formulata, illogica ed affetta ab origine da illegittimità costituzionale.

La disposizione è mal formulata perché non tiene conto delle tipologie di sequestro di beni aziendali concretamente eseguibili, di talché ci si interroga se il divieto di cumulo debba applicarsi, come il buon senso farebbe ritenere, soltanto al c.d. sequestro tombale oppure vada illogicamente applicato anche al sequestro totalitario o addirittura al sequestro minoritario. Inoltre non si tiene conto delle prassi tribunalizie le quali – nella medesima procedura di sequestro in danno allo stesso proposto – sovente affidano ad un unico amministratore giudiziario una pluralità di “incarichi aziendali”, ovverosia la gestione di una molteplicità di complessi aziendali ma riferiti allo stesso proposto. Tali prassi sono evidentemente finalizzate a massimizzare la gestione ed a rendere economicamente meno dispendiosa l’amministrazione, atteso che, per la medesima procedura di sequestro, la gestione non viene disgregata in capo a più amministratori giudiziari e si riducono quindi i costi di gestione, essendo uno l’amministratore giudiziario a gestire. La disposizione in esame appare altresì viziata da legittimità costituzionale, atteso che soltanto in capo ai professionisti abilitati (avvocati e commercialisti iscritti all’albo) che svolgono l’attività di amministratore giudiziario viene illogicamente introdotta una norma che, per la gestione delle aziende sequestrate, impone il divieto di cumulo degli incarichi. La disparità di trattamento è evidente se si considera che lo stesso professionista (avvocato o commercialista iscritto all’albo) non incontra alcun limite di cumulo per svolgere la funzione di curatore fallimentare, di amministratore straordinario di grandi imprese in crisi ovvero di custode nelle procedure esecutive. In proposito, al fine di evitare sicure censure da parte del Giudice delle Leggi, la Camera è intervenuta “in corsa” introducendo nell’articolo 28 dell’atto Camera 1138 una delega al Governo per adottare un decreto legislativo recante disposizioni per disciplinare il regime delle incompatibilità all’ufficio di amministratore giudiziario e di coadiutore all’amministrazione giudiziaria, oltre che di curatore nelle procedure fallimentari e figure affini delle altre procedure concorsuali, secondo i principi ed i criteri direttivi ivi esplicitati. Vedremo se il Governo introdurrà una norma ammazza coadiutore, curatore fallimentare et similari. La sfiducia verso gli amministratori giudiziari e verso i magistrati ha indotto la Camera ad introdurre anche nel codice antimafia taluni concetti giuridici rinvenibili nel codice di rito civile sull’astensione obbligatoria, e segnatamente, quello di “commensale abituale”. In effetti l’art. 35, comma 3° nella nuova formulazione dell’atto Camera 1138 prevede che “Non possono assumere l’ufficio di amministratore giudiziario né di coadiutore o diretto collaboratore dell’amministratore giudiziario, il coniuge, i parenti fino al quarto grado, gli affini entro il secondo grado, i conviventi o commensali abituali del magistrato che conferisce l’incarico”.

L’effetto Palermo ha indotto poi la Camera ad introdurre nel codice antimafia, una nuova tipologia di amministratore giudiziario: il dipendente della società INVITALIA S.p.A. In particolare l’art. 15 dell’atto camera 1138, nell’introdurre all’art. 41-bis il comma 14, prevede che, qualora il sequestro o la confisca riguardino “aziende di straordinario interesse socio-economico”, l’amministratore giudiziario possa essere nominato tra gli iscritti nella sezione di esperti in gestione aziendale dell’Albo nazionale degli amministratori giudiziari, indicati dalla società INVITALIA Spa tra i suoi dipendenti. In tal caso l’amministratore giudiziario, dipendente della società INVITALIA Spa, per lo svolgimento dell’incarico non ha diritto ad emolumenti aggiuntivi rispetto al trattamento economico in godimento, ad eccezione del rimborso delle spese previsto dal codice antimafia. Pur apprezzando lo sforzo di coinvolgere la società INVITALIA S.p.A. nel processo di gestione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati, riteniamo che – stante l’elevato tecnicismo della materia – la figura dell’amministratore giudiziario debba essere necessariamente affidata ad un libero professionista qualificato (avvocato o dottore commercialista) e non possa coincidere con un dipendente pubblico e/o di una società partecipata, anche per i possibili conflitti di interesse che potrebbero in concreto configurarsi.

Oltre a ciò è utile ricordare che la gestione di un’impresa sequestrata, in aggiunta agli inevitabili profili di pericolosità che l’incarico implica, richiede un impegno costante e continuo che va oltre le mansioni e gli orari lavorativi di un dipendente pubblico.
L’atto Camera 1138 introduce anche ulteriori disposizioni “ombra”, in materia di Agenzia e di destinazione dei beni.
Per quanto riguarda l’Agenzia, purtroppo la Camera ha ritenuto di non dover recepire le proposte unanimemente condivise dai tecnici della materia in ordine alla necessità di traslare le competenze dell’Agenzia alla confisca definitiva. In altri termini, pur rimanendo le competenze di ausilio e supporto in costanza di procedura giudiziaria, l’Agenzia avrebbe dovuto assumere la competenza gestoria e quella relativa alla destinazione dei beni soltanto con la confisca definitiva. Ciò avrebbe consentito all’Agenzia di convogliare le (poche) risorse umane disponibili soltanto sulla gestione post confisca definitiva e sulla destinazione. La Camera ha voluto invece anticipare (art. 38 e art. 110 del codice antimafia) le competenze dell’ANBSC con il provvedimento di confisca di secondo grado: si ritiene trattarsi di scelta illogica che rischia di duplicare ruoli e dilatare le tempistiche di gestione, costringendo l’Agenzia a convogliare le proprie risorse in una fase gestoria non necessaria.
Ancora più superflua l’istituzione di un Comitato consultivo e di indirizzo all’interno dell’Agenzia, organo pensato come “laboratorio propulsivo per il concreto perseguimento delle finalità istituzionali di destinazione sociale dei beni sequestrati e confiscati” e che sarebbe chiamato (art. 112, comma 5°) a svolgere importanti funzioni (tra le quali la formulazione di pareri su tutti gli atti di competenza del Consiglio Direttivo dell’ANBSC).
Seppur quale organo consultivo e non decisionale, si ritiene che il Comitato in esame non possa e non debba occuparsi di tutti gli “affari” dell’Agenzia, e ciò vuoi per ragioni di riservatezza sulle quali sovente il Consiglio Direttivo è chiamato ad esprimersi vuoi per la propria composizione non interamente “istituzionale”, che potrebbe in ipotesi far profilare situazioni di conflitto di interessi di taluno dei componenti.

In effetti, se la finalità di tale organismo è quella di far perseguire concretamente la destinazione sociale dei beni sequestrati e confiscati, si ritiene che la stessa possa essere ben conseguita approntando degli strumenti organizzativi diversi (ad esempio coinvolgendo direttamente i rappresentati delle Pubbliche Amministrazioni all’interno del Consiglio Direttivo dell’ANBSC, auspicabilmente facendovi partecipare anche un magistrato della Corte dei Conti nonché convogliando all’interno dei “Tavoli Prefettizi permanenti”, istituiti a norma dell’art. 41-ter, le proposte per la “migliore destinazione” provenienti dai soggetti non rappresentativi delle Pubbliche Amministrazioni).

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