Un avvocato potrà “studiare” diritto fallimentare anche in casa dei commercialisti, mentre un giornalista, se lo vorrà, potrà seguire un corso di diritto del lavoro presso un consiglio provinciale dei consulenti del lavoro. È questo, ma non solo, il senso del Protocollo a cinque in materia di formazione continua che i Consigli nazionale di avvocati, commercialisti, consulenti del lavoro, giornalisti e notai sigleranno in questi giorni. L’intesa, fortemente voluta dal Presidente della Fondazione nazionale dei commercialisti, Giorgio Sganga, nasce, come spiega il consigliere nazionale dei commercialisti delegato alla formazione, Massimo Miani, «perché abbiamo pensato fosse arrivato il momento di fare un primo bilancio a due anni dall’introduzione di quelli che sono i nuovi sistemi a seguito dell’approvazione della riforma delle professioni e quindi poi della conseguente approvazione di tutti i nostri regolamenti per la formazione continua obbligatoria».
L’obiettivo? Garantire una formazione dagli standard qualitativi sempre più elevati, armonizzarne le prassi tra le diverse categorie e, grazie al mutuo riconoscimento dei crediti, valido per legge, far sì che ogni iscritto possa seguire un corso di formazione nell’ordine territoriale di una qualsiasi delle cinque categorie.
Un accordo che si colloca sulla scia di quanto già fatto tra le stesse professioni (eccezion fatta per i consulenti del lavoro) che oltre un anno fa siglarono due protocolli d’intesa, uno tra l’Ordine dei giornalisti e Consiglio e Fondazione nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili, ed un secondo sempre tra i giornalisti con la Fondazione scuola superiore dell’avvocatura per promuovere attività comuni rivolte allo sviluppo della cultura professionale ed alla formazione continua attraverso corsi, seminari e pubblicazioni. Ma il Protocollo di oggi va anche oltre. E cerca di sciogliere alcuni nodi sulla materia conseguenti all’applicazione della legge di riforma delle professioni voluta dall’ex-ministro della giustizia Paola Severino (Dpr 137/12).

**La norma **
È la riforma delle professioni, Dpr 137/2012, a sancire per la prima volta (anche se molte professioni, commercialisti per primi, avevano già regolamenti in materia) l’obbligo dell’aggiornamento professionale continuo “al fine di garantire la qualità e l’efficienza della prestazione professionale, nel migliore interesse dell’utente e della collettività, e per conseguire l’obiettivo dello sviluppo professionale”, stabilendo che la violazione di tale obbligo costituisca un illecito disciplinare. Il legislatore ha quindi demandato la materia ai diversi Consigli nazionali attraverso la stesura di regolamenti e specifiche linee guida, emanati dopo aver ricevuto il parere favorevole del Ministro vigilante.

Le criticità
E qui arrivano i primi nodi: sebbene, infatti, la legge primaria abbia fissato paletti piuttosto precisi, nello stesso tempo ha aperto a soggetti esterni il campo della formazione.
In questo senso la legge è chiara (art. 7): i corsi per la formazione continua possono essere organizzati oltre che dagli ordini “anche da associazioni di iscritti agli albi e da altri soggetti” autorizzati dai consigli nazionali, specificando inoltre che gli stessi organi nazionali “trasmettono motivata proposta di delibera al ministro vigilante al fine di acquisire il parere vincolante dello stesso”. Ma i requisiti necessari agli enti formatori per ricevere l’accreditamento sono profondamente diversi da una categoria all’altra, in alcuni casi molto elevati, in altri poco stringenti. Insomma un complesso di norme, a tratti caotico, che il Patto vuole armonizzare.
Su tutto questo aleggia lo spettro di una sentenza della Corte di giustizia europea del 2013, che aveva criticato l’attività restrittiva da parte degli ordini proprio in materia di formazione continua, obbligandoli ad aprire al mercato. L’Europa infatti aveva chiesto ai consigli nazionali di rispettare la concorrenza, stando attenti a non ostacolare l’accesso a operatori esterni interessati a occuparsi dell’aggiornamento degli iscritti all’albo.

I principi del Protocollo
Da queste criticità parte la nuova alleanza tra le cinque categorie. Con un principio guida che si legge tra le prime righe dell’intesa: gli ordini, in virtù delle rispettive leggi professionali, “hanno tra i propri compiti istituzionali il coordinamento, la vigilanza e l’organizzazione della formazione professionale continua dei propri iscritti”. Un impegno che però “non si esaurisce con l’adempimento del dettato normativo, ma implica l’esercizio della propria più alta funzione, ovvero quella di assicurare la presenza, nel supremo interesse dei cittadini, di professionisti qualificati, portatori di competenze elevate e consapevoli del ruolo sociale che rivestono”.

Dunque, come spiega il presidente dei commercialisti, Gerardo Longobardi «l’obiettivo è quello di fornire ai nostri iscritti una formazione ed un aggiornamento interdisciplinare di qualità sempre maggiore, anche nell’ottica di uno scambio di conoscenze ed esperienze tra le diverse categorie».
L’obiettivo è la comune volontà di sviluppare e potenziare le sinergie in un’ottica di rete che punta a favorire la collaborazione nello svolgimento e nell’organizzazione di attività scientifiche e culturali d’interesse comune. Il tutto ottimizzando le risorse. Ancora una volta il riferimento è alla legge Severino, che al capitolo dedicato alla formazione continua ha previsto la possibilità di stabilire “crediti formativi professionali interdisciplinari tra due o più professioni, su materie in comune”, specificando in particolare che il valore di tali crediti venga stabilito “con appositi regolamenti comuni che verranno stipulati tra consigli nazionali”.
Dunque a partire da questa intesa i Consigli nazionali “si impegnano a collaborare, anche attraverso i propri Enti formativi o le proprie fondazioni, per l’individuazione, con regolamento da sottoporre per l’approvazione al ministero vigilante, di criteri comuni di riconoscimento reciproco dei crediti formativi professionali interdisciplinari ed a stabilire il loro valore” e poi a organizzare e svolgere attività scientifiche e culturali di comune interesse nelle discipline di rispettiva competenza tecnico-professionale ed in quelle attinenti all’etica, alla deontologia, alla cultura professionale ed al ruolo sociale delle rispettive professioni”.
In particolare le attività comuni consisteranno nella promozione di ricerche, corsi, seminari, conferenze, convegni, pubblicazioni ed iniziative analoghe, volti allo sviluppo della cultura professionale, alla preparazione ed all’aggiornamento professionale degli esercenti le singole professioni nonché nell’organizzazione di scambi culturali rivolti in particolare ai giovani. I rispettivi soggetti formatori degli ordini che hanno aderito al patto si faranno parte attiva per realizzare i diversi obiettivi previsti.
Come operare concretamente? Per la proposta e la programmazione di attività comuni l’intesa prevede la costituzione di un Comitato di coordinamento costituito da due componenti per ciascuna delle parti che aderisce al protocollo, di cui una in rappresentanza dei rispettivi Enti formativi e rispettive Fondazioni con l’obiettivo di creare la migliore e più efficiente operatività. I rispettivi consigli territoriali potranno, comunque, di volta in volta, essere chiamati a collaborare alle singole iniziative, così come naturalmente a partecipare all’organizzazione di eventi di comune interesse, anche in collaborazione con altri soggetti pubblici o privati. Gli aspetti organizzativi e finanziari di ogni singola iniziativa proposta dal Comitato di coordinamento saranno preventivamente concordati e approvati fra gli aderenti al protocollo.
Ciascun Ordine avvierà l’iter previsto al fine di ottenere il riconoscimento dei crediti formativi professionali per le iniziative comuni o di comune interesse. Il protocollo avrà la durata di un triennio, con scadenza a fine 2018.
«Si tratta di un modo per avviare una proficua collaborazione tra professioni diverse», commenta Miani, «ed ora dobbiamo essere bravi e capaci di riempirlo di contenuti e significati. La formazione continua deve essere vista non come un modo per portare a casa un credito formativo o una semplice certificazione della presenza, ma deve invece essere considerata come una grande opportunità di crescita e sviluppo culturale, oltre che un modo per condividere esperienze diverse».
«Oggi la collettività ed i cittadini», aggiunge Marina Calderone, presidente del Comitato unitario delle professioni e dei Consulenti del lavoro, «hanno bisogno di professionisti formati e specializzati per affrontare le sfide del mondo del lavoro ed, in generale, della nostra società. Sulla base di questo assunto, credo che sia importante implementare e modificare quei punti dei nostri regolamenti che vanno migliorati per garantire efficienza al sistema e soprattutto per garantire i cittadini. I temi sono tanti ed i punti di osservazione altrettanti; ma soprattutto va ribadito e manifestata la nostra volontà di trovare certamente anche dei percorsi che possano – nell’ambito di quelle che poi sono le singole aree professionali -, favorire lo scambio di esperienza e la multidisciplinarità degli approcci professionali. L’area giuridico-economica del Cup, insieme a tutte le altre aree professionali, ha proprio questo scopo: quello di favorire anche la formazione multidisciplinare dei professionisti che appartengono alle varie aree professionali. Quindi consulenti del lavoro, commercialisti, avvocati, notai e giornalisti hanno dei sistemi e hanno delle materie che possono poi interagire e quindi dare ai professionisti una preparazione composita».

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