Il dilemma italiano si incarna perfettamente in Taranto che rappresenta una città dell’industria ed una città del Sud. Dopo le anticipazioni, a luglio, del Rapporto Svimez 2015, il premier Renzi si è impegnato con un Masterplan per il Mezzogiorno. Nel piano, che secondo il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Claudio De Vincenti decollerà a gennaio 2016, verranno inseriti otto patti con le regioni e sette con le città. Quello per Taranto sarà il primo ad essere messo in pista.
Ma già il decreto legge n. 1 del 5 gennaio 2015, convertito con la legge n. 20 del 4 marzo 2015, contiene disposizioni non solo per l’Ilva, ma anche per lo sviluppo del capoluogo jonico. Sempre secondo il sottosegretario De Vincenti, il Contratto istituzionale di sviluppo prevederà 800 milioni (118 dei quali già utilizzati): 380 per il porto, 200 per il nuovo ospedale, circa 90 per la bonifica esterna al polo siderurgico, 9 per il recupero della città vecchia. Per Cosimo Damiano Latorre, presidente dell’Ordine dei commercialisti di Taranto, «è evidente che il decreto legge è assolutamente apprezzabile nella parte in cui prevede tante provvidenze per la città. Fa piacere ascoltare dal sottosegretario che il governo pone a disposizione della comunità delle risorse. È opportuno segnalare, però, che gli 800 milioni non sono risorse aggiuntive, ma somme derivanti da vecchie delibere Cipe che, forse a causa della politica distratta, non siamo riusciti a spendere. Si tratta comunque di un’importante iniezione di liquidità che consentirà solo in parte di risolvere i problemi esistenti. Purtroppo Taranto è una città non ancora uscita dal dissesto, ha l’arsenale militare pressoché chiuso, il porto perde containers, la sua provincia ha uno dei più alti tassi di disoccupazione, l’itticoltura è in profonda crisi, l’aeroporto non sfrutta tutte le sue potenzialità, la linea ferroviaria non la collega adeguatamente neanche con il capoluogo di regione». Ciò che allora non deve mancare, secondo Latorre, è una cabina di regia forte che porti tutti gli Enti e le Istituzioni interessati verso gli stessi obiettivi. Non c’è a Taranto «una visione d’insieme capace di realizzare un programma generale che possa sganciare l’economia locale dalla grande industria dell’acciaio, disegnando un nuovo e più articolato percorso di crescita sociale, economica, culturale ed istituzionale. Nel corso del mio mandato ho avuto modo di verificare che tutti gli Enti e le Istituzioni preposti hanno i loro progetti, ma ne manca uno che li metta tutti in rete. La norma citata ha anche previsto un tavolo istituzionale per Taranto che sta lavorando, ma la difficoltà principale è la programmazione unitaria».

Il Protocollo d’intesa con il Comune
Anche l’Ordine dei commercialisti partecipa alle varie iniziative, cercando di fare la sua parte. Grazie al lavoro della commissione Marketing territoriale, l’Ordine ha sottoscritto un Protocollo d’intesa con il Comune per evidenziare la capacità dei commercialisti di proporsi non solo come consulenti, ma anche come promotori di sviluppo. L’obiettivo del Protocollo è definire le linee guida per la valorizzazione delle risorse del territorio e lo sviluppo economico locale. «La possibilità per i commercialisti di partecipare ad un progetto per il potenziamento e la qualificazione del sistema pubblico ed imprenditoriale locale significa dare nuova luce e maggiore autorevolezza all’intera categoria. Il commercialista, con le sue altissime competenze professionali, diventa motore di crescita e sviluppo, attore protagonista di un cambiamento ineludibile per Taranto e la provincia».

L’Ilva
Un cambiamento ineludibile è quello legato alla riqualificazione dell’Ilva. Lo stabilimento siderurgico più grande d’Italia per numero di addetti diretti, perno di vasti settori dell’industria meccanica italiana, è fondamentale per la ripartenza del Sud e dell’intero Paese.
«L’Ilva non è un fatto solo locale, regionale e nazionale, ma anche europeo ed addirittura internazionale», spiega Latorre. «Il problema locale è quello legato all’ambiente ed al lavoro che, purtroppo, è rimasto completamente a carico della nostra terra, senza ottenere alcun ristoro. Per il resto è una questione europea che avrebbe meritato l’attenzione di tutta la comunità internazionale.
I dipendenti diretti occupati nello stabilimento di Taranto sono 11.900 e 14.000 circa per tutto il gruppo. L’indotto dell’Ilva impiega direttamente nello stabilimento di Taranto circa 3.000 proprie unità e vanta crediti pregressi per almeno 150 milioni di euro. A fronte di detti crediti, vi sono anche altrettante posizioni debitorie nei confronti di dipendenti, fornitori, istituti di credito, erario, istituti previdenziali ed assicurativi, in molti casi garantiti dal patrimonio personale degli imprenditori. La situazione è anche paradossale perché a fronte di debiti per IVA, contributi e ritenute fiscali non versati, derivanti da fatturazione attiva mai riscossa, gli imprenditori tarantini hanno il concessionario della riscossione in casa e lo spettro di procedimenti penali per omessi versamenti, oltre che di fallimenti e liquidazioni. È allora evidente che l’Ilva non può chiudere, ma deve riprendere ad operare in condizioni ecocompatibili anche se al momento non è dato sapere dove saranno reperite le ingenti risorse finanziarie per proseguire nelle azioni di risanamento ambientale. L’obiettivo dichiarato è quello di giungere ad una newco entro fine anno. Mi domando se l’Ilva è ancora nelle condizioni di produrre in condizioni di economicità e con un costo di produzione in grado di reggere la concorrenza dei principali competitors. E allora necessitano interventi diretti ed urgenti, anche sovranazionali, per salvaguardare salute e lavoro, per evitare di portare al collasso le poche aziende rimaste. La città di Taranto e tutta la sua provincia, purtroppo, sono ancora oggi legate a doppio filo all’Ilva ed alle sue sorti».

Il commercialista al fianco delle imprese
A proposito di aziende, i dati Infocamere sulla loro nati-mortalità evidenziano che le imprese attive nel 3° trimestre 2015 hanno avuto un incremento dello 0,54% (635 iscrizioni contro 376 cessazioni). Ma quanto incidono complessivamente a Taranto le situazioni di maggiore criticità, dall’avvio di procedure concorsuali ai casi di scioglimento o liquidazione? «Gli stessi dati Infocamere al 2° trimestre 2015 ci parlano – risponde Latorre – di un incremento delle procedure di scioglimento e liquidazione (26,1%), un decremento dei fallimenti e delle altre procedure concorsuali (3,1%) a cui vanno ad aggiungersi 27 nuovi fallimenti e 4 tra concordati ed accordi di ristrutturazione del debito». Va da sé che in questa situazione il ruolo del commercialista è fondamentale perché rappresenta «la figura professionale che più da vicino affianca costantemente le imprese e quindi ne risente in maniera direttamente proporzionale. Per questo non possiamo aspettare dietro la scrivania che altri risolvano i nostri problemi, ma dobbiamo essere protagonisti del futuro. Non solo le specializzazioni, ma anche e soprattutto le aggregazioni professionali, nelle molteplici forme consentite, sono lo strumento per vincere e superare brillantemente questo difficilissimo momento».

I numeri dell’Ordine
Malgrado il difficile momento, però, i commercialisti iscritti all’Ordine di Taranto continuano a crescere con un tasso dello 0,9%. In totale sono 1.100 di cui le donne rappresentano il 34,5% e gli under 40 il 23,4%. Tutte componenti in crescita anche a livello nazionale. Il problema si riscontra tra i praticanti che sono diminuiti del 6,5% rispetto all’anno precedente. «I praticanti sono effettivamente ancora in calo, anche se minore nell’anno in corso. I dati dei giovani colleghi e dei praticanti, però, sono leggermente migliori rispetto alla media nazionale forse perché, dall’inizio del mandato, il nostro Consiglio ha prestato la massima attenzione alle fasce più giovani». La ricetta comprende una costante riduzione delle quote di iscrizione, una diversificazione delle quote di partecipazione ai corsi di formazione a pagamento – anche se almeno il 65% della formazione è somministrato gratuitamente –, un corso di formazione ai praticanti che copre l’intero periodo di tirocinio distribuito su due esercizi ad un costo pressoché pari a zero. Inoltre, è intenzione del presidente realizzare, entro la fine del mandato, un’azione di promozione della professione all’interno delle scuole secondarie e delle aule universitarie. «È evidente che, rispetto agli inizi degli anni 2000, le nuove iscrizioni all’albo ed al registro dei praticanti hanno subito una forte battuta d’arresto, forse perché la nostra professione ha perso appeal. In questo, molto ha anche contribuito la forte recessione ancora in atto e che, almeno per il nostro territorio, non mostra segni di inversione di tendenza. Infatti, abbiamo assistito ad un continuo ed inesorabile calo dei redditi professionali reali da almeno sei, sette anni».

La campagna di comunicazione
Per riaffermare la professionalità e l’autorevolezza del commercialista e la sua utilità nella comunità in cui opera, il Consiglio dell’Ordine ha promosso una campagna di comunicazione, partita lo scorso 5 ottobre sui quotidiani locali ed attraverso spot tv ed affissioni pubblicitarie. «Puntiamo molto sull’importanza della consulenza che un professionista certificato è in grado di fornire. Il commercialista, infatti, ha un percorso formativo di altissimo profilo perché deve svolgere un tirocinio lungo, qualificato, vigilato e certificato. Prima di essere iscritto all’Albo, deve superare un serissimo esame di stato molto selettivo. Deve sostenere una formazione professionale continua di aggiornamento e di specializzazione, è sottoposto al controllo ed alla vigilanza del Ministero della Giustizia oltre che dell’Ordine territoriale, deve rispettare norme deontologiche perché tutela e garantisce la fede pubblica nell’esercizio della sua professione. La maggior parte dei colleghi ha espresso apprezzamento per questa iniziativa perché è una cosa che in molti si aspettavano».

Il Cup di Taranto
Cosimo Damiano Latorre è anche presidente del Cup di Taranto, il Comitato unico delle professioni che accoglie al suo interno 17 dei 20 Ordini e Collegi professionali, rappresentando oltre l’80% dei professionisti. «In questo difficilissimo momento per tutte le professioni», spiega Latorre, «stiamo valutando la possibilità di fare una manifestazione unitaria per evidenziare che i professionisti sono tartassati da una serie infinita di adempimenti, che è necessario porre un freno alle liberalizzazioni perché tendono a scardinare il sistema dei controlli e dei valori, che la pressione fiscale va assolutamente ridotta anche per le professioni. Noi pensiamo che colpire indiscriminatamente le professioni significa colpire i cittadini appiattendo di molto la qualità delle prestazioni offerte». Il Comitato, inoltre, è impegnato a far comprendere che la deregulation delle professioni, pure in atto all’interno dell’intera comunità europea, può comportare forti scompensi non solo ai professionisti ma anche, e soprattutto, all’utenza finale. «Liberalizzare determinate attività ovvero consentire di esercitarle anche a soggetti che non hanno i requisiti stringenti che invece sono richiesti agli iscritti in albi professionali costituzionalmente garantiti, eliminare le tariffe professionali, consentire l’ingresso indiscriminato nelle società tra professionisti di altri soggetti comporta il rischio oggettivo di una perdita di qualità delle prestazioni rese che, alla fin fine, va in danno del fruitore finale. Bisogna considerare che una politica indiscriminata di liberalizzazione delle attività professionali, oltre ad incidere sui redditi dei professionisti, incide anche sulla sostenibilità finanziaria delle prestazioni delle casse di previdenza che non sono assorbite nell’alveo “statale”, anche se, purtroppo, debbo registrare che qualche tentativo, oltre a qualche prelievo indebito, è già stato fatto».

Please follow and like us:
Pin Share
Leggi anche

STAI CERCANDO

Send this to a friend