I segnali di rallentamento apparsi in Europa nella prima metà del 2018 hanno ridotto le prospettive di crescita dell’intera area. Un rallentamento che per l’Italia comporta un ampliamento della forbice rispetto alla media europea. Siamo l’unico paese, a parte la Grecia, che non ha ancora recuperato i livelli pre crisi. Si apre con queste considerazioni l’anticipazione dell’annuale Rapporto Svimez, l’Associazione per lo Sviluppo Industriale del Mezzogiorno, sull’economia e la società del mezzogiorno.

Come previsto nel Rapporto dello scorso anno, se l’Italia rallenta, il Sud subisce una brusca frenata. Si sta consolidando sempre più il “doppio divario”: dell’Italia rispetto all’Unione Europea e del Sud rispetto al Centro-Nord.

Nel 2018 il Sud ha fatto registrare una crescita del PIL dell’appena +0,6%, rispetto +1% del 2017. Il dato che emerge è di una ripresa debole, in cui peraltro si allargano i divari di sviluppo tra le aree del Paese. Il dato più preoccupante, nel 2018, che segna la divergente dinamica territoriale, è il ristagno dei consumi nel meridione (+0,2, contro il +0,7 del resto del Paese). Mentre il Centro-Nord ha ormai recuperato e superato i livelli pre crisi, nel decennio 2008-2018 la contrazione dei consumi meridionali risulta pari al -9%. A pesare nel 2018 è il debole contributo dei consumi privati delle famiglie (con i consumi alimentari che calano dello 0,5%), ma soprattutto è il mancato apporto del settore pubblico. La spesa per consumi finali delle Amministrazioni Pubbliche che ha segnato un ulteriore -0,6% nel 2018, proseguendo un processo di contrazione che, cumulato nel decennio 2008-2018 risulta pari a -8,6%, mentre nel Centro-Nord la crescita registrata è dell’1,4%: una delle cause principali, a dispetto dei luoghi comuni, che spiega la dinamica divergente tra le aree.

Gli investimenti rimangono la componente più dinamica della domanda interna nel Mezzogiorno (+3,1% nel 2018 nel Sud, a fronte del + 3,5% del Centro-Nord). La sostanziale tenuta degli investimenti meridionali nel 2018, rivela una dinamica molto differenziata tra i settori. Sono cresciuti gli investimenti in costruzioni (+5,3%), mentre si sono fermati quelli delle imprese in macchinari e attrezzature, +0,1%, contro il +4,8% del Centro-Nord e nonostante la ripresa dell’ultimo triennio, sono ancora del -27,6% al di sotto dei livelli del 2008, contro il +4,9% del Centro-Nord.

La ripresa degli investimenti privati negli ultimi tre anni, aveva più che compensato il crollo degli investimenti pubblici. Nel 2018, stima la SVIMEZ, sono stati investiti in opere pubbliche nel Mezzogiorno 102 euro pro capite rispetto a 278 nel Centro-Nord. Per avere un termine di paragone: nel 1970 erano rispettivamente 677 euro e 452 euro pro capite.

La modesta crescita osservata nei primi sei mesi del 2018, che proseguiva il trend espansivo avviatosi ad inizio 2014, ha lasciato il posto ad un sempre più marcato rallentamento dell’attività produttiva.

In base alle previsioni elaborate dalla SVIMEZ, nel 2019, l’Italia farà registrare una sostanziale stagnazione, con incremento lievissimo del PIL del +0,1% e una crescita zero dell’occupazione, pur considerando nella stima il peso crescente della cassa integrazione). Il PIL del Centro-Nord dovrebbe crescere poco, di appena lo +0,3%. Nel Mezzogiorno, invece, l’andamento previsto è negativo, una dinamica recessiva: -0,3%. Nel 2020, la SVIMEZ prevede che il PIL meridionale riprenderà a salire segnando però soltanto un +0,4% e anche l’occupazione tornerà a crescere, se pur di poco, con un +0,3%. Migliore l’andamento delle più importanti variabili economiche nel Centro-Nord, con un incremento del prodotto interno lordo pari a +0,9%, ma comunque non in grado di riportare l’Italia su un sentiero di sviluppo robusto, infatti nel 2020, l’aumento del PIL nazionale sarà del +0,8% e dell’occupazione del +0,3%.

Le cause di queste prospettive poco incoraggianti per l’economia italiana vanno ricercate in primo luogo nella decelerazione del commercio mondiale, sottoposto a pressioni crescenti, dall’improvvisa fiammata protezionistica alle forti tensioni in diverse parti del mondo. Nonostante tale peggioramento l’export, all’interno della domanda aggregata, resta la componente per la quale la SVIMEZ prevede una crescita relativamente più sostenuta. E inevitabilmente di ciò ne beneficia soprattutto il Centro-Nord, data la maggiore, e crescente, partecipazione di quest’area ai flussi del commercio mondiale.

Per quanto attiene, invece, la domanda interna, nel 2019, la SVIMEZ prevede che gli investimenti fissi lordi subiranno una forte decelerazione, negativamente influenzati da aspettative al ribasso e da un fisiologico calo dopo l’aumento indotto dagli incentivi di “Industria 4.0” assai significativo nel 2017 (e solo in parte nel 2018). I prestiti alle imprese sono calati nei primi 4 mesi del 2019 del -8% nel Centro-Nord e del -12% nel Mezzogiorno, a conferma di un peggioramento delle prospettive dell’economia meridionale. L’unica componente che dovrebbe registrare un andamento più sostenuto, come nel 2018, è quella degli investimenti in costruzioni, che comunque dovrebbero crescere di più nelle regioni centro-settentrionali.

La spesa per consumi delle famiglie dovrebbe risultare, sia al Centro-Nord che nel Mezzogiorno, poco più che stazionaria. Su questa variabile, che condiziona fortemente la dinamica del Pil meridionale, influisce pesantemente la debolezza della dinamica occupazionale e la persistente debolezza dell’azione riequilibratrice dell’intervento pubblico.

La Svimez sottolinea inoltre come l’eventuale aumento dell’IVA, se non venisse scongiurato nella prossima legge di bilancio, avrebbe un effetto territorialmente asimmetrico. Le clausole di salvaguardia peserebbero di più sul Sud Italia che sul Centro-Nord.

L’Associazione ha calcolato l’impatto negativo sul Prodotto Interno Lordo conseguente ad un’eventuale aumento dell’IVA, per effetto della mancata sterilizzazione delle “clausole di salvaguardia”; queste, se scattassero automaticamente senza interventi nella legge di bilancio per il 2020, peserebbero per un -0,33% sull’economia nazionale, ma questa cifra si scompone territorialmente in un -0,30% al Centro-Nord e in un -0,41% al Sud.

L’impatto maggiore al Sud dell’aumento dell’IVA è legato a due fattori principali.

Il primo è l’effetto regressivo che una manovra sull’IVA determina maggiormente nel Mezzogiorno, dove i redditi sono strutturalmente più bassi rispetto al resto del Paese e dove anche la capacità di spesa reale dei consumatori è minore.

Il secondo fattore attiene alla trasferibilità dell’incremento dell’IVA sui prezzi finali, che è maggiore al Sud rispetto al resto del Paese: infatti, mentre a livello nazionale, la SVIMEZ stima una traslazione dell’incremento dell’Iva sui prezzi al consumo intorno al 70%, l’incidenza è territorialmente diversa e scende al 63% nel Centro-Nord, mentre sale all’85% al Sud. Su questo dato pesa sia una dinamica della produttività relativamente minore, sia una struttura terziaria maggiormente composta da imprese di piccole dimensioni che agiscono prevalentemente in concorrenza imperfetta.

Questo aumento dell’IVA, se attuato, azzererebbe la prevista crescita del Mezzogiorno nel 2020.

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